§ 75. — Fitti piccoli.
Scendiamo ora a considerare gli affitti piccoli
che si contraggono in Sicilia direttamente col contadino, sia dal proprietario,
sia, più comunemente, dal gabellotto. Qui distinguiamo i terratici, dai piccoli
fitti in denaro.
Il terratico.
Il contratto di terratico è un vero fitto con
canone pagabile in grano, e presenta tutti gli svantaggi propri di questa forma
di contratto. Il terratico però presenta inoltre qualche carattere suo speciale
in tutta quella parte del territorio dell’Isola dove domina la granicoltura; e
ciò per le condizioni particolari dell’agricoltura siciliana. Difatti il
terratichiere dei feudi dovendo per lo più conformarsi rigorosamente
all’avvicendamento generale del latifondo, non è libero di coltivare il suo
podere a modo suo, nemmeno al di là di quella parte del campo che si possa
ritenere sufficiente per produrre il grano dovuto come terraggio o
canone d’affitto: e per la stessa ragione il suo contratto è necessariamente, e
non soltanto in diritto ma anche nel fatto, limitato a pochi anni, poichè
quello stesso appezzamento di terra dovrà poi essere destinato al pascolo,
mentre la parte del feudo che fino allora era a riposo viene a concedersi a
terratico o a metaterìa. Questa particolarità dell’agricoltura dei feudi
siciliani, è forse quella che ha contribuito a non sfruttare del tutto la
fertilità della terra, e ad evitare una parte dei mali sociali a cui l’uso
generale del piccolo fitto in grano avrebbe inevitabilmente condotto, ove
questo contratto non vi avesse avuto forma e natura così errante e temporanea.
Gravissimi nonpertanto sono gl’inconvenienti che presenta anche il terratico
dei feudi siciliani.
Con
questo contratto si rende assicuratore dei rischi di una coltura incerta, come
quella dei cereali dovunque specialmente manca l’irrigazione, il piccolo
coltivatore del suolo che difetta di capitali; e senza capitali non vi è possibile
assicurazione di rischi. Ora perchè il contadino potesse formarsi un tal
capitale di assicurazione per le annate meno buone, bisognerebbe che le
condizioni del fitto fossero moderatissime, e che il canone fosse calcolato
piuttosto sulle raccolte delle annate cattive che delle buone. Ma invece
abbiamo già veduto che cosa accade. La forma del contratto lasciando aperto a
doppio battente l’adito alla concorrenza dei lavoranti, i padroni ne
approfittano per stringere i patti, ed elevare sempre più i canoni di affitto,
riducendo fino all’ultimo limite e al di là, il compenso che può toccare al
contadino per la prestazione della sua opera. E il Caruso, il Cattani, il
Salamone260, c’informano fino a che punto incredibile si sia giunti su
questa via.
Gli stessi inconvenienti si verificano in quei
contratti di terratico in cui il contadino non è tenuto a seguire
l’avvicendamento generale di un fondo più esteso del suo, ed ha una certa
libertà di coltivare a modo proprio almeno una parte del suo terreno; come
accade talvolta anche nei feudi quando il termine del contratto di terratico
coincide col termine della gabella generale del feudo, e come accade sempre
nelle tenute minori, e pei campi nudi che si trovano in mezzo alle colture
alberate, e anche per il suolo coltivabile che rimane sotto agli alberi. Anzi
in questi casi vi è un danno di più, proveniente dalla non interruzione del
contratto di fitto, ed è quello dello sfruttare progressivamente la terra,
coll’obbligare il contadino a coltivare sempre una porzione determinata del suo
podere a cereali, per il pagamento del canone di grano, impedendogli così di
fare quegli avvicendamenti che richiede una buona economia rurale, e a cui egli
non può per difetto di capitali supplire con una forte concimazione.
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