§ 12. — Inefficacia e danni
del sistema degli arbitrii illegali.
È inviato in Palermo un
rappresentante del Governo munito dei poteri più estesi sulle forze militari di
tutta l’Isola e sull’amministrazione civile della provincia di Palermo, con
mandato di fare ogni sforzo per ristabilire l’ordine. Giunge pieno di buona
volontà e di desiderio di conseguire il fine prefissogli. Giunto, si guarda
intorno, cerca chi possa dargli informazioni, aiutarlo a conoscere le cagioni
dei disordini e scuoprirne gli autori, a reprimere gli uni e punire gli altri.
Negli uffici governativi, trova ignoranza completa di ciò che egli ha bisogno
di conoscere. Nel paese invece, trova organizzazioni potenti che fanno a gara
nell’offrirgli di servirlo colla loro profonda cognizione delle condizioni
locali nei loro più reconditi particolari e coi loro mezzi di azione pronti e
sicuri, senza sembrar di chiedergli altro compenso che l’onore di servirlo.
Trova una quantità innumerevole di gente dedita al sangue, pronta ad uccidere
per chiunque la paghi. Trova esempi antichi e recenti di repressioni operate da
agenti del Governo, ma più somiglianti ad assassinii che a punizioni. In
siffatta condizione di cose, è portato, per così dire, fatalmente, ad
appoggiarsi sulla sola forza che trovi vicino a sè; riprende le tradizioni non
mai del tutto interrotte, del governo Borbonico, permette che si arruolino
malandrini nella forza armata governativa, mette loro addosso la divisa, apre
loro gli ufficii di pubblica sicurezza; lascia che le amministrazioni locali, e
tutti gli organismi pubblici vengano in potere delle persone influenti da cui
riceve appoggio.
Messasi in mano a siffatto
istrumento, l’autorità governativa si trovò colla sua ignoranza delle
circostanze locali, coll’impotenza che ne derivava, di fronte a quella camarilla
cui essa stessa aveva fornite armi e che aveva rivestita della propria
autorità. E così diventarono nemici pubblici i nemici di questa, interessi
pubblici i suoi interessi, e mezzi di governo i mezzi che sono soliti adoperare
in Sicilia cotali leghe di persone.
E allora si vide il
malandrinaggio stipendiato dal Governo assumere, per così dire, a cottimo
l’impresa di assassinare i malviventi non patentati, ed assassinarli
ogniqualvolta non si alleasse con loro e non dividesse il provento dei loro
delitti. Si videro uomini vestiti di divisa ufficiale commetter delitti per
conto proprio, i rappresentanti del Governo costretti a non esaminare tanto da
vicino i modi di procedere di istrumenti così pericolosi, e ridotti a chiudere
gli occhi sui loro misfatti più orrendi, a coprirli colla autorità del Governo
italiano.
Queste mostruosità finirono per
essere palesate all’Italia intera, e malgrado i rancori personali, le ire e
gl’interessi di partito, che da ogni lato, e da ogni parte della Camera
concorsero a scemare l’efficacia della verità, l’effetto fu tale che seguì una
trasformazione nell’indirizzo del sistema di governo della Sicilia.
Furono mandati nuovi uomini a
regger l’Isola, si principiò a depurare il personale dipendente dal Ministero
dell’interno. Si cercò di tornare il più possibile nella legalità e di usare
quegli arbitrii soli che le leggi o le loro interpretazioni permettessero:
l’ammonizione cioè dei sospetti e il loro invio a domicilio coatto.
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