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S. Alfonso Maria de Liguori
Lettere

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255. AL CONSIGLIO DEGLI AFFARI ECCLESIASTICI.

Supplica per l'approvazione legale della Congregazione, confutando all'uopo le obbiezioni mosse in contrario.

 

Viva Gesù, Maria, Giuseppe e Teresa!

 

NAPOLI, LUGLIO [1756]1

 

Sin dall'anno 1732, il sacerdote D. Alfonso de' Liguori con altri preti missionari, avendo conosciuto coll'esercizio delle missioni il gran bisogno spirituale della gente della campagna, e specialmente di quella che abita nelle pagliaia e ne' paesi piccoli di questo regno, ed all'incontro la scarsezza de' sussidi che ricevono dalle missioni che escono da Napoli: si unirono insieme e s'applicarono a coltivare colle missioni questa povera gente abbandonata. Per questa Opera, fu eretta la prima casa nella diocesi di Salerno, e poi col beneplacito del Re N. S. se ne eressero tre altre nelle diocesi di Nocera, Bovino e Conza. Indi nell'anno 1749, ad istanza de' vescovi di dette diocesi, il regnante Sommo Pontefice, conoscendo il profitto e necessità di questa Opera, previo il decreto della S. Congregazione del Concilio, approvò con suo Breve Apostolico questo Istituto in forma di Congregazione, sotto il titolo del SSmo Redentore, soggettandolo agli Ordinari de' luoghi.

 


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Il suddetto Breve non si è posto in esecuzione, aspettandosene il beneplacito di Sua Maestà. Ma frattanto i mentovati missionari han seguitato ad impiegarsi nelle missioni, scorrendo per lo spazio di nove mesi dell'anno per sei provincie di questo regno, facendo sino a 40 missioni, per ciascun anno, a questi poveri campagnuoli. Si supplica intanto la Real clemenza del nostro Sovrano che, per lo bene di tanti suoi vassalli destituti di aiuto spirituale, si degni concedere questo suo beneplacito, affinché questa Opera si renda stabile. Altrimenti verrà a mancare; perché da una parte i giovani, che sono chiamati da Dio a lasciar le loro case per vivere in comunità ecclesiastica, difficilmente s'indurranno ad entrare in una comunità che non sia stabile coll'approvazione regale; e dall'altra, quelli che vi sono entrati, vedendo differita l'approvazione, vengono stimolati a lasciarla dal timore che, dismettendosi l'Opera, abbiano a restare un giorno fuori delle proprie case, e fuori della comunità. I motivi, per cui può incontrarsi difficoltà alla concessione del regio Exequatur sono i seguenti:

Che, nel regno di Napoli, è soverchio il numero delle case religiose che già vi stanno; e che al bisogno delle anime possono dar sufficiente compenso i parrocchi e sacerdoti de' paesi, e le missioni che si spediscono da Napoli.

Che l'aumentar le case religiose nuoce all'interesse dei laici, per l'acquisto dei beni che fanno dette case, e poi in esse rimangono.

Queste fondazioni cominciano bene, ma col tempo si rendono più presto nocive, o almeno inutili.

Alla prima obbiezione si risponde che, benché le case religiose che sono nel Regno fossero bastanti e soverchie, nulladimeno le case dei missionari che attendono a coltivar la povera gente della campagna, sono assai poche, a rispetto del gran bisogno di quella. Da per tutto sentonsi piangere i vescovi zelanti, in vedere perire una gran parte del loro gregge per mancanza di aiuto; chiamano le missioni, ma non le possono avere, poiché le missioni


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di Napoli non arrivano neppure alla centesima parte del bisogno che ve ne sarebbe. Vi sono, è vero, molti ecclesiastici (e volesse Dio che fossero meno!) ma pochissimi sono i buoni operarî.

Alla seconda obbiezione, che dice [che l'aumentar le case religiose porta] pregiudizio all'interesse dei laici, si risponde: già il Re N. S. ha cercato di provvedere, con ordinare che le suddette case de' missionari non possono acquistar altre annue rendite, e che le prime che possedeano siano amministrate da' vescovi, li quali debbono somministrare due carlini solamente il giorno per ciascuno de' soggetti, e tutto il resto si dia ai poveri del luogo. E questa suprema disposizione del Principe è stata, con tutta rassegnazione, accettata dai suddetti missionari, contentandosi della disposizione fatta da Sua Maestà. Al che si aggiunge che i medesimi niente esiggono dalle loro case; onde avviene che le loro rendite patrimoniali restano a beneficio dei laici, loro parenti.

Intorno all'ultima obbiezione, che queste fondazioni cominciano bene, e poi vanno a finir male, o almeno restano inutili, si prega a riguardare, non già tutte le case religiose, ma solamente le fondazioni dei missionari, come sono dei Pii Operarî e dei sacerdoti chiamati della Missione; e si vedrà che questi Istituti, quantunque fondati da più di un secolo, tuttavia sono di molto utile al pubblico; sì perché l'obbligazione di continuamente operare li tiene lontani dalle dissipazioni, ed impegnati nell'orazione e nello studio; sì perché, stando in mano del Superiore il licenziare i negligenti, ne avviene che vi rimangono quelli che attendono alle opere del loro Istituto. Per tanto, essendosi già fatta l'esperienza di questo nuovo Istituto di missionari per lo spazio già di 23 anni, fornito già di buon numero di Congregati, ed essendo già approvato dal Sommo Pontefice, previe esattissime informazioni, si spera che il nostro piissimo Monarca voglia rendere, col suo Real beneplacito, perpetua in questo regno l'Opera suddetta, tutta indirizzata al bene de' suoi vassalli, ed a mantenere illibata la religione, da cui dipende ancora la tranquillità dello Stato.

 

Conforme ad una antica copia.




1 " Nel principio di luglio - così il P. Tannoia - Alfonso di nuovo fu in Napoli. Molto gli premeva di vedere la sua Congregazione meglio stabilita e assicurata dalla reale autorità, e di ottenere l'Exequatur al Breve Apostolico. Ai 10 del medesimo mese, scrisse al P. D. Gasparo Caione: Fate una novena, e fatela fare dal popolo per l'affare dell'approvazione. Ai 20 replica di nuovo: Io fatico in Napoli, ma trovo intoppi: lasciamo fare a Dio. Fate un'altra novena, colla disciplina ogni sera; ed un'altra fatela fare dal popolo... Egli si trattenne in Napoli oltre un mese. Vedevasi grondante sudore, battere que' selciati e presentarsi ora ad un ministro, ora ad un'altro. Tutto fu vano, e prevalse il parere di Mgr. Galiano che, dandosi dal Re esecuzione alla Bolla, questi non sarebbe più in libertà, volendo, di sopprimere la Congregazione, qualora essa degenerasse dal suo fine. " Così il Tannoia.




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