§ 72. — Colonìe perpetue.
Le colonìe perpetue del Messinese sono la
migliore riprova dell’azione benefica per l’agricoltura e per gli interessi
generali della società, oltrechè per quelli speciali del contadino, che
esercita la forma di colonìa parziaria, quando trovi appena appena qualche
condizione favorevole per poter attecchire. La sola sicurezza di quei coloni di
poter godere indefinitamente di non altro che di meno della metà del frutto di
tutti i miglioramenti che introducevano nel fondo, ha bastato perchè lande
incolte fossero convertite in ricchi e ubertosi poderi dotati di vigne, di
olivi, e di ogni sorta di coltivazione. E abbiamo detto avvertitamente «di meno
della metà», perchè in quella metà che a loro doveva spettare è compresa pure
la retribuzione del loro lavoro giornaliero in tutte le nuove colture
introdotte.
Ma se da una parte queste colonìe presentano, di
fronte al tipo più perfetto di mezzadrìa, il vantaggio di una più certa durata,
assicurando così maggiormente al villano il godimento di una parte della
rendita fondiaria, e avvicinandosi con ciò più alla forma di censo e al tipo
ideale del contadino-proprietario, d’altra parte non mancano nemmeno i capi d’accusa.
Sono principalmente i seguenti: — Mentre tutto il capitale da investirsi nel
suolo deve essere sborsato dal contadino, il quale non ne abbonda, la maggior
parte del profitto di questo capitale va ad ingrossare la quota di rendita
fondiaria nelle mani del domino diretto, il quale nulla ha fatto per meritarsi
tanta fortuna. Onde si viene alla conseguenza enorme, che dei prodotti
dell’industria agricola, una metà va al domino diretto che non ci contribuisce
per nulla, e l’altra al contadino il quale ha prestato tutto quanto il capitale
di quell’industria, e tutto quanto il lavoro, così per il primo impianto come
per il successivo e giornaliero esercizio dell’industria stessa. Sopra il
colono ricade pure, se mal non ci apponiamo, il pagamento dell’imposta
prediale, mentre dell’obietto di questa imposta, ossia della rendita fondiaria
e dei profitti del capitale fisso impiegato nell’industria, egli non gode che
di una parte minima. Per la qual cosa appariscono molto più seri per il colono
perpetuo i pericoli risultanti dall’immutabilità della forte imposta prediale
di fronte alla variabilità annua dei resultati dell’agricoltura, pericoli che
già riescono così gravi per i piccoli proprietari.
Oltre tutto ciò evvi una condizione di fatto che
ci sembra metter in continuo pericolo la durevole riuscita delle colonìe
perpetue, come forma di conduzione agricola, ed è quella, che essendo la
colonìa perpetua una vera proprietà per il colono, essa tende necessariamente
per l’attuale legislazione a suddividere e a frazionare sempre più i poderi per
mezzo delle successioni, e delle divisioni dei patrimoni. Questo pericolo la
colonìa perpetua l’ha in comune colla piccola proprietà, ma nella prima il
danno è meno evitabile, perchè il colono non ha a sua disposizione tutti i mezzi
che ha il contadino proprietario per risparmiare qualche capitale onde evitare
o riparare alla troppa suddivisione della terra. Se poi guardiamo ai fatti,
vediamo come effettivamente nel Messinese l’eccessivo frazionamento delle
colonìe perpetue ne ha reso quasi illusori i beneficii per la classe dei
contadini, giacchè i poderi ridotti spesso a poche are di terra sono lungi dal
bastare al sostentamento dei coloni.
Esaminate così brevemente nella loro natura e nei
loro resultati le forme principali dei contratti che s’informano al principio
della partecipazione, dobbiamo ora rivolgere la nostra attenzione alla seconda
delle accennate categorie di contratti agricoli, ossia a quella degli affitti
di ogni natura; e ciò faremo in un capitolo a parte.
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