§ 17. — Il Governo centrale
non sostiene i suoi funzionari.
Con siffatti mezzi d’azione e
d’informazione, un prefetto di Palermo ha da resistere agl’inganni e alle
lusinghe di chi cerca farsi di lui un istrumento, impedire i disordini e i
furti nelle amministrazioni locali, le prepotenze dappertutto; ristabilire e
mantenere l’ordine pubblico. E neanche può far calcolo sull’aiuto del Governo
che l’ha mandato. Pure, l’Italia, annettendosi la Sicilia, ha assunto una grave
responsabilità. Qualunque Governo italiano ha l’obbligo di rendere la pace a
quelle popolazioni e di far loro conoscere che cosa sia la legge, di
sacrificare a questo fine qualunque interesse di partito od altro. Ma invece
vediamo i Ministeri italiani d’ogni partito, dare per i primi l’esempio di
quelle transazioni interessate che sono la rovina di Sicilia, riconoscere
nell’interesse delle elezioni politiche quelle potenze locali che dovrebbero
anzi cercar di distruggere, e trattare con loro. Il prefetto stesso deve, per
ubbidire ai superiori, imitarli, e così dimenticare il vero fine della sua
missione; anzi, nuocergli. Una volta aperta la porta agl’intrighi, si vede a Roma
l’influenza del prefetto avversata, spesso vittoriosamente, da quella delle
persone che egli ha ufficio di combattere; i loro rapporti creduti talvolta più
dei suoi. Gli vien tolto ogni mezzo di agire efficacemente, si vede rifiutare
gl’impiegati che egli chiede. Se malgrado tutto ciò egli riesce a operare
qualche miglioramento, almeno superficiale, sopraggiunge un cambiamento di
Ministero, vengono al potere o vicino al potere persone le quali hanno
amicizie, legami, interessi con quelle che il prefetto ha dovuto inimicarsi per
fare il suo dovere. Segue la reazione. Sotto colore di politica, gl’impiegati
migliori e più coscienziosi sono sacrificati a rancori personali, è distrutta
l’opera incominciata, si ricade più basso che mai e, quel che è peggio, si conferma
sempre più nel pubblico l’opinione della potenza infallibile e incrollabile
nell’Isola e fuori, di quelle persone che la tiranneggiano e la sfruttano a
loro profitto.
Per far diversione al sentimento
suscitato da un quadro così lugubre, si possono ascoltare i racconti dei fatti
che accadono al di là dei monti che contornano la città. Si sente parlare
dell’infinita miseria dei più, della ricchezza, della prepotenza di pochi. Si
sente dire di campagne e paesi padroneggiati da briganti presenti ad un tempo
dappertutto, che eseguiscono le loro vendette con una rapidità ed una crudeltà
spaventevole sotto gli occhi di un’intera popolazione, quasi sotto quelli della
Forza pubblica, e dei quali pure la Forza non riesce a scoprire traccia in
nessun luogo.
Con questa impressione e sotto
questi auspici, il viaggiatore lascia Palermo, per inoltrarsi nell’interno
dell’Isola.
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