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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO SECONDO   I CONTADINI
    • PARTE TERZA                       RIMEDI E PROPOSTE
      • Capitolo III.   MEZZI D’AZIONE DEI CONTADINI
        • § 4 e 5). Non ripeteremo qui quanto già dicemmo allora, ma ricordiamo al lettore come le società pastorali dette alla mistrettese o per le spese, prendano talvolta in affitto per conto sociale intiere proprietà, riconcedendo poi quella parte che va coltivata a grano ai villani, coi soliti patti di metaterìa o di terratico. Qui dunque la cooperazione vi è soltanto nella costituzione della società per l’affitto del feudo, e nella industria pastorale, ma per quanto riguarda la coltivazione dei campi i contratti sono i soliti. Lo stesso si dica della forma ora disusata di associazione pastorale detta mandra della perfetta società, la quale differiva dalla mandra alla mistrettese in ciò che ogni azione sociale, invece di essere costituita da ogni capo di animale, era calcolata sul valore degli animali che ogni socio contribuiva al fondo comune.
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§ 4 e 5). Non ripeteremo qui quanto già dicemmo allora, ma ricordiamo al lettore come le società pastorali dette alla mistrettese o per le spese, prendano talvolta in affitto per conto sociale intiere proprietà, riconcedendo poi quella parte che va coltivata a grano ai villani, coi soliti patti di metaterìa o di terratico. Qui dunque la cooperazione vi è soltanto nella costituzione della società per l’affitto del feudo, e nella industria pastorale, ma per quanto riguarda la coltivazione dei campi i contratti sono i soliti. Lo stesso si dica della forma ora disusata di associazione pastorale detta mandra della perfetta società, la quale differiva dalla mandra alla mistrettese in ciò che ogni azione sociale, invece di essere costituita da ogni capo di animale, era calcolata sul valore degli animali che ogni socio contribuiva al fondo comune309.

In tutte però le dette forme di associazioni cooperative, compresa quella citata del signor Gurdon, il principio cooperativo non è stato che imperfettamente applicato, giacchè tutti i profitti dell’impresa vanno intieramente al capitale, e il lavoro non vi partecipa affatto, ma vien retribuito esclusivamente coi salari convenuti. Perchè la cooperazione possa dare tutti i suoi frutti, bisogna che contenga sempre l’elemento della compartecipazione del lavoro agli utili, in modo che i profitti dell’impresa industriale vadano, dopo prelevazione dell’interesse corrente sul capitale, divisi proporzionalmente tra il capitale e il lavoro come rappresentato dalla somma dei salari.

Quello che diversifica poi l’associazione cooperativa di produzione come introdotta dal signor Gurdon, da quelle di cui abbiamo trovato qualche esempio in Sicilia, è che in queste ultime la effettiva coltivazione delle terre prese in affitto non si fa secondo il principio cooperativo, riunendo tutte le forze individuali in un’impresa comune e condotta su vasta scala, ma invece quei terreni si dividono volta per volta tra i singoli interessati; dimodochè la cooperazione non è attiva che nella costituzione della società con tanti piccoli capitali riuniti, e nell’industria pastorale, oppure talvolta anche nel regolamento in comune dell’avvicendamento agricolo su tutta la estensione del latifondo.

Nei contadini siciliani è assai vivo lo spirito di associazione; essi mancano però dell’istruzione e dell’educazione morale necessarie per poter ritrarre dall’associazione tutti i frutti che essa è capace di dare. Anche in occasione della censuazione dei beni ecclesiastici, vi furono esempi di associazioni formate dai contadini per presentarsi all’asta e fare acquisto in comune di grossi lotti di terreno, onde poi repartirli tra i soci in lotti minori310.

È dunque lecito lo sperare che in avvenire la cooperazione possa pure esser uno dei mezzi utili per sollevare la condizione del contadino in Sicilia, e ciò specialmente ove si sappia includervi il principio della compartecipazione: quando ciò potesse avvenire, si sarebbe attuata quella forma di soluzione della questione sociale, che i più chiari ingegni ci additano come la sola veramente efficace e che non presenti gravi pericoli per la civiltà. Ma per giungere a tanto ideale, bisognerebbe che prima, coll’introduzione di tutte le forme minori di associazioni di previdenza, si potessero gradatamente educare i contadini a poter tentare utilmente le forme più alte di associazione, sviluppando a poco a poco in loro le necessarie qualità di prudenza, di risparmio e di abnegazione per una causa comune, ed elevandoli ad un certo grado d’istruzione. È evidente poi la necessità del benevolo concorso dei proprietari perchè le associazioni cooperative di produzione di contadini, di qualunque forma esse siano, possano per ora, non che prosperare, nemmeno cominciare.

Qualche esperimento si sarebbe potuto tentare sulle proprietà demaniali, quando alcuna parte di queste si fosse riservata allo Stato per promuovervi qualche istituzione a benefizio delle classi povere; il che, trattandosi di beni già ecclesiastici, non sarebbe stato che di pura equità. Oramai di beni demaniali o ecclesiastici non è più il caso di discorrere; però restano sempre i beni delle Opere pie. La minacciata alienazione di questi, lo ripetiamo, sarebbe a nostro parere una nuova follìa, e che rasenterebbe l’ingiustizia; ed è nel timore che essa abbia luogo, che reputiamo attualmente pericolosa e dannosa ogni avocazione della proprietà di quei beni allo Stato, in cambio di altrettanta rendita da destinarsi agli Istituti pii. Ma avvenga o non una tale avocazione, le proprietà territoriali delle Opere pie non debbono sprecarsi per colmare i deficit del bilancio italiano: esse sono un capitale prezioso con cui, senza perdita per nessuno, si potrebbe iniziare un movimento di completa trasformazione delle condizioni economiche e sociali delle classi agricole, cioè di più di metà della popolazione d’Italia.

L’indole di questo lavoro non ci consente di qui analizzare la natura e i vantaggi della cooperazione, non dovendo noi fare un trattato di Economia sociale, e non potendo d’altra parte supporre il lettore affatto digiuno di tali studi.

 

 




309 Vedi: Turrisi, op. cit., pagg. 49 e 50.



310 Vedine esempi in Corleo, op. cit., pag. 285. Non bisogna però credere che in tutti i casi di cui parla il Corleo si trattasse veramente di contadini; spesso erano anche società di proprietari e di capitalisti minori.






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