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S. Alfonso Maria de Liguori
Lettere

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281. AL P. D. GASPARO CAIONE RETTORE DELLA CASA DI CAPOSELE.

Zelo per l'osservanza della Regola, per la salute degli studenti e per il buon insegnamento.

 

Viva Gesù, Maria, Giuseppe e Teresa!

 

NOCERA, 15 LUGLIO [1757]

 

Avete risposto ottimamente circa il confessore ordinario a Calitri.1 Seguitate ora a dire, che non vi fidate di scrivere a me questa cosa; perché io molto me ne disturberei, né mai ci acconsentirei in cosa così grave contro la Regola, mai, mai, mai. Non dico altro.

Dice il P. Margotta che, quando si tratta del bene di tutta la Congregazione, dobbiamo stare tre e dieci anni altrove. Fratello Ricca, lasciatelo ristabilire affatto, perché qui è stato sempre malato, ed è di complessione infermiccia: se ne parlerà ad ottobre di venire.2


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Aspetto Fratello Giuseppe Caputo, per indirizzare l'ordinazione del figlio.1 Il P. [D. Pietro] Petrella, mandatelo a Ciorani a pigliar l'acqua. Qui non ce ne capiscono più.

Circa la cosa di Fratello N. dettami dal P. Ferrara, veramente voi credete che noi diamo udienza a quello che dice questo benedetto Fratello? Sappiamo che il Fratello [parla] allo sproposito, ed io gli ho fatta una buona cantata; ma è tale, e sarà sempre tale.

Sento che più di uno studente sta alquanto acciaccato. La mattina in questi caldi, fateli uscire per tutto quel tempo, che può camminarsi senza nocumento del sole, cioè prima che il sole scalda.

Io desidero che stiano bene di salute, e non m'importa che perdano due ore di studio. E la sera anche escano, ed abbiano almeno un'ora di sollievo.

Se occorre rispondere, o parlare altra volta del confessore a Calitri, parlate sempre forte e più forte. E procurate (se si può) di non farmi scrivere di ciò, perché se io ho da scrivere di ciò, a me bisognerà parlare più forte, e ci disgusteremo l'arcivescovo.

Circa Fratello [D. Vincenzo] Striano, voglio pensare che se n'ha da fare: lasciatemelo ora bene ammaturare.

Circa le questioni scolastiche intorno a' Sacramenti, io non voglio che s'insegnino sentenze, contrarie a quelle che noi teniamo nella Morale; parlo delle quistioni principali, v. gr. dell'attrizione, del ministro del matrimonio; dippiù dell'intenzione del ministro, di fare quel che fa la Chiesa ecc.

In queste e simili questioni principali, voglio che si seguitino e si difendano, quanto più si può, le sentenze comuni e quelle che ho insegnato io nella Morale. Non scrivo a parte al Padre Leo,


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perché il Fratello vuole partire; ma glielo dica V. R. ed in ciò non voglio replica. Se il Lettore è di contraria opinione, se la tenga per sé; del resto ha da fare l'ubbidienza, e cercare di difendere le nostre sentenze colle migliori ragioni che può, cercando di appassionarsi per quelle sentenze, che piacciono all'ubbidienza.

Dite al P. [D. Francesco de] Leo che non dubiti: ch'io non darò udienza a N. ch'esso si regoli, come meglio gli pare. Basta che la teologia non la faccia durare più delli due anni, e basta che mi faccia li trattati principali, cioè de Deo, de Trinitate, de Incarnatione et de gratia. Questi sono i più principali, e pregatelo da parte mia che non si stenda tanto alle storie, com'ha fatto il P. [D. Alessandro de] Meo.

Quello che voglio è che fondi bene i dogmi, le distinzioni, i termini e le quistioni principali che si fanno tra gli Scolastici: questi si chiamano istituti che son necessari per predicare, ecc. Del resto, le altre cose ognuno le studierà da sé.

Le quistioni che ho accennate, dell'istituzione del matrimonio ecc., non l'ho scritte per N.: è stato pensiero mio di scrivergli, perché non voglio che siamo pigliati per istravaganti, affin di fare gli eruditi. Le sentenze comuni, per lo più, sono le più probabili; e quando seguitiamo quelle che sono comuni, non possiamo esser criticati.

Dite a Fratello [D. Giuseppe di] Lucia, che non s'inquieti per quello che sente dire agli altri che non sono Superiori. Quando poi lo sente da' Superiori, si deve quietare all'ubbidienza, e se l'ubbidienza vuole, che non studi, quella certamente è la volontà di Dio. Benedico tutti.

 

Fratello ALFONSO del SS. Redentore.

 

[P. S.] Né voglio che si faccia critica (come sento) di Purcozio,1 per discreditarlo. Questo libro ha avuta l'approvazione universale, e noi l'abbiamo da criticare? Se uno vuol criticarlo,


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lo faccia dentro di sé, ed io voglio essere obbedito. Se si perde l'obbedienza, è finita la Congregazione. In segreto: N. N. mi scrive molto inquieto, che lo spirito è caduto, povertà parziale, carità interessata; non ne fate motto con lui, perché mi scrive con tanta segretezza. Regolatevi. Questo soggetto mi fa temere. Viva Gesù, Maria, Giuseppe e Teresa!

 

Conforme all'edizione napolitana dell'anno 1848.




1 L'arcivescovo di Conza voleva addossare ai Padri di Caposele l'officio di confessare le monache di Calitri, cosa vietata dalla Regola dell'Istituto.



2 Il giovine Amato Ricca aveva cominciato il suo noviziato il 25 marzo di quest'anno, ma per la sua debole salute era stato mandato nel collegio di Caposele. Fece poi la sua professione nella casa di Ciorani, il 20 aprile 1758.

1 Giuseppe Caputo, essendo divenuto vedovo, si ritirò col suo figlio Domenico nella nostra Congregazione come Fratello laico. Dovendo costituire il patrimonio per l'ordinazione di suo figlio, era aspettato in Nocera de' Pagani per trattare quest'affare.

1 Purcozio (Purchot) era autore di un manuale di filosofia.




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