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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO SECONDO   I CONTADINI
    • PARTE TERZA                       RIMEDI E PROPOSTE
      • Capitolo I.   L’AZIONE DELLO STATO
        • § 94. — La mezzadrìa secondo il Codice Civile.
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§ 94. — La mezzadrìa secondo il Codice Civile.

Abbiamo finito colle imposte. Ora volgendoci alla legislazione civile, diremo prima succintamente di alcune piccole mende che ci sembra presentare il nostro Codice civile nelle sue disposizioni intorno alla colonìa o mezzadrìa, ed all’enfiteusi; e quindi studieremo tutte quelle più radicali proposte che sono state fatte riguardo a innovazioni nei contratti agricoli, da imporsi per legge ai proprietari.

Fu grave torto del nostro Legislatore di aver preso per tipo del contratto di colonìa quella forma che è praticata in Piemonte e in Lombardia, e che più s’informa al concetto di vero e proprio fitto che a quello di mezzadrìa, ossia di società274. Negli articoli del Codice difatti si parla sempre di locatore e di conduttore; — si applicano in generale alla colonìa le regole della locazione, e in particolare quelle della locazione di fondi rustici (art. 1647), sicchè il colono resta libero di dirigere a modo suo l’economia agricola del suo podere; — si suppone in mancanza di consuetudini locali o di convenzioni espresse, che tutto il bestiame e gli strumenti agricoli debbano appartenere al colono (art. 1655). Nel capitolo successivo sulla società si prescrive che «se il bestiame è perito, o il suo valore primitivo diminuito senza colpa del conduttore, la perdita è a carico del locatore», (art. 1675).

Orbene, tutte queste disposizioni non solo non rispondono alle consuetudini locali della più gran parte d’Italia, ma nemmeno a quelle principali dell’Italia centrale, dove la mezzadrìa è meglio riuscita sotto ogni riguardo. Benchè il Codice non presuma regolare il contratto di colonìa nei suoi particolari, laddove vi siano consuetudini locali, pure le regole generali sulla locazione sono dettate in modo imperativo, e vi è inoltre l’inconveniente anche per le altre, di istituire una tendenza ad avvicinare la pratica generale alle disposizioni legislative, il che per molte provincie sarebbe un danno, con buona pace dell’avv. Ercolano Ercolani275, il quale, innamorato della sapienza del legislatore, non sa rendersi ragione della passiva resistenza degli agricoltori a conformarsi a tutti quanti i dettami anche facoltativi del Codice.

Perchè non prendere per tipo del contratto colonico, anzichè quello adottato dal Codice Albertino, l’altro del Valdarno, regolato dalle leggi leopoldine e dalla successiva giurisprudenza toscana? Avremmo anzichè un contratto di locazione, uno di società, e il bestiame verrebbe dato dal proprietario, e per conto metà profitti e perdite. Col diritto nel proprietario di aver voce nella coltivazione del fondo, si rendono possibili i progressi nell’agricoltura; e col bestiame prestato dal proprietario e in conto metà, si assicura al fondo una sufficiente concimazione, si salva il contadino da tutti quei cambiamenti nel contratto che sarebbero resi facili dal mescolarvi un elemento di fitto, e si distribuisce egualmente tra i due soci, il proprietario e il contadino, ogni spesa e ogni profitto del podere. Si noti che anche nel Bergamasco, dove esiste una mezzadrìa sul tipo di quella considerata dal nostro Codice, i proprietari più intelligenti cercano, e per ora invano, di mutare gli usi locali, e d’introdurre il sistema del bestiame per conto metà.

 

 




274 Riguardo a tutta questa questione vedi: Sulle Disposizioni Legislative intorno alla mezzadrìa: reclami e proposte del Comizio agrario di Ravenna. — Non concordiamo in tutte le conclusioni dello scrittore (dottor Pietro Santucci, presidente di quel Comizio), ma questo ci sembra un lavoro informato a concetti molti più pratici e seri, che non le critiche fatte ai proprietari toscani dall’avv. Ercolani; vedi: Della locazione e conduzione dei fondi rustici e della Società colonica secondo il disposto del patrio Codice Civile. Siena, 1875, pag. 134-139. — Il dotto Avvocato si maraviglia che tutti i proprietari non s’affrettino a seguire le disposizioni del Codice regolatrici del contratto colonico, anche dove sono assai diverse le consuetudini locali. Così egli vorrebbe che il bestiame fosse tutto di proprietà del colono, come pure i foraggi per l’inverno e gli strumenti agricoli, e per strumenti agricoli (pag. 167) l’Avvocato intende l’aratro, i carri, i trebbiatoi, e tutto quanto altro occorre per le aziende agricole. È facile il comprendere quanto vantaggio ne verrebbe all’agricoltura nostra, se nelle condizioni attuali dei coloni in Italia non si dovessero coltivare i fondi che col bestiame e cogli arnesi agricoli che essi potessero acquistare e mantenere. L’ideale da lui vagheggiato per questa parte della colonìa, l’avv. Ercolani lo potrà ritrovare nelle metaterìe siciliane, dove il mulo o l’asino che tira l’aratro è di proprietà del contadino o da questi preso in affitto, e così pure l’aratro stesso che si compone di due pali e un chiodo, e che si carica comodamente sull’asino che trasporta il contadino al lavoro.

