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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO SECONDO   I CONTADINI
    • PARTE TERZA                       RIMEDI E PROPOSTE
      • Capitolo I.   L’AZIONE DELLO STATO
        • § 89. — Perequazione dell’imposta fondiaria.
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§ 89. — Perequazione dell’imposta fondiaria.

In fatto d’imposte la prima questione che si presenta, e una delle più gravi riguardo tanto all’agricoltura come alla condizione dei coltivatori del suolo, è quella che si riferisce alla imposta prediale e alla progettata sua perequazione periodica. L’argomento è stato già trattato da molti, e poco potremmo dire di nuovo intorno alle varie ragioni addotte a sostegno delle diverse tèsi, ma è tale la importanza della questione di fronte alle condizioni della classe agricola, che non possiamo tralasciare di dar qualche brevissimo cenno della nostra opinione in proposito.

I nostri catasti colpiscono l’industria agricola anzichè la rendita fondiaria; colpiscono cioè il profitto dei capitali impiegati nel suolo, anzichè la fertilità naturale del suolo stesso e tutti quei vantaggi che esso ritragga da condizioni indipendenti dall’opera di chi lo possiede, ossia tutta quella ricchezza che venga al proprietario all’infuori di qualunque opera sua dal solo incremento del capitale nazionale e dall’aumento della popolazione. I nostri catasti difatti prendono per base della imposta prediale la «rendita per ettaro calcolata sui prodotti d’ordinaria coltivazione, il che significa, le stime dei prodotti presuntivi ricavabili dagli alberi e dalle erbe esistenti all’epoca della catastazione»267.

Ogni perequazione dunque fatta su questa stessa base colpisce i miglioramenti eseguiti nei fondi, ossia il capitale impiegato nel suolo dal tempo dell’ultima catastazione, con la quota dell’imposta prediale, cioè in media con una tassa effettiva (calcolata l’imposta principale e le sovrimposte) di circa il 20% sull’entrata vera, mentre ogni altra industria è gravata del 9.90% (calcolata la detrazione di 2/8 sulla rendita imponibile gravata del 13.20); e d’altra parte tale perequazione lascia esente affatto da ogni aumento d’imposizione, e anzi giunge talvolta a sgravare la rendita fondiaria che si sia accresciuta nelle mani del proprietario senza alcun merito di lui. Con questo sistema dunque si darebbe un vero premio a chi trascura i propri fondi, e colla minaccia di una forte ammenda periodica a chi impieghi capitali nel suolo, si collocherebbero ogni 10 o ogni 30 anni — a ogni termine insomma in cui si farebbero le perequazioni — i proprietari in una posizione simile a quella di un affittuario cui scade il fitto, il quale per ottenere buoni patti per il nuovo fitto ha un interesse a deteriorare quanto più può il fondo, e a non fare miglioramenti stabili; colla sola differenza, che mentre sull’affittuario vigila il proprietario il quale può pure, affin di ottenere lo stabile miglioramento del fondo, offrire condizioni speciali al conduttore, sul proprietario invece non vigila nessuno, ed egli dallo Stato non può sperare abbuoni, può con esso patteggiare.

Se in Italia si credesse davvero alla minacciata perequazione, non vi sarebbe più un proprietario così pazzo da spendere in miglioramenti agricoli, per vedersene poi portar via dall’esattore tutto il frutto. Se qualcosa si continua a fare, è perchè i più non credono alla possibilità pratica di un provvedimento che, nella forma in cui è stato proposto al Parlamento268, sarebbe un colpo gravissimo arrecato alla prosperità nazionale; oppure perchè ognuno spera, nella complicanza delle formalità prescritte per la sua esecuzione, di trovare il modo di essere esentato a danno del prossimo.

