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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO SECONDO   I CONTADINI
    • PARTE TERZA                       RIMEDI E PROPOSTE
      • Capitolo I.   L’AZIONE DELLO STATO
        • § 84. — Alienazione delle proprietà demaniali ed ecclesiastiche.
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§ 84. — Alienazione delle proprietà demaniali ed ecclesiastiche.

E ad un preconcetto simile si deve attribuire se in Italia vi fu una tale furia, anche in chi non mirava a scopi finanziari, ad alienare tutte le proprietà dello Stato e tutte quelle che lo Stato aveva tolte alla manomorta ecclesiastica, per sottoporre tutto quanto il territorio del Regno all’istituto della proprietà privata. È un preconcetto simile che fece ritenere per massima di un’evidenza indiscutibile, che nelle mani dei privati quei beni dovessero necessariamente venir coltivati meglio che quando erano di proprietà demaniale. E questa massima doveva esser vera anche dove si sapeva che non è il proprietario che coltiva la sua terra e che v’impiega capitali, ma invece un semplice industriale che non ha che un interesse temporaneo nel suolo; doveva esser vera anche dove basta un semplice sguardo per vedere che i privati nulla fanno per migliorare lo stato delle loro terre, e aspettano soltanto maggiori rendite dall’opera degli altri, ossia dell’incremento della pubblica ricchezza e dall’aumento della popolazione; oppur dove le maggiori rendite del proprietario si tolgono non da una maggiore produzione, ma da una sempre più iniqua distribuzione dei prodotti del suolo, e dalla oppressione della classe più laboriosa, e, moralmente almeno, più sana della nazione.

Ma almeno si fosse badato, nell’alienazione di quella enorme massa di beni, di farla in quelle condizioni e con quei modi per cui potesse migliorarsi lo stato economico e morale di una buona parte della popolazione rurale; onde con ciò arrivare, con la forza dell’esempio, col risveglio di attività e di forze dormienti, e coll’impulso dato all’opinione pubblica, ad una lenta, pacifica e benefica rivoluzione sociale in tutta Italia, e più specialmente nelle provincie meridionali!

Nulla di tutto ciò. Si venda o si dia a censo, ma si faccia presto; il tesoro ha bisogno di milioni; la libertà e l’iniziativa privata faranno il resto. Che cosa importa agli economisti officiali che i beni vadano ad accrescere la grande proprietà! che cosa importa che si distrugga più di mezzo miliardo di capitale che poteva dedicarsi all’agricoltura! che non si migliori la condizione che dei camorristi delle aste! Che cosa importa se si rinunzia all’unico mezzo efficace di produrre una rivoluzione sociale ed economica in una metà d’Italia, e di far ciò senza mutamenti politici, senza disordini, odii, ingiustizie, ma con vantaggio di tutti e attirandosi le benedizioni di migliaia e migliaia di famiglie, che ora sono una minaccia continua per la stessa civiltà, e invece potevano diventare un appoggio sicuro per il nuovo ordine di cose, ed una forza per il paese! Tutte queste sono naturalmente ubbìe, sogni ideali di filantropi; — la pratica e la realtà sono che i capitalisti hanno fatto un buon affare; che i grandi proprietari hanno aumentato il numero dei loro latifondi; che molti terreni già beneficati e in buona condizione sono andati in rovina, poichè il pagamento delle rate si toglieva e si toglie dallo sfruttamento e dallo sperpero del podere; che un mezzo miliardo e più di capitale è sparito nella voragine del deficit finanziario; che i contadini stanno come prima e staranno peggio in avvenire; e che i piccoli proprietari vanno diminuendo.

Per nessun’altra regione d’Italia è tanto da deplorarsi lo sperpero fatto di quella immensa ricchezza che lo Stato aveva nelle sue mani, come per la Sicilia; e in nessun altro luogo poteva meglio adoperarsi quella ricchezza come strumento alla rigenerazione del paese, senza che per questo lo Stato ci rimettesse nulla, urtasse le suscettibilità del più permaloso tra gli economisti Smithiani.

Intendiamoci. Non sosteniamo la manomorta, la proprietà ecclesiastica territoriale. Lo Stato ha fatto indubbiamente bene ad avocare a tutti quei 230,000 ettari di terre ecclesiastiche in Sicilia che non erano state ancora censite dai titolari. E se ci avesse aggiunto i beni di molte confraternite laiche, dei collegi di Maria, ecc., avrebbe fatto anche meglio.

Ma in primo luogo crediamo che l’alienazione di tutte quelle terre diventate di proprietà pubblica sia stato un errore economico, poichè ha spogliato lo Stato, per farne dono ai privati, di tutto quell’aumento progressivo di ricchezza che sarebbe pervenuto a lui come proprietario di quella smisurata estensione di terreni, per il solo fatto del graduale incremento del capitale nazionale e della popolazione. Ed errore più grave, e quasi colpa, è stato l’aver fatto quell’alienazione in modi e in condizioni tali da portare piuttosto a un aggravamento delle attuali sproporzioni nella divisione delle terre. Se non si sapeva far meglio, se tanto col sistema delle aste come con quello delle quotizzazioni, non si sapeva come conseguire lo scopo di fare dell’operazione finanziaria il mezzo per iniziare una riforma agraria, si doveva soprassedere, e non compromettere l’avvenire. Ma inutile è oramai il ragionare su quello che si sarebbe potuto fare. L’argomento è doloroso quanto poco profittevole. Guardiamo piuttosto che cosa si fece265.

 

 




265 Vedi per notizie riguardanti la censuazione dell’Asse ecclesiastico la diligentissima Storia dell’Enfiteusi dei Terreni Ecclesiastici di Sicilia, per Simone Corleo. Palermo, 1871.






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