Ma supponiamo per un momento che le disposizioni del Codice si adottassero tutte nell’Italia centrale, dove la mezzerìa ora indubbiamente i suoi migliori risultati agricoli e sociali; che cosa ne verrebbe? — Ove il colono possedesse tutto il bestiame bisognerebbe che avesse una parte del podere a fitto, poichè altrimenti darebbe a mangiare alle bestie del foraggio che è proprietà comune, e avrebbe un interesse troppo forte ad aumentare sempre più la parte del podere da coltivarsi a foraggio, visto che i guadagni del bestiame sarebbero suoi, mentre i guadagni sui prodotti del suolo vanno divisi a metà. Ecco quindi che entra subito nella mezzadrìa un elemento di fitto, e questo, lo abbiamo già dimostrato, è una minaccia grave per la condizione generale e dei contadini e dell’agricoltura, e ciò specialmente dove, come nella maggior parte d’Italia, non vi è in ogni podere un appezzamento distinto che si possa irrigare e coltivare permanentemente a prato, onde darlo in affitto al colono, come si fa spesso in Piemonte. In questo ultimo caso, la cosa è meno dannosa: il bestiame e il fitto del prato formano come un’industria distinta dalla coltivazione del podere, e l’unico danno per il colono è quello che sopra di lui solo ricade il peso di tutta la lavorazione e della concimazione del podere. Ma dove invece l’elemento di fitto occupa tutto il suolo come nell’alto Milanese, oppure alternativamente un campo dopo l’altro seguendo la rotazione agricola, come in alcuni punti del Bergamasco e anche del Messinese — specialmente in alcuni terreni bassi dei circondari di Patti e di Castroreale che sono coltivati a mezzadrìa e in cui s’avvicenda la sulla col grano, — la condizione del colono tende gradatamente a peggiorare, perchè il canone d’affitto può facilmente venir aggravato e in modo da non corrispondere più al solo foraggio del bestiame, ma da riescire alla diminuzione effettiva della parte del contadino anche nella divisione dei prodotti di quella frazione del podere che rimane coltivata a mezzadrìa. E se il bestiame è del colono, che interesse avrà il proprietario alle buone stalle? e come potrà assicurarsi di una conveniente concimazione del fondo? E alla prima annata cattiva, come si lavorerà più il fondo, come si concimerà? Dovrà forse il proprietario anticipare il denaro al contadino perchè si comperi del nuovo bestiame? Ma allora sparisce l’unica ragione per cui — ed è questo che l’avv. Ercolani non ha tenuto a mente — in ogni contratto agricolo che abbia forma di fitto conviene che il coltivatore possieda del bestiame; ed è quella di fornire al proprietario una garanzia per l’esatto adempimento del contratto, e un pegno che lo assicuri da qualunque deterioramento del fondo per parte dell’affittuario. Il contratto poi di colonìa prenderebbe tanto più necessariamente il carattere di fitto, coi danni conseguenti del fitto piccolo, quando, a norma degli articoli del Codice, la direzione della coltivazione del podere, ossia l’uso della cosa locata, spettasse al colono o conduttore. Sono queste due cose che si tengono strettedirezione della coltura dal colono, e fitto: l’una conduce necessariamente all’altra. E il concedere l’esclusiva direzione del fondo al colono sarebbe attualmente in Italia di grave ostacolo ai progressi dell’agricoltura. Anche alla mezzerìa sul tipo toscano si riscontra un serio ostacolo ai miglioramenti agricoli nella riluttanza del mezzadro o consocio, il quale ha necessariamente una voce in capitolo in un’industria di cui deve godere la metà dei risultati: che cosa sarebbe poi ove le disposizioni del Codice civile diventassero la regola generale? —

Si persuada dunque l’avv. Ercolani che non è soltanto l’attuale «inopia» dei coloni dell’Italia centrale, che rende impraticabili o inopportune le sapienti disposizioni dettate dai nostri legislatori; e che essi, per dettarle, avrebbero fatto meglio, anzichè «rovistare su vecchie leggi, e su dotte carte», d’informarsi un po’ più di quel che si faceva nelle varie provincie d’Italia.



275 Vedi nota antecedente.






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