§ 87. — Tutela sulle
amministrazioni locali.
Se fin qui abbiamo dovuto piangere specialmente
su ciò che avrebbe potuto fare lo Stato, e che non può più fare, da ora in poi
invece intendiamo esaminare fino a che punto si possa ancora invocare utilmente
la sua azione in avvenire. E prima di tutto l’invochiamo riguardo ai tanti mali
che abbiamo lamentato nelle Amministrazioni locali. Invochiamo cioè in primo
luogo l’intervento del Legislatore, perchè riformi molti degli ordinamenti
amministrativi — per esempio, la legge elettorale amministrativa, onde ottenere
una migliore rappresentanza ed una conseguente tutela degl’interessi agricoli
in genere, e di quelli più specialmente della classe misera ed oppressa dei
contadini. E in secondo luogo invochiamo l’intervento del Governo, perchè
eserciti più efficacemente il suo diritto di tutela sulle amministrazioni
locali, e impedisca tutti quegli abusi che direttamente o indirettamente
gravitano sulle classi inferiori, quali sarebbero a mo’ d’esempio, la
sproporzione nella imposizione delle varie tasse locali che colpiscono le
classi diverse della popolazione; lo sperpero dei denari pubblici in spese di
lusso o utili solamente a una classe; la mala amministrazione delle Opere pie,
ecc. ecc. Tutto questo il Governo può fare anche colle leggi attuali: è
questione di volere, e di scegliere il suo personale in modo che la volontà si traduca
in atto.
Ordinamento amministrativo.
Meno facili però e meno probabili ci appariscono
le riforme che abbiamo accennate necessarie negli stessi ordinamenti
amministrativi. La nostra legge elettorale politica esclude dal Parlamento ogni
rappresentanza della classe dei coltivatori del suolo: è naturale quindi, anzi
è inevitabile che gl’interessi di quelle classi siano trascurati. «Gli uomini e
le classi governanti — come ben si esprime il Mill — mentre sono costretti a
tenere in conto gl’interessi e i desideri di chi ha il suffragio, hanno la
scelta di farlo o no per chi ne è escluso; e, comunque siano ben disposti, sono
in generale troppo intieramente occupati da cose a cui debbono
attendere, per essere in grado di accordare fra i loro pensieri un posto a
quelle che possono con impunità trascurare». E quasichè non fosse ancora
sufficiente l’attuale sproporzione nella distribuzione del potere politico, tra
la classe cittadina e quella agiata da una parte, e la classe rurale
dall’altra, una Commissione Reale nominata per studiare le modificazioni da
introdursi nella legge elettorale politica, propone ora come riforma liberale,
e coll’adesione di un Ministero progressista, la estensione del suffragio a chi
paghi 20 lire di censo, o abbia fatto gli studi della quarta elementare; il che
significa chiaramente l’assoluta esclusione della classe dei contadini dal
corpo elettorale, coll’ammissione presente o eventuale di tutte le altre
classi.
Che cosa evvi dunque da sperare attualmente nelle
progettate riforme amministrative, che possa giovare alla classe rurale? —
Nulla. La Commissione nominata per lo studio delle riforme amministrative
propone — lo dicono tutti i giornali — che si liberino da ogni tutela
governativa tutti quei Comuni la cui popolazione oltrepassa i 4000 abitanti; il
che significa la totale esenzione da ogni vigilanza di 190 Comuni sopra 360
nella sola Sicilia; 190 Comuni che sono dominati dalla classe agiata, ed
abitati quasi esclusivamente da contadini. Il sopprimere ogni ingerenza
governativa sopra Comuni posti in queste condizioni, significa il voler dare
quelle migliaia di contadini in piena balìa dei proprietari, dei gabellotti, e
degli strozzini di campagna; e ciò perchè, per quanto si voglia a giusto titolo
ritenere che la migliore guarentigia per i cittadini è quella che ritraggono
dalla propria attività e specialmente dal proprio voto, bisogna pur tenere in
mente che la proporzione degli analfabeti nella classe dei contadini è in
Sicilia del 100%, onde tutta intiera quella classe rimarrà per ora senza
rappresentanza legale, qualunque sia la cifra a cui si riduca il censo
elettorale amministrativo. Nè si creda che questa sia una condizione che tenda
a sparire fra poco, poichè le classi che si trovano il potere in mano si
guardano bene, e si guarderanno ancora meglio in avvenire, dall’istruire i
contadini, per non perdere i loro attuali privilegi. Se in Italia non diamo
alla persona civile un interesse positivo ed immediato
all’istruzione e all’educazione del contadino, si potrà legiferare, decretare e
regolamentare a tutto spiano, senza ottenere con ciò alcun miglioramento nella
cura dell’analfabetismo nelle campagne.
È bensì vero che d’altra parte come campione di
tutela governativa potremmo citare quanto ci diceva un Sottoprefetto di uno dei
più ricchi circondari della Sicilia. Egli deplorava il caro dei salari, e le
esigenze eccessive dei lavoranti in certe epoche dell’anno, in cui «giungono
perfino a chiedere 2.50 a 3 lire il giorno». Per curare un tanto male, egli, il
Sottoprefetto, aveva consigliato a parecchi Municipi, di fare «dei regolamenti
per frenare quegli eccessi, imponendo un maximum ai salari». E scusate se è poco. Questo stesso
funzionario illuminato trovava che le spese comunali per la costruzione dei
teatri e per le sovvenzioni annue per gli spettacoli, erano spese giustificate,
e inoltre produttive, perchè «fanno lavorare».
Questi esempi però sono fortunatamente rari. La
tutela governativa è troppo spesso più teorica che di fatto, ma potrebbe,
quando si volesse, esercitarsi molto più efficacemente con regolari ispezioni
ordinate dalle Prefetture, alle quali non mancano ora i mezzi legali per
ridurre a dovere i Municipi recalcitranti.
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