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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO SECONDO   I CONTADINI
    • PARTE TERZA                       RIMEDI E PROPOSTE
      • Capitolo I.   L’AZIONE DELLO STATO
        • § 93. — Esazione delle imposte.
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§ 93. — Esazione delle imposte.

Fin qui abbiamo detto dell’imposizione delle tasse: ora scendendo ai metodi di esazione, vorremmo additare ai nostri uomini di Stato e agli studiosi di Finanza, un inconveniente speciale che presentano i nostri sistemi di esazione delle imposte dirette, di fronte al piccolo agricoltore che non è munito di forti capitali. Si tratta, è vero, di un inconveniente difficile ad evitarsi del tutto nella pratica; ma può però essere utile di rilevarlo, onde cercare se non sia possibile di attenuarlo in una certa misura, senza che ne venga danno all’erario.

Le nostre tasse dirette colpiscono tanto più duramente il piccolo agricoltore, per l’epoca inopportuna e dunque uniforme della loro esazione. La tassa ideale per l’agricoltore sarebbe quella la cui esazione corrispondesse coll’epoca dei raccolti principali del luogo: così, per esempio, in un distretto vinicolo, come a Marsala o a Mazzara, sarebbe molto meno risentita quella tassa che si esigesse dopo la vendemmia; e invece in un distretto dell’interno della Sicilia dove la coltivazione principale fosse del grano, quella che dovesse pagarsi dopo la trebbiatura. Ogni riscossione invece che si faccia in altra epoca dell’anno, e specialmente nei mesi più lontani dall’ultima raccolta, trova il contadino privo di capitali, e stentando la vita per arrivare fino al momento della nuova raccolta, la quale dovrà compensarlo delle fatiche di tanti mesi, e saldare tutte le pratiche di debito ch’egli ha dovuto incontrare per mantenersi durante il tempo dei lavori. Per pagare dunque l’esattore delle tasse quel contadino dovrà incontrare maggiori debiti e sottoporsi perciò a qualunque usura; oppure gli verranno sequestrati i miseri capitali che gli sono necessari per poter ottenere in fin d’anno quel raccolto sul quale deve vivere, e dal quale deve in fin dei conti pagare la tassa. È vero che gli stessi esattori potrebbero in parte rimediare a questo inconveniente col concedere dilazioni al pagamento; ma nel fatto essi non vogliono quasi mai consentire a ciò, e in ogni modo non lo potrebbero fare senza esigere anch’essi un qualche interesse sui capitali che debbono anticipare.

Tutto ciò non ha una grande importanza dove per la varietà delle colture frammischiate negli stessi poderi, il contadino ha vari cespiti d’entrata che gli fruttano in epoche diverse; ma nei luoghi invece in cui, come in gran parte di Sicilia, la coltura è quasi unica, l’accennato inconveniente dell’esazione rateale e bimestrale delle imposte dirette diventa più grave. Queste considerazioni servono pure a spiegare in parte lo strano fenomeno che ognuno avrà potuto osservare, di quanto maggiore sia il malumore che crea nel contadino un’imposta governativa, per quanto tenue sia l’importare, a confronto di quello che in lui risvegliano il sopruso, l’usura e la ruberìa ch’egli abbia a sopportare per mano del privato, o a mo’ d’esempio, la tassa effettiva che da lui esigono il cappuccino questuante o il malandrino. Ciò si potrebbe, diciamo, attribuire in parte al fatto che l’imposta governativa vien spesso richiesta quando il lavorante non ha più nulla o quasi nulla; mentre se fosse presa, come le esazioni private, al momento in cui egli si trova possessore di un piccolo fondo per le raccolte fatte, per il pagamento ricevuto, ecc., lo disgusterebbe molto meno. E la stessa considerazione vale pure a spiegarci come minore potesse essere il malcontento cagionato dalle antiche decime pagate dal coltivatore al barone o alla Chiesa, di quello destato ora da gravezze minori.

 

 




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