§ 74. — Danni dei grandi
affitti.
Al punto di vista della condizione della classe
agricola, il danno economico maggiore proveniente dal sistema degli affitti è
il seguente: La concorrenza degli affittuari riduce il loro guadagno al solo
saggio del profitto corrente per i capitali impiegati nell’industria, calcolati
di più i rischi e i disagi che siano speciali all’industria agricola; e tutta
quanta la rendita fondiaria va al proprietario, come canone d’affitto. Non ci
arresteremo a parlare della pressione che gli affittuari, per accrescere i loro
guadagni o eventualmente per diminuire le loro perdite, naturalmente esercitano
sui contadini affin di ottenere un aumento dei profitti industriali mediante la
diminuzione della parte che spetta al lavoro. Basterebbe che il lavoro, per
quanto ciò sia difficile a ottenere nella pratica, si trovasse in condizioni da
poter lottare col capitale, perchè quella pressione non fosse temibile nè
dannosa. Ma date le circostanze anzidette, e data l’attuale condizione dei
contadini, che sfidiamo l’economista il più roseo, il più ottimista di trovare
soddisfacente e tale che non si debba cercare di migliorarla, il sistema del
fitto ci colloca nel seguente circolo di ferro:
Se in qualche modo, per mezzo di associazioni o
di accordi espressi o taciti, o per emigrazione, o per amore o per forza, si
aumentasse la parte che spetta al lavoro nel prodotto comune, o in altre parole
si migliorasse la condizione del lavorante agricolo, questo aumento dovrebbe
togliersi dai profitti dell’industria agricola, almeno per tutto
il tempo residuo della durata degli affitti: di qui impoverimento dei
capitalisti agricoltori, pregiudizio grave recato all’agricoltura, e
diminuzione del capitale nazionale che s’impiega nella terra; e ciò sia con
l’effettivo trasferimento di capitali dall’industria agricola ad altro impiego
o al consumo improduttivo, sia colla cessazione di tutti quei nuovi impieghi di
capitale nella terra, che altrimenti sarebbero avvenuti. E come conseguenza
necessaria di tutto ciò, la concorrenza dei lavoranti ridurrebbe di nuovo il
loro guadagno di tanto quanto sarebbe per lo meno necessario per elevare fino
al punto di prima i profitti dell’industria agricola. In altre parole col
sistema del fitto, il miglioramento della condizione del contadino non si
potrebbe ora ottenere che col danno dell’agricoltura, e il danno arrecato
all’agricoltura ripeggiorerebbe la condizione del contadino. Bisognerebbe
dunque in tal caso disperare di ogni progresso.
È bensì vero che allo spirare degli affitti, e
quando il lavoro sapesse continuare a far valere le sue esigenze, i proprietari
sarebbero costretti per la diminuita concorrenza degli affittuari, a ridurre i
canoni di affitto, e che così i profitti dell’industria agricola tornerebbero
al livello ordinario, senza pregiudizio agli aumentati guadagni del lavoro, ma
soltanto con diminuzione della rendita fondiaria che va in mano al
proprietario. Ma d’altra parte quando gli affitti sono lunghi, e per varie
ragioni è bene, anzi è necessario che siano tali, questo riadattamento dei
canoni di affitto alle nuove condizioni imposte dal lavoro, non potrebbe essere
che lento, e non si opererebbe che a grandi intervalli; e ciò è sufficiente
perchè nel frattempo o il lavoro non possa mantenere le sue maggiori pretese
contro la pressione della propria concorrenza, o l’agricoltura sopporti delle
crisi violentissime e forse irreparabili.
Quando invece è il proprietario stesso che
conduce l’industria agricola, ogni aumento della parte che spetta al lavoro non
va necessariamente tolto, nemmeno per un solo istante, dai profitti di
quell’industria, ma invece ricade immediatamente e ipso facto sulla
rendita fondiaria percepita dal proprietario: onde il miglioramento della
condizione del lavorante non è più un pericolo o una minaccia per
l’agricoltura, ma soltanto l’effetto di una partecipazione del lavorante alla
rendita fondiaria. E alla società non può che essere di vantaggio per più
riguardi, e d’altra parte non importa alla condizione dell’agricoltura, se una
parte anche notevole della rendita fondiaria va in mano del lavorante invece
che del proprietario.
