466. AL FRATELLO DI UN PADRE DELLA CONGREGAZIONE.

In occasione della malattia del fratello, gli parla del come siano trattati gl'infermi della Congregazione, e gli toglie la speranza di averlo in patria.

Viva Gesù e Maria!

SANT'AGATA, 9 GIUGNO 1765.

Illmo Sig. Sig. e Pne colmo,

V S. Illma si ricorderà d'averle io scritto già l'altra volta che, circa il governo della Congregazione e specialmente de' soggetti, io non me ne intrigo; mentre sarebbe imprudenza la mia, governar da lontano in quelle cose di cui non vedo né so le circostanze.

Ora sento gli acciacchi, rimasti al Signor suo fratello dalla mortale infermità avuta: onde il più che posso fare è di mandare la sua, come farò, al P. D. Andrea Villani, Vicario generale, che governa in luogo mio.

Ma V. S. Illma sappia (le prevengo questo avviso), esser costume antico della nostra Congregazione di non mandare mai soggetti alle loro patrie. La Congregazione tiene diversi collegi di diverse arie: onde per gl'infermi suol prendersi il consiglio da' medici, qual'aria può meglio giovar loro, ed ivi si mandano; perché, mandandoli alle proprie patrie, si mettono i soggetti in gran pericolo di perdere la vocazione: male che tra noi si stima peggiore della morte.

Del resto, il P. Vicario fra giorni, come sento, dal collegio di Benevento¹ passerà al collegio di Nocera, ed ivi V. S. Illma facilmente potrebbe anche parlargli o pure scrivergli. Si assicuri però che tra noi per gl'infermi si usa tutta l'attenzione, né si bada a spesa quando bisogna.

Resto con tutto l'ossequio rassegnandomi.

Conforme all'edizione romana.