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S. Alfonso Maria de Liguori
Lettere

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301. AI PADRI E FRATELLI DELLA CONGREGAZIONE DEL SS. REDENTORE.

Inculca loro l'osservanza di vari punti della Regola.

 

Viva Gesù, Giuseppe e Maria!

 

NOCERA, 13 AGOSTO 1758.

 

Padri e Fratelli miei, raccomando a tutti di nuovo l'osservanza delle Regole, e specialmente dell'ubbidienza, nella quale ho inteso essere avvenute molte mancanze.

Procuriamo di tener sempre avanti gli occhi la fine beata, che hanno fatta tanti nostri Fratelli defonti, giovani e Padri; ed all'incontro la fine di molti altri, che ancora vivono, ma vivono


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fuori della Congregazione, e piangono; che se mai alcuno di loro non piangesse e se ne compiacesse, questi sarebbe più degno di compassione e di pianto: e così stiamo attenti, perché i difetti replicati, e de' quali non han fatto conto, sono stati causa della loro rovina con far loro perdere la vocazione. Perciò rinnovo la memoria di alcune cose, da me già dette e pubblicate. Serva ciò almeno per i novelli.

Per primo, io non darò mai, né posso darla in coscienza a chi mi domanda, la dispensa de' voti, senza causa necessaria e giusta; ma questa giustizia o necessità non ha da essere giudicata dal soggetto, il quale trovandosi nella passione, non sarà egli, ma la passione che giudica. E perciò rinnovo l'ubbidienza formale, sotto colpa grave, a ciascuno di non partirsi dalla Congregazione senza licenza. E se mai alcuno delle altre case volesse venire a trovar me, si procuri la licenza dal Superiore locale; ed in caso che non potesse averla o che gli fosse negata, mi scriva, e non si parta da quella casa se non ha il mio espresso permesso. A ciò do anche l'ubbidienza, ma non formale; ma sappia che, chi farà contra ciò, avrà la penitenza.

Chi poi domandasse senza giusta causa la dispensa per uscirne, rinnovo l'ordine dato, cioè che prima si procurerà la dolcezza per quietarlo dalla tentazione; se poi non vuol quietarsi, avrà un mese di carcere [ritiro] rigoroso, con tre digiuni in pane ed aqua ogni settimana. E ognuno intenda che, allora che cerca la dispensa senza giusta causa, ma per capriccio o passione, sappia che allora nello stesso atto si rende indegno di stare più in Congregazione, e giustamente può esserne cacciato, anche poi contro sua voglia.

L'esempio di quel Fratello uscito senza licenza, noto già a tutti, che da tanti mesi vive e seguita a vivere in disgrazia di Dio, col sacrilegio nell'anima, senza trovar chi l'assolva, deve far tremar tutti quelli che hanno timor del peccato. E così stiamo attenti a comunicar subito la tentazione, quando si affaccia, a coloro che sappiamo che ci aiutano. Ed intendiamo che, per ognuno di noi, la tentazione contro la vocazione è la tentazione


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più dannosa che può darci il demonio, per le conseguenze che appresso ne vengono; e perciò, Fratelli miei, ciascuno ogni giorno con modo particolare, nella visita al SS. Sacramento ed a Maria santissima, cerchi la perseveranza nella vocazione. Ciò lo raccomando ad ognuno in particolare, Padri e Fratelli, e niuno si fidi de' suoi propositi o sentimenti. Quando viene la passione e si perde la luce, si muta ogni cosa. Quello che ho veduto io in altri, ora dico la verità, mi fa tremare d'ognuno.

