§ 19. — Ospitalità.
Però, a questa sensazione
d’isolamento spesso non risponde il fatto; chè l’ospitalità siciliana è tale da
lasciare in chi l’ha sperimentata la più grata memoria. E conserveremo sempre
quella della persona che, dopo averci conosciuti quasi per caso in Palermo,
diresse i nostri primi passi nell’interno dell’Isola, e per giornate intere
scansò da noi i disagi e i pericoli con una sollecitudine paterna, e con un
raffinamento di attenzioni e cortesie commovente.
Il sentiero va su e giù quando
sulla roccia quasi nuda e sparsa di sassi, quando in mezzo al grano o all’erba,
traversa qualche torrente quasi asciutto, in fondo al quale corre un miserabile
rigagnolo d’acqua fra enormi ciotoli. Dalla cima delle alture l’occhio gira
d’intorno e sempre lo sguardo si perde fino all’orizzonte in mezzo alla
infinita solitudine. Appena se di quando in quando è fermato da qualche colle
con alcune vigne, ulivi e mandorli, intorno a un gran casamento contornato da
altri più bassi; è il centro di qualche feudo.
Finalmente si vede sul pendìo di
una collina qualche piantagione di alberi, alcune casupole sparse qua e là, e,
sul culmine, le prime case del paese, basse e nere, e la punta del campanile.
In cima alla salita, prima si trovano dei mucchi di letame sparsi alla rinfusa
per la china, lavati e mezzo portati via dalle piogge, poi una lunga fila di
catapecchie col solo pian terreno. Dagli usci aperti si scorge dentro una
lurida stanza, spesso senza finestra, covile comune dell’intera famiglia di un
villano e dei suoi animali quando ne ha. Poi s’entra nella parte del paese
abitata dai civili.
Veramente si prova una certa
curiosità di vedere e conoscere sul teatro della loro potenza quei proprietari
e quei gabellotti dall’interesse e dalla volontà dei quali dipende la esistenza
di tante migliaia di esseri umani. Si aspetta di vedere intorno a loro tutto
l’apparato della potenza feudale, di trovare in loro tutta quella sicurezza di
sè stessi, che si addice a chi possiede una forza non discussa nè combattuta.
Si aspetta insomma di vedere un ordine di cose ben diverso da quello che s’è
lasciato a Palermo e nelle sue vicinanze. Ma basta ben poco tempo per essere
disingannati. Si ritrova in provincia la medesima distribuzione di forze che
nella capitale, ed i suoi medesimi effetti. La sola differenza fra questa e
quella sta nelle forme, in alcune apparenze esteriori, in quelle diversità che,
per la natura delle cose, distinguono un gran centro di popolazione e
d’interessi, dai paesi di provincia e dalle campagne.
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