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S. Alfonso Maria de Liguori
Lettere

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655. AI PADRI E FRATELLI DELLA CONGREGAZIONE DEL SS. REDENTORE.

Esortazione a fuggire i difetti e a praticare con fervore le virtù religiose.

Viva Gesù, Maria, Giuseppe e Teresa!

ARIENZO, 26 FEBBRAIO 1771.

(Si legga questa mia in un giorno di Capitolo, quando vi sono tutti o quasi tutti i sacerdoti, gli studenti e gli altri Fratelli della Congregazione).

Fratelli miei carissimi, già sapete che fra poco tempo Dio si ha chiamato all'eternità più di uno de' nostri compagni: sapete ancora quanto è perseguitata la nostra povera Congregazione. Tutto ciò niente mi spaventa. Quel che più mi spaventerebbe, sarebbe il vedere molti compagni di poco spirito


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e con molti difetti. S. Filippo Neri dicea che dieci operai santi basterebbero a convertire tutto il mondo.

Per grazia di Dio, sento che le nostre missioni fanno prodigi dove vanno; dicono comunemente quei paesi, dove la prima volta vanno le missioni, che non hanno avute missioni simili. Ma nello stesso tempo ho provate certe spine troppo pungenti, in sentire che qualche soggetto ha cercato avere in missione qualche esercizio, che non gli era assegnato dall'obbedienza. Io non so qual profitto possa aspettare dalle sue prediche, istruzioni o altro, perché Dio non concorre colle fatiche de' superbi. Dice S. Agostino: Erigis te? Deus fugit a te.

Attenti, Figli e Fratelli miei, a guardarci dalla superbia, nel pretendere esercizî che si desiderano in missione o in casa. L'esercizio più caro a Dio è quello che è dato dal Superiore, senza nostra richiesta. La superbia forse, e senza forse, ne ha cacciato più d'uno dalla Congregazione. La superbia e la voglia di vivere in libertà: perciò molti de' nostri son fuori della Congregazione, i quali è certo che non avranno mai pace vera in questa vita; perché la pace viene da Dio, e Dio non la a' religiosi ribelli della sua luce ed a quei che han voluto perdere la vocazione. Ed in punto di morte saranno più dolorose le punture di morire, per propria elezione, fuori della Congregazione, dopo esservi entrati.

Mi han fatto ridere alcuni, dicendo: Ma io nella Congregazione sto di mala salute. Come se chi entra alla Congregazione acquistasse l'immortalità e l'esenzione da ogni infermità. Si ha da morire, e prima di morire si han da patire i morbi.

Quale ha da essere il fine principale di chi entra nella Congregazione, se non di dar gusto a Dio e di fare una buona morte, morendo nella Congregazione? grazia già ottenuta da tanti nostri buoni Fratelli, che ora già stanno all'eternità, ed al presente, come tengo per certo, tutti stanno ringraziando Dio di averli fatti morire nella Congregazione.

E così, Fratelli miei, quando viene l'infermità, abbracciamola dalle mani di Dio e non diamo udienza al demonio,


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che, quando vede un Fratello infermo, si applica a tentarlo sulla vocazione.

E state attenti, Fratelli miei, a non persistere ne' difetti. Chi fa il difetto e poi lo detesta non patisce danno; ma chi lo commette e poi non lo abborrisce, anzi lo difende e lo scusa, è quasi perduto e non trova pace né all'orazione né alla comunione. E da quel difetto subito il demonio lo tenta nella vocazione.

Attenti pertanto all'umiltà ed all'ubbidienza delle Regole e de' Superiori, se volete dar gusto a Dio e goder la pace che godono gli ubbidienti.

Aiutiamoci sempre colle preghiere, nelle orazioni, nella Visita e sempre, sempre, sempre; altrimenti saranno perduti tutti i nostri buoni propositi e promesse: e perciò raccomando di fare la meditazione per lo più sopra i libri miei, Apparecchio alla morte, Meditazioni della Passione che stanno alla Visita, Saette di fuoco che stanno alla Via della salute, e le Meditazioni dell'Avvento sino all'ottava dell'Epifania, che stanno al libro di Natale.

Dico ciò, non per mettere avanti le opere mie miserabili; ma perché le meditazioni riferite sono ornate di affetti divoti e sono piene (quello che più importa) di sante preghiere, delle quali io non ne leggo molte negli altri libri. E perciò prego nella meditazione di far leggere sempre i secondi capitoli degli affetti e preghiere.

Fratelli miei, io prego sempre per voi, e voi pregate per me ancora, ed a ciascuno in particolare do l'ubbidienza che in particolare mi raccomandi a Gesù Cristo, che mi doni una buona morte la quale mi sta vicina, così per l'infermità come per gli anni. Sono già di settantacinque anni, e mi accosto ai settantasei.

Io spero di salvarmi e spero nell'altra vita di negoziare con Dio per la Congregazione. Ma dico a ciascuno, che disprezzerà questi miei sentimenti che ho scritti, che nel giorno del giudizio, dinanzi al tribunale di Gesù Cristo, mi avrà per lo primo


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accusatore: mentre io non ho lasciato mai di avvertire a' Fratelli queste medesime cose, ma con tutto ciò ho veduti molti Fratelli che han voltate le spalle a Dio, lasciando la Congregazione. Tutti li aspetto al giorno del giudizio.

Benedico tutti nel cuore di Gesù e di Maria.

Fratello ALFONSO MARIA, vescovo di S. Agata, Rettore Maggiore.

Conforme all'originale che si conserva nel nostro archivio generalizio di Roma.




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