§ 125. — Emigrazione dalla
Sicilia.
Ma
veniamo alla Sicilia. Si calcolava che nel 1871, degli Italiani all’estero
soltanto il 3,36% fossero Siciliani318; e il Bodio ritiene che su 100
abitanti della Sicilia non si avesse che la proporzione di 0.54 emigrati.
Inoltre su 100 emigrati siciliani egli calcolava che 26,46 fossero sparsi in
Europa, 8,40 in America, 3,26 in Asia, 61,12 in Africa, 0,76 in Oceania.
L’emigrazione dalla Sicilia pel Levante e per l’Egitto si fa più specialmente
dal porto di Messina, quella per Tunisi e l’Algeria da Trapani, e per l’America
del Nord da Palermo e da Messina. Gli emigranti per l’America del Sud, che si
potranno valutare a circa un decimo dell’intiero numero, passano per Genova. Da
Palermo nel 1871 emigravano per l’America del Nord, con passaporto regolare,
277 persone; nel 1872, 139; nel 1873, 200; nel 1874, 41; nel 1865,
164319. Nei registri del Porto non si tien conto nè della professione,
nè del sesso, ma si può ritenere approssimativamente che quattro quinti degli
emigranti dal Porto di Palermo siano contadini provenienti dall’isola di
Ustica, da Contessa e da altri paesi dell’interno, ed un quinto operai e
artigiani di Palermo. Anche dal porto di Trapani l’emigrazione è composta per la
maggior parte di contadini; mentre in quella da Messina predominano di molto
gli artigiani ed operai delle città320.
I contadini non emigrano sempre colle loro
famiglie, e soltanto un sesto del numero sarà di donne. Quelli che vanno in
Tunisi e nell’Algeria portano spesso seco l’aratro ed altri arnesi campestri.
L’emigrazione per gli Stati Uniti d’America che parte da Palermo, si dirige
specialmente alle città di Nuova Orleans, Louisville ed altre degli Stati del
Sud.
Per il 1872 il Carpi valuta a 1300 gli emigranti
con passaporto regolare dalle sette provincie di Sicilia. A questa cifra
bisognerebbe pure aggiungere quella dell’emigrazione clandestina, a precisare
la quale ci manca ogni dato.
Da
ciò apparisce abbastanza come l’emigrazione dei contadini siciliani si mantenga
ancora in proporzioni minime; ma nulla ci assicura che la corrente non abbia a
crescere nell’avvenire. Basta considerare come la provincia di Potenza, che nel
1869 non forniva in tutto che 369 emigranti, nel 1871 già ne dava 1439,
compresavi l’emigrazione clandestina, e nel 1872 fino a 5654 di soli emigrati
con passaporto regolare, oltre gli emigrati clandestini, i quali già nel 1870
si valutavano a 416 individui321. Nè ci pare buona la ragione che si dà
di solito per negare la possibilità di un forte aumento dell’emigrazione dalla
Sicilia, quella cioè dell’attaccamento speciale degl’isolani per la terra che
li vide nascere. Guardate l’Inghilterra che ha colonizzato Continenti intieri;
guardate l’Irlanda che in pochi anni vide diminuire la sua popolazione di circa
un quarto pel solo fatto della emigrazione; e se volete un esempio siciliano,
guardate l’isola d’Ustica, dove l’emigrazione per le Americhe cominciata circa
25 anni fa, dà ora un contingente di circa 80 persone all’anno sopra una
popolazione complessiva di 1446 abitanti322.
Non crediamo affatto improbabile che da un
momento all’altro si vegga nascere una forte corrente di emigrazione per
l’estero nel contadiname dell’interno della Sicilia; e una volta avviata
nessuno potrebbe predire in quali limiti si conterrebbe. Ma dato che ciò si
verifichi, sarà un male o un bene per l’Isola in generale, e per la classe
agricola in particolare? Non havvi il pericolo che i proprietari, vedendo
crescere smisuratamente il prezzo della mano d’opera in conseguenza
dell’emigrazione, non lascino incolte le loro terre, anzichè sottostare alle
soverchie esigenze dei lavoranti? —
Certamente il nostro catasto, come già avemmo
occasione di dire, tende a dare un premio al proprietario che coltiva male i
suoi fondi, aggravando invece chi v’impiega stabilmente i propri capitali:
certamente le condizioni del suolo di una gran parte della Sicilia, sono, per
la mancanza appunto di ogni capitale che vi sia stato impiegato in modo fisso,
tali da render eccezionalmente facile ai proprietari la lotta contro i
lavoranti; poichè essi sono sicuri di nulla perdere al di là della rendita
annua per il tempo in cui durano le ostilità, nè hanno grandi capitali esposti
e soggetti a perire per ogni temporanea sospensione di lavoro: — tutto ciò è
vero, ma riteniamo nonostante che l’emigrazione riuscirebbe nel fatto un’arme
efficace per migliorare le condizioni del lavoro, senza che si dovesse temerne
l’abbandono delle colture per parte dei proprietari.
Perchè un tale abbandono si verificasse, non
diciamo come cosa temporanea e come arme di guerra, ma in modo durevole,
bisognerebbe che il rincaro del prezzo del lavoro giungesse a tanto da coprire
tutta quanta la rendita fondiaria, che ora va al proprietario all’infuori del
profitto dell’industria agricola esercitata dal gabellotto. Finchè ciò non
avvenga vi sarà sempre il profitto ordinario per l’industria agricola e quindi
vi saranno pure tutte le ragioni per cui debba convenire ai proprietari di
coltivare i loro fondi. Essi e gli affittuari cercheranno bensì di introdurre
tutti quei sistemi di coltivazione e tutte quelle macchine, che possano rendere
meno urgente il bisogno delle braccia nell’agricoltura, ma da ciò non ne verrà
alcun danno alla produzione, anzi il contrario.
L’emigrazione, come arme di guerra per i
contadini, ha di fronte ad ogni loro associazione che abbia per iscopo di
limitare artificialmente la concorrenza, questo speciale vantaggio — che mentre
l’associazione perde una gran parte delle sue armi là dove, come nei latifondi
siciliani, non vi è quasi alcun capitale fisso che possa deperire per effetto
della sospensione dei lavori, onde i proprietari possono facilmente e con
piccola perdita resistere a qualunque sciopero, essendo di loro interesse il
rinunziare alla rendita di qualche mese, piuttostochè compromettere l’avvenire;
l’emigrazione invece col modificare permanentemente o almeno per lungo tempo la
concorrenza dei lavoranti, toglie ogni ragione per cui i proprietari non
abbiano a cedere subito tutto quanto possono cedere: essi anzi avranno
interesse diretto a cedere quanto più presto potranno, onde opporre subito un
argine al crescere dell’emigrazione. Naturalmente ove l’emigrazione aumentasse
in Sicilia, la prima cosa che farebbero i proprietari sarebbe non di cercar di
migliorare la sorte dei contadini per tenerli a casa, ma invece, come si
comincia a vedere in Lombardia, di gridare che il paese va in rovina, e di
reclamare dallo Stato che provveda a salvare i loro interessi e a frenare la
corrente dell’emigrazione; ma poi, esaurito questo primo mezzo senza aver
ottenuto nulla, provvederebbero da sè ai casi loro, col migliorare le
condizioni dei coltivatori delle loro terre.
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