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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO PRIMO   CONDIZIONI POLITICHE E AMMINISTRATIVE DELLA SICILIA
    • CONDIZIONI POLITICHE E AMMINISTRATIVE         Capitolo I. CONDIZIONI GENERALI
      • II. LE PROVINCE INFESTATE DAI MALFATTORI
        • § 18. — Aspetto generale delle campagne nell’interno dell’Isola.
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II.

LE PROVINCE INFESTATE DAI MALFATTORI

 

 

§ 18. — Aspetto generale delle campagne nell’interno dell’Isola.

L’unica linea ferroviaria, che adesso faccia capo a Palermo, è quel tronco che va a perdersi nel centro della Sicilia. Si spera che sarà fra breve congiunto con quello che parte da Girgenti, e, in un tempo più lungo coll’altro che, staccandosi a Catania dalla linea littorale Messina-Siracusa, giunge adesso fino a Caltanissetta. Partendo da Palermo, la linea fino a Termini corre parallelamente al mare, attraverso una campagna incantevole e popolata, stretta per lo più tra le colline e il mare, e piena di giardini di agrumi, di orti piantati d’alberi fruttiferi, di vigne ammirabilmente ben tenute, di uliveti.

Dopo Termini, la linea si interna dentro terra, e a poco a poco vanno diradandosi gli orti, i frutteti, i vigneti, gli uliveti, lasciando posto fra di loro, a spazi sempre più vasti, coperti di grano o d’erba. Vanno diradandosi le abitazioni di campagna. S’incontra ancora di quando in quando qualche raro gruppo di ulivi nel fondo della valle, si scorge qualche casa solitaria sul pendìo di un’altura, poi il vasto deserto della campagna siciliana. A destra della via, il monte San Calogero, erto e nero; a sinistra alte colline verdi di grano e d’erba; in fondo alla valle, sotto la strada erba, grano e pantani. Non un albero, non una casa per rompere la desolata monotonìa di quella solitudine. Alle fermate del treno, si cerca la città, il borgo di cui si sente gridare il nome. Vi si mostra un mucchio di case grigie arrampicate sulla cima di un monte lontano, oppure un sentiero, raramente una strada ruotabile, che sale lungo la falda della vicina collina, sparisce dietro, poi risale serpeggiando un’altra altura, poi sparisce ancora. Quella via porta al paese in due o tre ore di marcia. Le vicinanze della stazione sono sempre deserte, non un villano lungo la barriera, non un vetturino che aspetti gli avventori. Solo la carrozzella o la cavalcatura della posta, qualche mulo o cavallo bardato venuto a cercare il padrone. Il treno riparte, ed il viaggiatore è insensibilmente invaso da quel sentimento che prova chi si trovi in mezzo a cose misteriose e sconosciute; le valli che si aprono sulla strada, poi voltano, e si nascondono dietro un’altura, pare che debbano nascondere cose strane e non mai viste. Egli prova una specie di miraggio morale. Ed intanto, se ha per compagno di viaggio qualche proprietario o qualche grosso fittaiuolo, egli può sentire spiegare come i vasti fondi che il treno va attraversando siano, o dai proprietari, o dai grossi fittuari che li tengono a gabella, dati a coltivare a colonìa, a fitto o altrimenti ad una turba di contadini, fra cui i più ricchi possiedono un asino, un mulo, e talvolta una casupola, e che, dopo aver lavorato il loro campo, giungono all’autunno, senza aver potuto serbare dal raccolto il vitto per l’inverno, devono cercare dal padrone o dall’usuraio un poco di grano per vivere fino alle mèsse ventura, e consumano in tal modo la vita in un’eterna vicenda di debiti e di fatiche. A sentir parlare di quei proprietari e di quei grossi fittaiuoli signori della terra, del bestiame, e talvolta anche degli aratri, padroni nel fatto delle vite dei contadini, poichè sta in loro il farli morir di fame o no, la mente si riporta involontariamente al tempo in cui le campagne siciliane erano coltivate da turbe di schiavi, e agli orrori delle guerre servili in Sicilia sotto la dominazione romana.

Il treno giunge al punto destinato, si scende, sempre in mezzo al deserto: il fabbricato della stazione, uno o due baracconi, poi nulla. A quella stazione fa capo una strada ruotabile importante percorsa da un servizio di vetture pubbliche. Mentre le diligenze attaccano e caricano, tre cavalleggeri e un carabiniere stanno visitando le bardature ai loro cavalli; sopraggiunge una pattuglia di bersaglieri a passo accelerato e si mette in linea. Il nuovo sbarcato si guarda dintorno, e cerca se non stia sbucando altra truppa da qualche altro lato. Egli principia a provare come un’impressione vaga di essere in mezzo a un paese in stato di guerra. Le diligenze sono pronte, i viaggiatori imbarcati, si vedono partire al trotto; dietro, la scorta a cavallo; sui fianchi della strada, i bersaglieri che prendono le scorciatoie. Coloro che, saliti a cavallo vadano seguendo il sentiero per qualche paese vicino, li vedono allontanarsi per la via maestra; sentono diminuire il rumore dei sonagli dei cavalli e degli schiocchi di frusta. Si scorgono le carrozze già fatte piccole per la distanza, salire, giungere faticosamente al culmine di una collina, poi sparire finalmente per l’opposto pendìo, e si riman soli a camminare in mezzo al silenzio della deserta campagna. Allora il nuovo viaggiatore si sente preso da un profondo senso d’isolamento, gli pare che su tutta la contrada nuda e monotona pesi come l’incubo di una potenza misteriosa e malvagia, contro la quale non ha aiuto o difesa fuori di stesso e dei compagni venuti secolui d’oltre mare, e si sente subitaneamente preso da una profonda tenerezza per la carabina che porta in traverso della sella.

 

 




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