§ 93. — Esazione delle
imposte.
Fin qui abbiamo detto dell’imposizione delle
tasse: ora scendendo ai metodi di esazione, vorremmo additare ai nostri uomini
di Stato e agli studiosi di Finanza, un inconveniente speciale che presentano i
nostri sistemi di esazione delle imposte dirette, di fronte al piccolo
agricoltore che non è munito di forti capitali. Si tratta, è vero, di un
inconveniente difficile ad evitarsi del tutto nella pratica; ma può però essere
utile di rilevarlo, onde cercare se non sia possibile di attenuarlo in una
certa misura, senza che ne venga danno all’erario.
Le nostre tasse dirette colpiscono tanto più
duramente il piccolo agricoltore, per l’epoca inopportuna e dunque uniforme
della loro esazione. La tassa ideale per l’agricoltore sarebbe quella la cui
esazione corrispondesse coll’epoca dei raccolti principali del luogo: così, per
esempio, in un distretto vinicolo, come a Marsala o a Mazzara, sarebbe molto
meno risentita quella tassa che si esigesse dopo la vendemmia; e invece in un
distretto dell’interno della Sicilia dove la coltivazione principale fosse del
grano, quella che dovesse pagarsi dopo la trebbiatura. Ogni riscossione invece
che si faccia in altra epoca dell’anno, e specialmente nei mesi più lontani
dall’ultima raccolta, trova il contadino privo di capitali, e stentando la vita
per arrivare fino al momento della nuova raccolta, la quale dovrà compensarlo
delle fatiche di tanti mesi, e saldare tutte le pratiche di debito ch’egli ha
dovuto incontrare per mantenersi durante il tempo dei lavori. Per pagare dunque
l’esattore delle tasse quel contadino dovrà incontrare maggiori debiti e
sottoporsi perciò a qualunque usura; oppure gli verranno sequestrati i miseri
capitali che gli sono necessari per poter ottenere in fin d’anno quel raccolto
sul quale deve vivere, e dal quale deve in fin dei conti pagare la tassa. È
vero che gli stessi esattori potrebbero in parte rimediare a questo
inconveniente col concedere dilazioni al pagamento; ma nel fatto essi non
vogliono quasi mai consentire a ciò, e in ogni modo non lo potrebbero fare
senza esigere anch’essi un qualche interesse sui capitali che debbono
anticipare.
Tutto ciò non ha una grande importanza là dove
per la varietà delle colture frammischiate negli stessi poderi, il contadino ha
vari cespiti d’entrata che gli fruttano in epoche diverse; ma nei luoghi invece
in cui, come in gran parte di Sicilia, la coltura è quasi unica, l’accennato
inconveniente dell’esazione rateale e bimestrale delle imposte dirette diventa
più grave. Queste considerazioni servono pure a spiegare in parte lo strano
fenomeno che ognuno avrà potuto osservare, di quanto maggiore sia il malumore
che crea nel contadino un’imposta governativa, per quanto tenue sia
l’importare, a confronto di quello che in lui risvegliano il sopruso, l’usura e
la ruberìa ch’egli abbia a sopportare per mano del privato, o a mo’ d’esempio,
la tassa effettiva che da lui esigono il cappuccino questuante o il malandrino.
Ciò si potrebbe, diciamo, attribuire in parte al fatto che l’imposta
governativa vien spesso richiesta quando il lavorante non ha più nulla o quasi
nulla; mentre se fosse presa, come le esazioni private, al momento in cui egli
si trova possessore di un piccolo fondo per le raccolte fatte, per il pagamento
ricevuto, ecc., lo disgusterebbe molto meno. E la stessa considerazione vale
pure a spiegarci come minore potesse essere il malcontento cagionato dalle
antiche decime pagate dal coltivatore al barone o alla Chiesa, di quello
destato ora da gravezze minori.
|