Gli argomenti che ci sembrano più forti tra quelli che adducono i sostenitori della perequazione, sono i seguenti: — Principio fondamentale di ogni sistema tributario che non sappia di oppressione e di confisca anzichè di equità e di eguaglianza, è quello, che ogni cittadino debba pagare in ragione dei suoi averi. Perchè si dovrebbe dunque vedere un proprietario di un ricco fondo pagare 10 di tassa, per ciò solo che il catasto fu fatto in un momento in cui quel fondo era male coltivato e di poco valore, mentre un altro proprietario di un terreno vicino che non vale la metà del primo, continuerà a pagare 20 di tassa, perchè all’epoca del catasto quel terreno era dotato di ricche piantagioni che non esistono più? È questa forse la giustizia che invocate? Sia pure — essi dicono — che questo difetto dipenda, come voi sostenete, dall’essere stati fatti male i catasti, poichè si volle in essi tener conto della produzione effettiva del suolo, e non della fertilità insita della terra, e delle condizioni estranee all’opera del proprietario le quali aumentano il valore del fondo; ma oramai la cosa è fatta; si applicò l’imposta tenendo conto del capitale fisso impiegato nell’industria agricola; non vorreste voi ora dunque tener conto anche dei mutamenti avvenuti nell’impianto di quella industria, e aggiungere nell’imponibile i nuovi capitali impiegati, e detrarre quelli che sono scomparsi in tutto o in parte? E per quanto vogliate esser teneri dell’industria agricola, non sarebbe voler andare fino all’ingiustizia, l’esentare da ogni imposta i capitali che si dànno a quella industria, impiegandosi nella terra, mentre ogni altro capitale e ogni altra industria aggravate del 13.20 o almeno del 9.90%?

Non è però difficile di rispondere a queste ragioni. Bisogna risalire un po’ indietro.

L’imposta prediale è per sua natura un’imposta sul capitale; ma ha questo di speciale a differenza di molte altre imposte sul capitale: mentre quelle sono una vera e propria confisca a beneficio dello Stato, di una ricchezza prodotta dal possessore del capitale o da coloro da cui l’ebbe in dono o in via di successione, l’imposta fondiaria invece colpisce una ricchezza che non è frutto del lavoro particolare di nessuno, ma è un effetto della progressiva variazione nella proporzione tra il capitale e la popolazione da un lato, e dall’altro la quantità limitata di quella parte di terra che sia posta in certe condizioni più favorevoli, o contenga in delle speciali qualità di fertilità naturale. Questa ricchezza speciale della terra va generalmente aumentando in ogni paese che progredisce; e non vi è quindi in teoria nulla che sia contrario all’equità o all’istituzione della proprietà privata territoriale, nell’aumento progressivo dell’imposta che la colpisce. Le difficoltà qui vertono piuttosto sul modo pratico di ottenere questo aumento dell’imposta sulla rendita fondiaria, senza che essa degeneri in tassa sull’industria agricola, oppure colpisca come aumentata una rendita fondiaria che nel caso particolare può essere scemata. Quando si potesse in pratica ottenere che l’imposta prediale non graviti che sulla rendita fondiaria, non vi sarebbe nulla da obiettare ad una periodica revisione, o perequazione che si voglia chiamare, dell’imposta stessa, onde seguire quei mutamenti che si verificano nel valore dei vari terreni, a industria eguale, e indipendentemente dall’opera dei rispettivi proprietari. E il prof. Basile, il quale ci propone un mezzo ingegnoso di applicazione dell’imposta prediale sulla sola rendita fondiaria, ammette difatti anch’egli la revisione ventennale delle mappe catastali, onde mantenere per tutti la medesima proporzione tra l’imposta e la rendita.

Ma tutto ciò non implica affatto la conseguenza che si debba gravare, come si propone di fare col progetto Minghetti, il capitale che si applica stabilmente all’industria agricola in modo diverso da qualunque altro capitale che s’impieghi in qualunque altra industria. Qui sarebbe il caso di applicare un’imposta sulla rendita, ossia l’imposta sulla ricchezza mobile, e non un’imposta sul capitale, la quale tenderebbe ad impoverire il paese.