Sappia ancora ognuno, e specialmente i giovani, esser difetto notabilissimo il cercare, in caso d'infermità, d'andare all'aria nativa. A chi vive in comunità ed osservanza, l'esperienza universale insegna che l'aria nativa della patria e della casa propria è aria impestata, per lo spirito e per la vocazione. E perciò ognuno sappia che, in caso di dover mutar aria per ordine de' medici, i Superiori, se lo stimano, lo manderanno a qualche altra diversa aria delle diverse case che noi abbiamo; ma si tolga ognuno il pensiero, da oggi avanti, di andare ad altra stanza fuori delle nostre case. Se mai per lo passato vi è stato qualche esempio in contrario, sappia che da oggi avanti non più si permetterà; perché l'esperienza ha fatto vedere quanti disordini e tentazioni può indurre l'indulgenza sopra questo punto.

Ricordo poi a tutti che a niuno è permesso di andare nelle case de' secolari, e tanto meno de' parenti, senza giusta causa ed espressa licenza: così dice la Regola; ed io attendo che questa regola si osservi con rigore maggiore delle altre. Solo in caso d'infermità mortale di padre o madre, permette la Regola di andare in casa propria, colla licenza che sempre s'intende; ma più di un soggetto, anche in tal caso, ha mandato a dire al padre o alla madre moribonda, che la sua vista o assistenza non era necessariagiovevole, se non per accrescerle la passione, e che l'avrebbe raccomandato a Dio di ; e così si sono astenuti di andare in casa: e di tali soggetti io ne sono restato molto edificato; ed è certo che allora costoro han dato molto gusto a Dio, sì per la loro mortificazione, sì per lo buon esempio che han dato agli altri.


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Di nuovo raccomando ad ognuno, sacerdoti, giovani e fratelli, l'ubbidienza ad ognuno che in quella casa o tempo è Superiore, almeno per ragione dell'officio che tiene, e sia colui chi si sia, il Fratello più infimo della Congregazione. Allora si vede chi è veramente ubbidiente. Io non mi edifico tanto dell'ubbidienza che si porta a me, quanto di quella che si porta ai Rettori locali, prefetti e ministri, o altri officiali che presiedano in qualche incombenza agli altri. Nell'ubbidienza si manca.

Spero a Dio che per l'avvenire alcune cose, che circa questo punto mi han dato gran disgusto, non succedano più. L'ubbidienza è quella sola che può conservare la Congregazione, e fare che in essa vi sia spirito; e l'ubbidienza, torno a dire, ad ognuno che sta in luogo di Superiore: altrimenti è finita la Congregazione. Onde tutti i difetti possono perdonarsi più facilmente, ma non questo contro l'ubbidienza.

E simile a questo difetto sarebbe ancora il difetto contro la povertà. Raccomando perciò a tutti i Superiori locali, presenti e futuri che, quando ad un soggetto è donata alcuna cosa per carità, di quella cosa, v. g. di quella tabacchiera, papalina, fazzoletto, calzette e simili, non gliene dia l'uso, ma gli dia altra cosa simile: e ciò è necessario per mantenere la purità della povertà; altrimenti ne possono venire molti inconvenienti, e può aprirsi qualche porta per distruggere la povertà, ch'è quell'altra virtù che mantiene lo spirito della Congregazione. Ed in quanto alle vesti, sottane, zimarre e mantelli, procurino i Superiori, quando sono vecchie e lacere in qualche parte, di farvi aggiungere le pezze sin tanto che ne sono capaci. Povera Congregazione, quando giungerà il tempo che i soggetti si vergogneranno di comparir rappezzati! Ma non vorrei che questa disgrazia si avesse sin da ora da cominciare a piangere.

 

Dico poi in quanto a me e torno a dire che, quando alcuno vuole, mi scriva liberamente. E si tolga l'apprensione che mi tedia e che m'impedisce la stampa. Io sono obbligato, come Superiore, a sentire e leggere le lettere del minimo Fratello della Congregazione; a ciò sono obbligato, ma non sono obbligato


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a stampare. Alla stampa di qualche operetta non posso impiegarci altro tempo, se non quello che mi avvanza dall'attenzione che devo mettere a sentire e rispondere alle lettere.

