§
105) quale ci pare essere l’ufficio dello Stato e il limite della giusta sua
ingerenza di fronte all’emigrazione. Quanto poi alla questione se questa giovi
o no alla condizione dei contadini in Italia, già dall’anno scorso313
avemmo occasione di dichiararci in tèsi generale per l’affermativa.
In alcuni punti della Basilicata, e del Novarese,
nell’alto Comasco, e nel Varesotto, l’emigrazione dei contadini ha già
contribuito sensibilmente ad elevare le condizioni della classe agricola; e in
queste due ultime regioni a creare una classe numerosa di contadini
proprietari.
Nella Valtellina poi l’emigrazione dei contadini
ha prodotto una vera rivoluzione sociale. Dalla bella Memoria del Jacini: Sulle
condizioni economiche della provincia di Sondrio, scritta nel 1858, si può
rilevare a quali tristissime condizioni era ridotta quella regione per l’azione
di varie cause, e specialmente per l’imposizione del nuovo censo austriaco, e
per la crittogama che aveva rovinato i vitigni. Tutta la classe dei proprietari,
che prima viveva di rendita, era rovinata, e i contadini morivano letteralmente
di fame. Cominciò allora, per le relazioni di alcuni Valtellinesi con degli
Svizzeri, l’emigrazione dei contadini per l’Australia, ed andò poi
progressivamente aumentando. Arrivati in Australia quei contadini vivevano
sobriamente, e accumulavano in pochi anni qualche migliaio di lire: allora
tornavano in patria, e pagavano i loro debiti, restituendo i denari che avevan
presi in prestito per poter emigrare. Quindi ripartivano per l’Australia, e
riunito di nuovo un piccolo capitale, se ne ritornavano nuovamente in
Valtellina, dove compravano le terre che vendevano i proprietari rovinati.
Dapprima i prezzi delle terre erano bassi, ma sono sempre andati crescendo: i
contadini però badano poco al prezzo, e siccome si prefiggono di lavorare sul
proprio, non distinguono nei profitti sperati il salario dal frutto dei
capitali, onde impiegano volentieri i loro denari anche all’uno per cento. Si è
così formata una classe molto numerosa di contadini proprietari, e la
Valtellina sotto questo riguardo somiglia ora in gran parte a un cantone della
Svizzera. È accaduta insomma in pochi anni una liquidazione generale, che
mediante l’emigrazione oltremare ha salvato quella provincia da una crisi
funestissima.
I fatti recenti dell’emigrazione dal Mantovano e
dal basso Veronese hanno fatto gridare a molti: — che lo Stato deve provvedere;
che convien esigere delle garanzie dagli agenti di emigrazione, e d’altra parte
informare gli emigranti di tutti i pericoli e i guai cui vanno incontro; e che
società private debbono pure formarsi per meglio tutelarli e dirigerli. — Tutte
queste sono cose buone e sante, ma vorremmo che qualcuno si occupasse pure
della condizione di quegli infelici nella loro patria, e studiasse le cause che
li muovono ad andar incontro a tanti pericoli, e a tanti patimenti. La
condizione del contadino del basso Mantovano e del basso Veronese, è delle più
infelici; è indegna di esseri umani: — che meraviglia dunque se egli presta l’orecchio
ad ogni voce lusinghiera che gli parla di paesi lontani, in cui lavorando potrà
guadagnarsi da vivere decentemente, e se va dietro ad ogni più ingannevole
miraggio! E quegli uomini egregi che domandano tanti provvedimenti per parte
dell’autorità, perchè non vigilano essi a far meglio rispettare le disposizioni
dei regolamenti provinciali sulle risaie, a costituire società, a promuovere
pubblicazioni che abbiano per iscopo e per obietto di svergognare quei
proprietari e quegli affittuari delle più ricche terre d’Italia, che permettono
che i coltivatori di esse dormano in abitazioni di fronte alle quali sono
palazzi le stalle e perfino i porcili delle loro fattorie? —
Finora
in tutta la bassa vallata del Po si osservava come i contadini benchè infelici non
emigrassero314, e questo fatto veniva addotto a prova che essi erano
contenti della loro sorte, e che quella sorte non poteva quindi essere tanto
infelice; mentre invece esso altro non dimostra, senonchè lo stato di abiezione
e di abbrutimento a cui è ridotta quella povera gente. Ora comincia il
movimento nel Mantovano, e Dio voglia che si estenda a tutta la Valle del Po, e
in proporzioni tali da costringere i nostri profondi politici a lasciare per un
momento le bizantine questioni di organizzazione dei partiti nella Camera, per
rivolgere la loro attenzione a quelle che riguardano la salute morale e fisica
di milioni di Italiani; e da obbligare i proprietari piemontesi, lombardi e
veneti ad occuparsi attivamente della sorte dei loro contadini, quand’anche
perciò dovesse apparire qualche equipaggio elegante di meno in Piazza d’Arme o
sui bastioni di Porta Nuova, o qualche palco rimanesse chiuso al Teatro della
Scala.
