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S. Alfonso Maria de Liguori
Lettere

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375. AL MEDESIMO.

Suggerisce altri consigli, e si scusa di non poter restituire la somma di cui gli era debitore.

 

Viva Gesù, Maria e Giuseppe!

 

ARIENZO, 12 NOVEMBRE 1762.

 

Mi rallegro di tante belle offerte di casamento; ma torno a dire: badate principalmente a scegliere quella che meno potrà inquietarvi, specialmente ne' tempi presenti che le dame sogliono tenere più mariti. E persuadetevi che le giovani pigliano più affetto agli uomini di età giovanile, che di età avanzata, come siete voi. Il praticare è quello che le fa svoltare il cervello.


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Un'altra cosa avverto ora che state solo: allontanate serve giovani dalla casa. Il demonio è demonio. Coll'occasione vicina e senza soggezione, tremerei anch'io di cadere. Potrete dire che, quando vi casate, allora le piglierete.

Ho detto già la messa per lo vostro casamento. State unito con Dio, perché ogni cosa riuscirà bene.

Veniamo ora alla conclusione de' denari, che sarà dolorosa. Voi mi cercate denari;1 ed io vorrei che quest'anno forse mi prestaste qualche altra cosa, mentre qui ho fatto più di 400 altri ducati di debito, e gli ho presi dal denaro destinato per la fabbrica del Seminario, la quale ora già è cominciata, mentre i Seminaristi non avevano dove stare in tempo d'estate.

Ho domandato che denaro vi era in cassa delle rendite esatte: mi è stato risposto che non vi sono più che 60 ducati incirca; e s'accosta il tempo di pagare il catasto e la pensione.

È vero che ho certo grano da vendere, ma questo si venderà verso la fine di dicembre, e mi dicono che bisognerà aspettare sino a marzo e maggio per cavarne qualche più di profitto.

In questo primo anno è stata una ruina di spese, che ho dovuto fare per accomodare due case, quella di Sant'Agata e quella di Arienzo, con fare solo le cose necessarie e nel modo il più miserabile; ho dovuto pagare lo spoglio al Capitolo, ed altri 400 ducati al Nunzio per la transazione.

Pertanto voglio vedere, quando venderò il grano, di darvi quel che posso, ma per ora bisognerebbe che mandaste a mettermi in carcere per cacciarne qualche carlino. E sappiate che non faccio più limosine, se non di poche grana. E questa è la conclusione dolorosa che ho nominata.

Io vi compatisco perché per ora non pigliate dote, e sottossopra avete da spendere. Ma la disgrazia è stata che si è unito vescovado e matrimonio.


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Io pure mi sono sposato, ma con una Sposa che non mi fa stare un momento quieto.

L'abbraccio e prego Dio, che vi mandi provvidenza.

 

Affmo fratello

ALFONSO Maria, vescovo di Sant'Agata.

 

Conforme all'originale che si conserva nel nostro archivio generalizio di Roma.




1 In occasione della partenza del Santo per Roma, D. Ercole gli aveva fatto un grosso imprestito di danaro, che per le sue seconde nozze desiderava vedersi restituito. Vedi lett. CCCLXIV.






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