Se alcuno con tutto ciò volesse lasciar di parlarmi o di scrivermi per bene suo o della Congregazione, io glielo metto a scrupolo di coscienza e gliene domanderò conto nel giorno del giudizio. Io mi protesto che sopra questo punto, se ora stessi per morire, non vi ho scrupolo alcuno.

Quando occorre che alcuno viene a parlarmi, o mi scrive di cose appartenenti a sé o alla Congregazione, io lascio tutto. Non rispondo di mano propria; perché ora, dopo l'ultima infermità, non mi regge la testa a scrivere. Ma quando il soggetto non vorrebbe essere scoperto, io procuro di non farlo sapere neppure a chi scrive, facendo io la soprascritta. E quando bisogna, mi sforzo io, almeno a poco a poco, di scrivere tutto di mano propria.

E si tolga ognuno l'apprensione che io manifesto i segreti che mi sono detti o scritti; io sto attentissimo al parlare ed al lacerare le lettere. Quest'apprensione nasce perché molte volte, facendo io, per esempio, la correzione ad alcuno o pure operando qualche cosa che a taluno dispiace, facilmente i soggetti combinano le circostanze e si mettono a congetturare chi sia stato che mi abbia scritto o parlato, e molte volte c'indovinano; e da ciò succede poi che si lamentano che io manifesto i segreti.

Con questo non però non intenda alcuno che io sia obbligato a tenere qualunque cosa segreta, ancorché non sia di pregiudizio a chi mi scrive o parla. Il lamentarsi che io dica agli altri certe cose che non richiedono silenzio, è cosa ridicola. Che se alcuno poi volesse da me il segreto circa qualche cosa simile che non lo ricerca, me lo scriva espressamente, ed io lo servirò.

Raccomando in generale ancora più altre cose.

1. Dire con gravità la messa, perché sento alcuni dire la messa scomposta e disordinata per le cerimonie, o con troppa fretta. Noi predichiamo agli altri, e poi ecc.


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2. Parlando di quei PP. di missione che tengono le bisacce colla chiave, stando poi in casa, aprano le bisacce, e le tengano sempre aperte che si possano vedere da' Superiori sempre che vogliono; altrimenti ognuno potrebbe tener cose chiuse.

3. Niuno pigli gli scritti d'altri senza licenza espressa del Superiore. In ciò ho inteso molte lagnanze di alcuni che han perduti gli scritti.

4. Quando a' soggetti vien fatta qualche correzione dal Rettore Maggiore o da altri Superiori, niuno vada indagando con dimande suggestive chi sia stata la persona che abbia avvisati i Superiori di qualche sconcerto e difetto, con farne le richieste a quella persona di cui si ha sospetto: perché di questa maniera s'impedisce il bene comune; perché alcuni, per timore poi di non sapere che rispondere se sono interrogati, lasciano di avvisare i Superiori, come debbono; e ciò specialmente con que' soggetti che sono assegnati per zelatori, o vi è sospetto che sieno ispettori segreti.

5. Si raccomanda a tutti di nuovo di consegnare le restituzioni incerte al Superiore della missione, quando si sta in missione, o al Superiore della casa, quando si sta in casa.

6. Si raccomanda di nuovo di non far sapere le cose nostre a' forastieri, che le vengono a sapere meglio di noi per difetto dei soggetti. E si fanno loro sapere anche le cose di poca edificazione; e quelli poi le vanno spargendo per tutto. Si avverte di nuovo che, quando si esce fuori a predicare, così nelle novene, come nei tridui, esercizî particolari e simili, circa il vitto si osservi lo stesso che nelle missioni. Ciò raccomando specialmente a chi è ivi Superiore; perché da esso io ne voglio conto, ed a lui sarà imposta la penitenza.

 

Fratello ALFONSO del SS. Redentore.

 

Conforme all'originale che si trova nel nostro archivio generalizio di Roma.




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