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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO SECONDO   I CONTADINI
    • PARTE SECONDA                       CARATTERI ECONOMICI DEI CONTRATTI AGRICOLI SICILIANI
      • Capitolo II.   IL FITTO
        • § 74. — Danni dei grandi affitti.
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§ 74. — Danni dei grandi affitti.

Al punto di vista della condizione della classe agricola, il danno economico maggiore proveniente dal sistema degli affitti è il seguente: La concorrenza degli affittuari riduce il loro guadagno al solo saggio del profitto corrente per i capitali impiegati nell’industria, calcolati di più i rischi e i disagi che siano speciali all’industria agricola; e tutta quanta la rendita fondiaria va al proprietario, come canone d’affitto. Non ci arresteremo a parlare della pressione che gli affittuari, per accrescere i loro guadagni o eventualmente per diminuire le loro perdite, naturalmente esercitano sui contadini affin di ottenere un aumento dei profitti industriali mediante la diminuzione della parte che spetta al lavoro. Basterebbe che il lavoro, per quanto ciò sia difficile a ottenere nella pratica, si trovasse in condizioni da poter lottare col capitale, perchè quella pressione non fosse temibile dannosa. Ma date le circostanze anzidette, e data l’attuale condizione dei contadini, che sfidiamo l’economista il più roseo, il più ottimista di trovare soddisfacente e tale che non si debba cercare di migliorarla, il sistema del fitto ci colloca nel seguente circolo di ferro:

Se in qualche modo, per mezzo di associazioni o di accordi espressi o taciti, o per emigrazione, o per amore o per forza, si aumentasse la parte che spetta al lavoro nel prodotto comune, o in altre parole si migliorasse la condizione del lavorante agricolo, questo aumento dovrebbe togliersi dai profitti dell’industria agricola, almeno per tutto il tempo residuo della durata degli affitti: di qui impoverimento dei capitalisti agricoltori, pregiudizio grave recato all’agricoltura, e diminuzione del capitale nazionale che s’impiega nella terra; e ciò sia con l’effettivo trasferimento di capitali dall’industria agricola ad altro impiego o al consumo improduttivo, sia colla cessazione di tutti quei nuovi impieghi di capitale nella terra, che altrimenti sarebbero avvenuti. E come conseguenza necessaria di tutto ciò, la concorrenza dei lavoranti ridurrebbe di nuovo il loro guadagno di tanto quanto sarebbe per lo meno necessario per elevare fino al punto di prima i profitti dell’industria agricola. In altre parole col sistema del fitto, il miglioramento della condizione del contadino non si potrebbe ora ottenere che col danno dell’agricoltura, e il danno arrecato all’agricoltura ripeggiorerebbe la condizione del contadino. Bisognerebbe dunque in tal caso disperare di ogni progresso.

È bensì vero che allo spirare degli affitti, e quando il lavoro sapesse continuare a far valere le sue esigenze, i proprietari sarebbero costretti per la diminuita concorrenza degli affittuari, a ridurre i canoni di affitto, e che così i profitti dell’industria agricola tornerebbero al livello ordinario, senza pregiudizio agli aumentati guadagni del lavoro, ma soltanto con diminuzione della rendita fondiaria che va in mano al proprietario. Ma d’altra parte quando gli affitti sono lunghi, e per varie ragioni è bene, anzi è necessario che siano tali, questo riadattamento dei canoni di affitto alle nuove condizioni imposte dal lavoro, non potrebbe essere che lento, e non si opererebbe che a grandi intervalli; e ciò è sufficiente perchè nel frattempo o il lavoro non possa mantenere le sue maggiori pretese contro la pressione della propria concorrenza, o l’agricoltura sopporti delle crisi violentissime e forse irreparabili.

Quando invece è il proprietario stesso che conduce l’industria agricola, ogni aumento della parte che spetta al lavoro non va necessariamente tolto, nemmeno per un solo istante, dai profitti di quell’industria, ma invece ricade immediatamente e ipso facto sulla rendita fondiaria percepita dal proprietario: onde il miglioramento della condizione del lavorante non è più un pericolo o una minaccia per l’agricoltura, ma soltanto l’effetto di una partecipazione del lavorante alla rendita fondiaria. E alla società non può che essere di vantaggio per più riguardi, e d’altra parte non importa alla condizione dell’agricoltura, se una parte anche notevole della rendita fondiaria va in mano del lavorante invece che del proprietario.

