§ 7. — Le fazioni e i loro
mezzi di azione.
In tal modo si formano potenti
associazioni d’interesse che s’insinuano e si impongono in tutte le faccende
private e pubbliche. Niuno oserà offrire un prezzo per un fondo che qualche
loro aderente voglia comprare. Nei Comuni, nelle Opere pie, regolano in buona
parte la scelta degli amministratori, dispongono a loro piacere del patrimonio
e delle entrate. Insomma sono padroni assoluti e incontrollati di tutto nel
campo che si sono riservato, finchè non incontrino qualche altra coalizione non
meno forte, ardita o prepotente, che venga a contender loro il dominio. Allora
nasce la rivalità, l’odio fra persone o famiglie; seguono le offese e le
vendette, le astuzie e le intimidazioni per prevalere in questa o quella
elezione. Ciascuna fazione sceglie la sua bandiera nello sterminato arsenale
delle quistioni che sono use a dividere i partiti fra di loro nell’Europa
civile: pigliano nome di partiti politici, amministrativi, magari religiosi,
poco importa, perchè si tratta del solo nome. Ognuna delle parti contendenti
cerca di rafforzarsi estendendo le sue alleanze nella riserva inesauribile dei
prepotenti, dei latitanti, dei malfattori e degli assassini; e per assicurar la
fede degli aderenti antichi come per attrarsene dei nuovi, cerca di crescere in
opinione di forza e d’influenza, e di mostrare che i suoi clienti, in ogni loro
faccenda o bisogno, sono assicurati di aiuto e protezione non mai rifiutati e
sempre efficaci. E così, il capo di ciascun partito, alle prepotenze per conto
proprio aggiunge quelle per conto dei clienti; risente come sue le ingiurie da
loro sofferte, e fa sue le loro vendette. Il campo dei soprusi e dei rancori va
allargandosi all’infinito. Cagione di odio e di guerra sono non più solamente
le ambizioni, le prepotenze e le vendette di coloro che da prima diventarono
nemici, ma del più infimo gregario di ciascun partito. La lotta s’inasprisce,
si estende, s’accende in tutto il Comune e talvolta in quelli vicini. Principia
la guerra di stratagemmi, di fucilate, di agguati, che talvolta si trasformano
in vere scaramucce. Gli avversari vanno a cercarsi ovunque per l’Isola, come
quella mattina in cui i buoni Palermitani furono spaventati, ma non sorpresi,
di vedere in una delle piazze più frequentate della loro città, quattro o sei
sicari al servizio di uno dei partiti che si dividono un paese distante da
Palermo ben trenta chilometri, sparare addosso a uno del partito opposto una
salva di colpi di revolver.
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