Emigrazioni periodiche.
Oltre
le emigrazioni permanenti, vi hanno le numerose emigrazioni periodiche, anche
al di là dei confini del Regno, le quali arrecano tanto giovamento alle
popolazioni di parecchie provincie dell’Alta Italia, e specialmente agli
abitanti delle Alpi e delle prealpi. La sola provincia di Udine contava nel
1872 circa 22,000 persone le quali andavano a lavorare durante l’estate
all’estero per poi tornare a passar l’inverno presso le loro famiglie, che
nutrivano coi risparmi guadagnati fuori. Nella provincia di Belluno
l’emigrazione periodica per l’estero sommava in quello stesso anno a circa
10,000 individui; in quella di Como a più di 5000, di Torino a circa 7000, di
Bergamo a circa 2000315. Se il Governo volesse in qualunque modo
inceppare l’emigrazione, come potrebbe distinguere quella periodica e di breve
durata da quella a lungo termine o permanente? E inceppando la prima ridurrebbe
alla disperazione una numerosa popolazione che vi trova regolarmente i mezzi di
sussistenza, e toglierebbe allo Stato una larga fonte di ricchezza.
Come
apprezzamento generale sull’emigrazione dei contadini italiani, ci contentiamo
di riportare il giudizio che ne dà una mente acuta, spassionata e temperata
come quella dell’Ellena316. Egli così scrive: «Guardando
particolarmente all’Italia, l’emigrazione può esser considerata con favore,
anche per un altro rispetto. Abbiamo avvertito che le relazioni tra i
proprietari di terre ed i fittaiuoli da una parte, e i lavoratori dall’altra,
sono stabilite talvolta in maniera poco umana e non senza ragione s’invocano
leggi che, a somiglianza di quelle adottate per l’Irlanda, allontanino i
pericoli che da questa condizione di cose possono scaturire. Ma quando udiamo i
proprietari di terre lagnarsi della mancanza di braccia cagionata
dall’emigrazione e alcune rappresentanze (le Camere di commercio di Catanzaro e
di Foggia ad esempio) chiedere che si impedisca l’emigrazione, noi intravediamo
in essa la possibile risoluzione di un problema gravissimo. E ci pare che, se i
proprietari cominceranno a temer davvero di perdere i servi della gleba, si
indurranno a mostrarsi più generosi». Ed altrove317: «Del resto quel
pubblico che forma la sua opinione con la lettura dei giornali, non bada che
alle sciagure dell’emigrazione di cui si ingemmano i Fatti diversi; ma
raramente pondera se sian l’eccezione o la regola. Invece le classi che
forniscono più largo contingente all’emigrazione si fondano, quando non sono
sedotte da disonesti agenti d’emigrazione, sulle notizie personali degli
emigrati e, diciamolo pure, sono meglio informate».
|