Ammettiamo bensì che teoricamente anche col sistema del fitto, un proprietario filantropo ed attivo possa, rinunziando volontariamente ad una parte della rendita fondiaria, imporre al suo affittuario con patti precisi che un valore eguale a quello a cui egli, proprietario, rinunzia, vada in aumento della parte che spetta al lavoro; ma nel fatto un tal fenomeno non accade e non accadrà, e perchè questa forma di abnegazione è troppo rara, e perchè anche trovandola, sarebbe quasi impossibile nella pratica di far sì che quella generosa rinunzia del proprietario non andasse semplicemente a finire nelle tasche dell’affittuario; ammenochè anche questi fosse animato da sentimenti di virtù e di carità, non meno vivi di quelli del suo principale.

Le predette considerazioni trovano tanto più la loro applicazione per quel che riguarda i grandi affitti della Sicilia, inquantochè , a differenza di quanto accade negli affitti della bassa Lombardia, la maggior parte del territorio, e quella appunto che è coltivata per mezzo di affittuari, è priva quasi affatto di capitali che siano stati immobilizzati nel suolo, mediante piantagioni, costruzioni, allivellamenti o altro: onde la rendita pagata al proprietario mediante il canone di affitto, non contiene quasi alcun elemento di profitto di capitali che siano stati da lui impiegati stabilmente nel suolo, ma si compone unicamente di pura rendita fondiaria. E perciò direttamente indirettamente, l’aumento della parte del prodotto del suolo che va al lavoro, non potrebbe minacciare l’agricoltura, ognivoltachè riuscisse di toglierlo esclusivamente dall’attuale rendita dei proprietari.

È poi da osservare che le nostre leggi d’imposta favoriscono la conduzione diretta delle proprie terre per parte del proprietario, in quanto egli non paga a questo titolo tassa di ricchezza mobile, mentre la paga, e non lieve, l’affittuario; onde il proprietario che conduce da l’azienda rurale, percepisce, oltre il profitto che potrebbe fare un affittuario, per di più tutto l’ammontare della tassa di ricchezza mobile, ossia un aumento di circa un decimo.

Non abbiamo occasione di parlare a proposito della Sicilia, del contratto di affitto per le proprietà alberate, e dove già un grande capitale si sia immedesimato col suolo, poichè, come abbiamo già visto, queste proprietà non si affittano quasi mai, fuorchè nei casi voluti per legge, come quando si tratti di beni di Opere pie, ecc. La ragione n’è chiara. La conservazione di quel capitale che si è applicato alla terra — e che a torto, come osserva il Basile, vien chiamato capitale fisso, poichè nessun capitale è fisso all’infuori di quello che s’identifica colla fertilità naturale della terra, — la conservazione, diciamo, di quel capitale correrebbe grave pericolo nelle mani di un affittuario al quale nulla importa delle condizioni del fondo, al di del termine del suo affitto. Egli tirerebbe a sfruttare ogni agente di produzione quanto più possibile e quanto più presto possibile, con grave danno del proprietario, dell’agricoltura e dei contadini. E questo è difatti quel che accade dappertutto in quei casi di affitto che vengono imposti dalla legge.

 

Conduzione diretta del proprietario.

Riassumendo diremo che dove e finchè si manterrà il sistema dei grandi affitti, riteniamo che poco o nulla vi sia da sperare per il miglioramento della condizione della classe agricola, e che auguriamo alla Sicilia, come a ogni altra provincia d’Italia, che i proprietari, persuadendosi che il lavoro e non l’ozio è vera fonte di dignità, si applichino alla amministrazione diretta dei loro beni, senza intermediari tra essi e i loro contadini: ciò facendo eviteranno nell’avvenire molti pericoli e molti danni a ed agli altri. Ma è sperabile che ciò avvenga? — Non lo crediamo, ove s’intenda che i più grandi proprietari attuali vogliano abbandonare la loro stolta vita di ozio e di abbrutimento fisico e morale, per mutarsi in membri utili della società; ma vi può essere all’incontro motivo di sperare che la classe più vigorosa, più intelligente e più energica dei grandi affittuariparliamo specialmente di quelli della Lombardia e della Sicilia, che abbiamo potuto avvicinare da noi, e di cui abbiamo potuto apprezzare le molte e virili qualità — si sostituisca a poco a poco agli attuali proprietari, senza perdere le proprie abitudini di iniziativa, d’intelligenza e d’attività.

 

 




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