§ 45. — Colonie perpetue.
Ci resta ora a parlare di una forma particolare
di censo a mezzadrìa, conosciuta sotto il nome di colonìa perpetua, che
una volta era molto generale nella provincia di Messina, specialmente nei beni
ecclesiastici, e di cui si trovano tuttora moltissimi esempi nelle proprietà
dei privati sulla costa orientale da Messina a Giardini.
I monasteri e le chiese, e anche molti baroni,
usavano in passato concedere in perpetuo ai villani le terre incolte divise in
tanti appezzamenti, col patto che pagassero anno per anno un canone
proporzionale ai prodotti di qualunque natura, che fossero per ricavare da
quella terra: la quota da pagare era quasi sempre della metà dei raccolti,
alcune volte del terzo per alcuni determinati prodotti. Queste colonìe perpetue
sono insomma veri censi perpetui a canone in natura, variabile e proporzionale
all’annuo prodotto; e sono quindi regolate dalle leggi relative all’enfiteusi,
così per la devoluzione al proprietario in caso di non eseguito pagamento del
canone per il corso di due anni, come pel diritto all’inamovibilità del colono.
Questi coloni perpetui trovandosi quasi nella condizione di proprietari,
migliorarono di molto i loro poderi, piantandovi olivi, viti, ecc.
Dopo la legge del 1862 di censimento dei beni
ecclesiastici, e quella generale sulle affrancazioni del 24 gennaio 1864, quei
canoni variabili in natura si poterono oltrechè affrancare, anche trasformare
in canoni fissi in denaro, da stabilirsi dietro domanda del colono e per mezzo
di perito, sulle raccolte di un decennio, o sul fitto del decennio quando fitto
vi fosse stato; e di un ventennio dopo la legge del 28 luglio 1867. Queste
conversioni si facevano per le colonìe perpetue nei beni ecclesiastici, dalle
Commissioni circondariali enfiteutiche stabilite col regolamento del 26 marzo
1863, per l’applicazione della legge di censimento del 10 agosto 1862.
Quasi
tutte le colonìe perpetue sui beni già ecclesiastici sono ora sparite, sia su
vari latifondi per effetto della conversione chiesta dai coloni, sia per
alienazione fatta dal Demanio del dominio diretto. Il Corleo, soprintendente
delle Commissioni enfiteutiche della Sicilia249, ci assicura che per
parte della Soprintendenza tutto si fece, perchè i coloni perpetui non fossero
defraudati nei loro diritti; e lo crediamo facilmente, ma sembra però, che, sia
per errore o per altro, molti di questi dominii diretti siano stati venduti, e
talvolta, per connivenza dei periti coi compratori, a prezzi bassissimi ed
inferiori al giusto. Parecchi poi di questi acquirenti del dominio diretto
hanno ottenuto dai coloni la cessione del loro diritto livellare, contro
pagamento di una tenuissima somma, ingannandoli colla lusinga che sarebbero
rimasti egualmente sul podere, e cogli stessi patti di divisione, come coloni
amovibili o mezzadri. Altri proprietari, a quanto sembra, hanno acquistato
nello stesso modo dai coloni perpetui il loro diritto livellare, e quindi
l’hanno convertito in canone fisso, affrancandolo o no; e così sono rimasti a
buon patto, proprietari dei poderi.
A ogni modo restano ancora moltissime di tali
colonìe perpetue sopra beni di particolari. Quasi tutti i terreni a colonìa
perpetua sono stati beneficati a tutta spesa dei coloni, e moltissimi
contengono pure la casetta stata costruita dagli stessi coloni.
Disgraziatamente tutte queste colonìe sono di piccoli appezzamenti di terra,
che giungono raramente fino a un ettaro, e non bastano a dar lavoro e
sostentamento ad una famiglia.
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