Capitolo IV.
CONCLUSIONE
§ 127. — Argomento.
Siam giunti al termine del cómpito prefissoci.
Abbiamo descritto la condizione dei contadini siciliani; abbiamo analizzato gli
effetti economici dei contratti agricoli; ed abbiamo infine accennato ai
principali rimedi di cui possono e dovrebbero valersi lo Stato, i proprietari,
i contadini stessi. Aggiungeremo poche considerazioni generali intorno alla
questione agraria in Sicilia e in tutta Italia, prima di prendere commiato dal
cortese lettore.
Il feudo e il diritto di
proprietà privata del suolo.
Quando in Germania fu abolita la feudalità si
provvide per legge nella maggior parte degli Stati a che la proprietà del suolo
restasse ai coltivatori che l’occupavano da secoli, facilitando loro, con
opportune disposizioni legislative e con speciali istituzioni di credito,
l’affrancamento delle terre da ogni prestazione già dovuta al feudatario.
In Francia accadde un fenomeno simile nell’ultimo
decennio del secolo scorso, ma colla differenza che la sostituzione del
contadino al feudatario come proprietario del suolo, fu operata per mezzo di
una confisca generale fatta dallo Stato di tutti i beni feudali.
In Inghilterra e in Irlanda la cosa andò
diversamente. I signori restarono padroni della terra, legati sì nella loro
proprietà da moltissimi vincoli, ma pur proprietari. La conseguenza n’è stata
la condizione infelicissima della classe dei contadini, condizione che in
Irlanda era perfino divenuta cagione di gravi pericoli per lo Stato. Il Land
Act per l’Irlanda del 1870 è stato un primo passo fatto dall’Inghilterra
sopra una via opposta a quella seguìta fino allora; e tende apertamente a dare
al coltivatore almeno un diritto di proprietà limitata sulla terra che lavora.
In quelle provincie d’Italia dove più viva si era
mantenuta la tradizione medioevale, e specialmente nella Sicilia dove
l’ordinamento feudale durò intiero e rigoglioso fino al 1812, l’abolizione di
diritto del sistema feudale non produsse nessuna rivoluzione sociale, appunto
perchè i feudi, all’infuori delle sole terre che erano state regolarmente date
in enfiteusi, furono lasciate in libera proprietà agli antichi Baroni: onde al
legame tra il coltivatore e il suolo, che prima era costituito dalla stessa
servitù feudale, non si sostituì come altrove l’altro vincolo della proprietà,
ma invece quel legame fu semplicemente rotto, e il contadino si trovò libero in
diritto, senza doveri ma anche senza diritti, e quindi ridotto di fatto a
maggior schiavitù di prima per effetto della propria miseria.
Si deplora in generale che la rivoluzione
francese non abbia fatto sentire il suo soffio vivificatore in Sicilia, e il
pensiero è giusto, ma quel che è quasi più ancora da deplorarsi è che la
Sicilia abbia iniziato le sue riforme liberali sotto l’influenza inglese in un
momento in cui in tutta Europa risorgeva più potente lo spirito di reazione, e
il medioevo sembrava dover rivivere. L’atmosfera era già viziata, quando i
petti siciliani si allargarono ai primi respiri di libertà, e le maggiori
riforme civili furono introdotte nell’Isola per opera di un Borbone, in tempo
di completa reazione. Che maraviglia dunque se le oppressioni di classe su
classe si mantennero! e se nel 1860 vi trovammo con leggi moderne, costumi e
tradizioni medioevali!
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