Il nostro sistema tributario ci i seguenti controsensi: — A, B, e C hanno un capitale di un milione per uno. A lo impiega nell’industria; B compra rendita dello Stato al saggio corrente d’interesse sui valori, e C compra un fondo pure al saggio corrente d’interessi, il quale saggio in questo caso sarà alquanto meno che nell’impiego di B, per la maggiore sicurezza del capitale e per la previsione delle maggiori rendite che la terra ogni anno in un paese di civiltà progrediente. A paga sulle entrate della sua industria il 9,90%: — B non paga alcuna imposta, poichè egli ha comprato in Borsa tanti titoli, su cui c’era stampata una cifra di 100 lire come capitale nominale e una promessa di pagamento annuo di 5 lire, ma che egli ha pagato 75 lire, sapendo che il frutto annuo era di L. 4.34 e facendo così un impiego al saggio di 5.78%; ha mai più sentito parlare di esattore: — C nemmeno non paga imposta se si calcola una media di più anni, poichè egli ha comprato al 5%, detratta l’imposta fondiaria, calcolando le rendite del fondo sulla media del decennio. Egli paga, è vero, una somma annua a titolo d’imposta fondiaria, così come pagherebbe i frutti di una parte del prezzo che non avesse sborsata al venditore, ma questo pagamento non tocca in alcun modo le sue entrate che sono state calcolate all’infuori di esso. È vero che se viene un’annata cattiva e in cui manchino tutte o buona parte delle raccolte, egli dovrà pagare egualmente l’imposta fondiaria, ma anche questo caso era preveduto, giacchè egli fece i calcoli sulle raccolte medie di un decennio. Sicchè con questo bellissimo ordinamento delle nostre imposte il capitale non paga che quando si alle industrie, cioè quando più si rende utile al paese.

Ma ora supponiamo che C, che è uomo intraprendente, impieghi altre 100,000 lire sul suo fondo in parecchie piantagioni che secondo i suoi calcoli dovranno aumentare in media le sue entrate di 4000 lire all’anno, oltre una quota di ammortamento delle 100,000 lire computato sulla probabile durata delle piantagioni fatte. È questo un nuovo impiego industriale che non paga alcuna imposta; «ed ecco — grideranno gli avversari, — la riprova della necessità della perequazione». Adagio, signori. Quella nuova esenzione da ogni imposta delle 100,000 lire impiegate nell’industria agricola, è, non v’ha dubbio, una nuova ingiustizia di fronte ad A, da aggiungersi alle altre già menzionate. Ma supponiamo ora che si faccia la perequazione secondo il sistema proposto dal Minghetti. C non pagherà col nuovo catasto, non più che col vecchio, alcuna imposta sul milione impiegato nella compera del fondo; ma gli verrà invece applicato un aumento d’imposta fondiaria per quelle vigne e quegli oliveti ch’egli avrà creato coll’impiego delle 100,000 lire, e queste verranno quindi tassate in media per lo meno al 20% della rendita effettiva, ossia pagherà circa 800 lire annue di più per punirlo dell’aver pensato ad impiegare un capitale nel suo fondo e della sua presunzione di voler migliorare il suolo del suo paese. E si sarà commesso, in nome di non sappiamo bene che cosa, una nuova ingiustizia, gravando quel capitale di C del 20%, invece che del 9,90 come ad A; e ciò soltanto perchè si tratta d’industria agricola invece che manifatturiera. Il che appare tanto più strano e inconcepibile quando si pensi come la ragione fondamentale dell’istituzione della proprietà privata territoriale sia appunto quella di promuovere maggiormente l’industria agricola. — O non sarebbe più giusto il gravare A, B, e C, ognuno sulle sue rendite complessive, coi criteri della ricchezza mobile, o piuttosto della nostra tassa di famiglia comunale, qualunque sia la fonte da cui quelle rendite provengano, e lasciando soltanto per di più sul fondo di C l’imposta prediale depurata da ogni elemento di tassa industriale? —

