§ 96. — Disposizioni
limitatrici della libertà di contrattare.
Esaminate così alcune piccole riforme che si
potrebbero facilmente introdurre nella nostra legislazione, e che diciamo
piccole non perchè le crediamo poco importanti, ma perchè non potrebbero
sollevare alcuna questione di principii, giacchè non importano alcuna maggiore
limitazione alla libertà dei contratti, dobbiamo ora accennare a varie proposte
state fatte di provvedimenti più radicali, con cui in qualche modo il
legislatore a nome dell’interesse pubblico verrebbe a limitare di più la libera
disposizione, il jus abutendi se non quello utendi, della
proprietà privata del suolo, o la libertà delle contrattazioni.
Nessuno contesta il diritto nel legislatore di
introdurre tali limitazioni, e non vi è titolo del Codice che già non ne
contenga, come per esempio quando si vieta il patto di non affrancabilità delle
enfiteusi, oppure si annulla nel contratto di soccida qualunque convenzione per
cui il conduttore abbia nella perdita una parte più grande del guadagno, ecc.
La sola questione che si possa fare è sulla opportunità, sull’utilità pratica e
sull’efficacia di tali disposizioni limitative. E portata la questione in
questo campo, non vi è elemento di fatto nelle condizioni generali di un paese,
che non abbia valore per determinare se e in quanto il legislatore debba
nell’interesse generale limitare con speciali provvedimenti la libertà delle
contrattazioni private relative alla coltivazione del suolo. Ciò ben intendono
gl’Inglesi, ai quali non reca alcuna maraviglia, che una legge decretata per
l’Irlanda a nome della giustizia e dell’equità, non venga estesa pure
all’Inghilterra, per la sola ragione che questa si trova in condizioni di fatto
diverse; e ciò benchè i mali dell’Irlanda dipendessero in gran parte da quella
stessa legislazione economica che vige tuttora in Inghilterra. E questo non
intendono generalmente gl’Italiani, ai quali sembra che l’unità politica debba
necessariamente condurre ad una presunzione juris et de jure che i
bisogni e i mali economici e sociali delle diverse provincie siano identici, e
debbano curarsi cogli identici rimedi. I nostri legislatori potrebbero in ciò
spesso rassomigliarsi a un medico, che chiamato in una famiglia a curare uno
dei membri di essa, e accorgendosi che l’ammalato ha bisogno di un salasso, si
credesse in dovere, per non rallentare i legami di famiglia, di cavare qualche
oncia di sangue a tutti quanti di casa. Ma veniamo all’esame delle singole
riforme state proposte da vari scrittori. Diremo soltanto delle principali, e
nell’ordine seguente: 1° della proibizione della coltura delle risaie; 2°
dell’imposizione per legge di determinate forme di contratto agricolo, sia di
fitto, sia di mezzadria; 3° della dichiarazione per legge del diritto del
coltivatore al compenso per i miglioramenti da esso introdotti nel fondo; 4°
dei provvedimenti speciali da adottarsi per l’attuazione delle riforme.
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