Ammettiamo bensì che teoricamente anche col
sistema del fitto, un proprietario filantropo ed attivo possa, rinunziando
volontariamente ad una parte della rendita fondiaria, imporre al suo
affittuario con patti precisi che un valore eguale a quello a cui egli,
proprietario, rinunzia, vada in aumento della parte che spetta al lavoro; ma
nel fatto un tal fenomeno non accade e non accadrà, e perchè questa forma di
abnegazione è troppo rara, e perchè anche trovandola, sarebbe quasi impossibile
nella pratica di far sì che quella generosa rinunzia del proprietario non
andasse semplicemente a finire nelle tasche dell’affittuario; ammenochè anche
questi fosse animato da sentimenti di virtù e di carità, non meno vivi di
quelli del suo principale.
Le predette considerazioni trovano tanto più la
loro applicazione per quel che riguarda i grandi affitti della Sicilia,
inquantochè là, a differenza di quanto accade negli affitti della bassa
Lombardia, la maggior parte del territorio, e quella appunto che è coltivata
per mezzo di affittuari, è priva quasi affatto di capitali che siano stati
immobilizzati nel suolo, mediante piantagioni, costruzioni, allivellamenti o
altro: onde la rendita pagata al proprietario mediante il canone di affitto,
non contiene quasi alcun elemento di profitto di capitali che siano stati da
lui impiegati stabilmente nel suolo, ma si compone unicamente di pura rendita
fondiaria. E perciò nè direttamente nè indirettamente, l’aumento della parte
del prodotto del suolo che va al lavoro, non potrebbe minacciare l’agricoltura,
ognivoltachè riuscisse di toglierlo esclusivamente dall’attuale rendita dei
proprietari.
È poi da osservare che le nostre leggi d’imposta
favoriscono la conduzione diretta delle proprie terre per parte del
proprietario, in quanto egli non paga a questo titolo tassa di ricchezza
mobile, mentre la paga, e non lieve, l’affittuario; onde il proprietario che
conduce da sè l’azienda rurale, percepisce, oltre il profitto che potrebbe fare
un affittuario, per di più tutto l’ammontare della tassa di ricchezza mobile,
ossia un aumento di circa un decimo.
Non abbiamo occasione di parlare a proposito
della Sicilia, del contratto di affitto per le proprietà alberate, e dove già
un grande capitale si sia immedesimato col suolo, poichè, come abbiamo già
visto, queste proprietà non si affittano quasi mai, fuorchè nei casi voluti per
legge, come quando si tratti di beni di Opere pie, ecc. La ragione n’è chiara.
La conservazione di quel capitale che si è applicato alla terra — e che a
torto, come osserva il Basile, vien chiamato capitale fisso, poichè nessun
capitale è fisso all’infuori di quello che s’identifica colla fertilità
naturale della terra, — la conservazione, diciamo, di quel capitale correrebbe
grave pericolo nelle mani di un affittuario al quale nulla importa delle
condizioni del fondo, al di là del termine del suo affitto. Egli tirerebbe a
sfruttare ogni agente di produzione quanto più possibile e quanto più presto
possibile, con grave danno del proprietario, dell’agricoltura e dei contadini.
E questo è difatti quel che accade dappertutto in quei casi di affitto che
vengono imposti dalla legge.
Conduzione diretta del
proprietario.
Riassumendo diremo che dove e finchè si manterrà
il sistema dei grandi affitti, riteniamo che poco o nulla vi sia da sperare per
il miglioramento della condizione della classe agricola, e che auguriamo alla
Sicilia, come a ogni altra provincia d’Italia, che i proprietari, persuadendosi
che il lavoro e non l’ozio è vera fonte di dignità, si applichino alla
amministrazione diretta dei loro beni, senza intermediari tra essi e i loro
contadini: ciò facendo eviteranno nell’avvenire molti pericoli e molti danni a
sè ed agli altri. Ma è sperabile che ciò avvenga? — Non lo crediamo, ove
s’intenda che i più grandi proprietari attuali vogliano abbandonare la loro
stolta vita di ozio e di abbrutimento fisico e morale, per mutarsi in membri
utili della società; ma vi può essere all’incontro motivo di sperare che la
classe più vigorosa, più intelligente e più energica dei grandi affittuari —
parliamo specialmente di quelli della Lombardia e della Sicilia, che abbiamo
potuto avvicinare da noi, e di cui abbiamo potuto apprezzare le molte e virili
qualità — si sostituisca a poco a poco agli attuali proprietari, senza perdere
le proprie abitudini di iniziativa, d’intelligenza e d’attività.
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