 

 




267 Michele Basile: I Catasti d’Italia e l’Economia Agricola in Sicilia. Messina, 1875, pag. 41. — Tutta questa questione è trattata nel lavoro del Basile con molto acume e con chiarezza. Concordiamo nelle conclusioni del dotto professore messinese; ma vorremmo aggiungervi una clausola sola. Ci pare che il Basile, nella foga dell’impeto contro chi vorrebbe tassare con l’imposta fondiaria i frutti del lavoro e del capitale applicati al suolo, vada all’eccesso opposto di voler esentare da qualunque imposta tutta quella parte di capitale che impiegandosi nel suolo sotto forma di miglioramenti, serve pure di base all’industria agricola, e non può nonostante essere colpita dall’attuale imposta di ricchezza mobile sul coltivatore che non sia proprietario.

Il ragionamento stesso del Basile, che troviamo giustissimo, porta a nostro credere, logicamente a queste conseguenze: — Abolito ogni sistema di ritenuta nell’esazione dell’imposta di ricchezza mobile, questa dovrebbe convertirsi in una vera imposta sulle rendite o entrate (income tax), qualunque sia la fonte da cui esse provengono. L’imposta prediale dovrebbe poi colpiresecondo il sistema proposto dal Basile, o altro che si adotti purchè informato agli stessi principii — la sola rendita fondiaria. A questo modo anche i proprietari, come qualunque altro cittadino, contribuirebbero all’imposta in proporzione dei loro averi, e l’industria agricola non sarebbe colpita che da quella stessa tassa che colpisce qualunque altra industria. Supponendo per esempio che un proprietario non conduca da il suo fondo, ma conceda la sua terra a un affittuario, il capitale fisso impiegato nella terra verrebbe colpito dalla tassa di ricchezza mobile pagata dal proprietario, e il capitale annuo d’esercizio da quella pagata dall’affittuario.

Volendo introdurre però questo ordinamento delle imposte, bisognerebbe forse — per non cadere in un sistema di confische, e non aggravare troppo a un tratto la condizione dei proprietaricalcolare la nuova imposta prediale da applicarsi, non sul totale dell’imposta attuale, ma su quanto ne rimane dopo detratta tutta quella parte che vi ha in essa di vera imposta di ricchezza mobile, ossia, volendo prendere per esempio le medie generali del Regno e restringendosi alla sola imposta prediale principale, da ogni 205 d’imposta prediale principale bisognerebbe togliere 132 a titolo di ricchezza mobile, e misurare quindi la nuova imposta prediale sulla somma del residuo. Gli altri 13,20 per 100 lire d’entrata verrebbero pagati dal proprietario a titolo di ricchezza mobile.

A noi sembra che sia appunto la confusione che attualmente si fa nell’imposta prediale, dei due concetti di tassa sulla rendita fondiaria, ossia tassa sul capitale, e di tassa di ricchezza mobile, ossia tassa sulle entrate, che porti a chiedere delle periodiche perequazioni dell’imposta prediale che tengano conto dei soli prodotti, ossia del grado di coltivazione del terreno; poichè informandosi al concetto della ricchezza mobile da un lato, e dall’altro ad un vago concetto del diritto che ha lo Stato di appropriarsi una parte della rendita fondiaria, non si bada a ciò che la nuova imposta secondo l’attuale sistema di catastazione colpirebbe, come diciamo nel testo, la sola industria agricola, e non gli aumenti effettivi di rendita fondiaria.



268 Vedi: Progetto di legge sulla Perequazione dell’Imposta fondiaria, presentato alla Camera dei Deputati dal Ministro delle finanze (Minghetti) nella tornata del 21 maggio 1874.






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