Capitolo II.
L’AZIONE
DEI PROPRIETARI
§ 107. — Azione dei
proprietari.
Entrando ora nel campo di azione riservato
all’iniziativa individuale, cominceremo dal rivolgerci ai proprietari. Essi
forse avranno l’animo alquanto irritato contro di noi, per qualche verità detta
loro troppo crudamente in queste pagine; ma non temiamo che una tale
irritazione possa indurre mai coloro che sentono nobilmente a chiudere
volontariamente gli occhi alle sciagure che li attorniano, o far sì che essi
non pesino con imparzialità ogni consiglio e ogni proposta che miri a togliere
o a diminuire quei mali.
Chi cresce in mezzo a un ambiente di oppressione
e di dolori è troppo incline a considerare quelle condizioni come una fatalità
ineluttabile; e se di animo sensibile, sfugge talvolta quei contatti che
l’addolorano, oppure rivolge tutta la sua energia a lenire particolari
sofferenze individuali, senza sognare alla possibilità di una cura più radicale
e più energica delle malattie sociali, intesa a prevenire il male, anzichè ad
alleviarlo. Agli animi miti, fiacchi, che sentono vivo l’amor proprio, e a cui
non bastando l’approvazione della propria coscienza, riesce quasi di necessità
la lode dei compagni; a tali nature che pullulano ora nel nostro paese, ripugna
di farla da novatori, di lanciarsi in vie nuove e spinose, in cui dovrebbero
perseverare in mezzo a mille disgusti, a difficoltà finanziarie, e andando
incontro per giunta al biasimo di tutti quelli che li circondano.
Non è a questi che ci rivolgiamo; ma invece a
quei proprietari, e ve ne sono in Sicilia come altrove, che deplorando i mali
bramano di adoperarsi con tutte le loro forze per apporvi un rimedio; e pei
quali basta che venga loro additato dove sta veramente la piaga, e quali sono i
mezzi più atti per guarirla, perchè non esitino un momento a esporre e riputazione
e averi per la causa dell’umanità. Noi non parleremo loro, come è moda
oggigiorno, in nome del solo tornaconto individuale; non diremo che le riforme
da introdursi debbano necessariamente accrescere le loro rendite, nè che basti
sempre di cercare il proprio vantaggio, perchè ne risulti il vantaggio di
tutti. Ciò potrebbe esser vero in parte, e in parte no. È il falso supposto che
il loro tornaconto personale armonizzi sempre necessariamente, fatalmente,
coll’interesse sociale, che ha spinto tante nature generose ed energiche ad
occuparsi esclusivamente in agricoltura della questione della produzione, senza
darsi pensiero delle forme di distribuzione della ricchezza prodotta.
Invochiamo l’istinto della socievolezza, e non quello dell’egoismo; ed è nel
nome del dovere, che spesso implica il sagrifizio, che supplichiamo i
proprietari di occuparsi della condizione dei loro contadini, e non per far
loro la carità, ma per regolare i propri rapporti con essi in modo che di
carità non ci sia bisogno fuorchè in via eccezionale e straordinaria. E siccome
la legge morale è la legge sociale, osiamo predire, senza pretenderla a
profeti, che se questo faranno, ne verrà gran bene al paese, e se no, tutti ne
soffriranno, gli oppressori come gli oppressi. Ma torniamo alle forme umili del
nostro ragionamento.
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