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S. Alfonso Maria de Liguori
Apparecchio alla Morte

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Introduzione di B. Häring.

 

 

Al lettore farà certamente piacere conoscere la figura di sant'Alfonso Maria de Liguori, che in questo libro gli parla con tanta cordialità. Il volume è parte integrante del messaggio e dell'attività del santo dottore della Chiesa e ci dischiude la sua spiritualità, che contribuì allora in misura determinante a cambiare il clima spirituale nella Chiesa italiana, e non solo in essa.

Pertanto parlerò brevemente 1) della figura e dell'opera dell'autore; 2) della sua spiritualità e dell'influsso da lui esercitato; 3) del messaggio e dell'attualità dell'Apparecchio alla morte.

 

1. La figura e l'opera di sant'Alfonso

Sant'Alfonso Maria de Liguori nacque il 27 settembre 1696 a Marianella, vicino a Napoli, da un'antica famiglia nobile. Suo padre, un ammiraglio onesto ma ambizioso, faceva grandi progetti per Alfonso, il figlio maggiore che dimostrava di possedere doti geniali, e lo fece educare per questo in maniera raffinata, facendogli frequentare anche scuole di musica e di pittura. A diciassette anni non ancora compiuti egli era già “doctor utriusque iuris” e divenne ben presto un avvocato rinomato.

Il fatto che nel 1723 perse un processo importante fu solo l'occasione esteriore, che fece precipitare un'evoluzione spirituale in atto già da lungo tempo. Già prima infatti egli si era dedicato all'esercizio della pietà e principalmente alla cura dei lebbrosi e dei poveri. Aveva solo bisogno di sperimentare una buona volta crudamente la disonestà imperante nel mondo della sua professione per decidersi a dedicarsi in maniera radicale ai poveri e ai derelitti. Ciò provocò l'ira del padre, che non poteva capire come un ragazzo tanto dotato potesse rinunciare a una carriera brillante e rifiutarsi, nel servizio della Chiesa, a ogni onore e promozione. Ma Alfonso accettò con serenità, benché col dolore nel cuore, pure questa croce.

Ordinato sacerdote nel 1726, lavorò tra l'altro nel campo delle missioni popolari come membro di un'associazione sacerdotale, e organizzò numerosi gruppi di preghiera a Napoli e dintorni, gruppi in cui l'educazione alla preghiera si accompagnava alla formazione dei laici all'apostolato.

Colpito da una grave forma di esaurimento, che lo costrinse a prendersi un periodo di riposo a Scala (vicino ad Amalfi), imparò a conoscere la venerabile suor Maria Celeste Crostarosa, una delle grandi mistiche del secolo XVIII, e l'aiutò a fondare l'Ordine contemplativo delle Redentoriste (1731). La provvidenza volle che ivi sperimentasse pure la miseria spirituale dei pastori. Così maturò in lui l'idea di fondare una comunità religiosa, che si dedicasse in primo luogo alla gente più abbandonata e povera. Ed eccolo fondare allora nel 1732 la Congregazione dei Redentoristi, che conta oggi 6.500 membri disseminati in ogni parte del mondo. Per trent'anni lavorò coi suoi discepoli tra i poveri in qualità di missionario molto ricercato, predicò la buona novella della “sovrabbondante redenzione” e assistette, com'egli stesso ebbe a testimoniare, a conversioni veramente miracolose.

Contro la sua volontà, ma in obbedienza al Santo Padre, nel 1762 divenne vescovo di sant'Agata dei Goti (fino al 1775), ove si fece padre dei poveri e promotore instancabile del rinnovamento religioso del clero e del popolo. Il suo fermo impegno nella riabilitazione delle prostitute è solo uno dei molti segni con cui egli proclamò che per lui non esistevano “casi disperati”.

 

La sua creatività e la sua capacità di lavoro hanno dell'incredibile, se si pensa che fu spesso colpito da malattie. Aveva fatto il voto di non perdere mai un istante di tempo e per questo aveva sempre tempo per i malati spirituali e per le anime tormentate e inquiete. La sua attività principale era la predicazione diretta della buona novella ai poveri, la formazione delle coscienze e la celebrazione del sacramento della riconciliazione. Pochi sacerdoti hanno predicato come Alfonso con tanta frequenza, tanta passione e tanto entusiasmo la parola di Dio. Il suo confessionale fu qualche volta assediato giorno e notte.

Marginalmente, se così possiamo dire, coltivò anche l'apostolato della penna. Oltre alla Teologia morale, opera in più volumi, in cui si diresse principalmente ai confessori, compose altri 110 scritti, alcuni piuttosto lunghi, altri più brevi, che a tutto il 1933 avevano già avuto complessivamente 17.125 edizioni in 61 lingue e da allora hanno continuato ad esser pubblicati.

 

Egli morì a Pagani il 1° agosto 1787 in veneranda età, dopo essere passato attraverso gravi sofferenze e dolorose esperienze. Venne beatificato nel 1816, canonizzato nel 1839, dichiarato dottore della Chiesa (“Doctor zelantissimus”) nel 1871 e proclamato nel 1950 da Pio XII patrono dei confessori e dei moralisti.

 

Alfonso de Liguori fu un uomo straordinariamente colto e poliedrico. Non fu solo un oratore incantevole e un grande conoscitore d'anime. Egli sapeva far cantare il vangelo nel cuore dei credenti. Compose numerosi inni religiosi, che in parte continuano ad esser cantati in Italia, e parlò all'occhio e al cuore con dipinti religiosi.

Ma il suo tratto più spiccato fu questo: fu un “innamorato” pazzo di Cristo, che non finiva di stupirsi per l'amore indicibile di Dio e di Cristo per tutti e per ogni singolo uomo. Con profonda meraviglia e tristezza si soffermava a volte a pensare al tempo in cui l'aveva amato solo con metà del suo cuore. Non riusciva a capire come mai non tutti i cristiani si lasciassero completamente conquistare dall'amore del Signore. Dal suo grande amore per Cristo e dalla sua fede nell'amore di Dio per tutti gli uomini si sprigionò uno zelo ardente per le anime. “ Non perdere un istante di tempo ” significò per lui in concreto fare sempre il possibile per convincere gli uomini dell'amore misericordioso e appassionato di Dio per tutti noi, insegnare loro l'arte d'imparare ad amare Gesù, per amare con Gesù il Padre e, con Gesù e con il Padre, amare veramente gli uomini.

A questo scopo egli utilizzò il tempo della preghiera, della sofferenza e delle sue molteplici attività pastorali.

 

2. La sua spiritualità e l'influsso da lui esercitato

 

Per capire la spiritualità e l'influsso esercitato dal santo sulla Chiesa bisogna tener presente la situazione storica in cui egli visse e operò. Alfonso crebbe in seno a una società pronunciatamente classista, caratterizzata dall'alterigia della nobiltà, dalla presunzione dei ricchi, dall'abuso del potere politico, dalla parziale secolarizzazione del clero che amava andare a caccia di privilegi, di titoli onorifici e di posizioni di comando e si curava poco dei poveri e degli emarginati.

Tutto ciò si rispecchiava in parte nelle tendenze giansenistiche in fase di rapida espansione, tendenze secondo cui Dio destinerebbe alla salvezza solo una schiera relativamente piccola di individui. Pure all'interno della teologia ecclesiastica del suo tempo una scuola, che si diceva falsamente tomista, era giunta alla conclusione che Dio avrebbe deciso dall'eternità ‑ senza tener conto del merito e del demerito ‑ di concedere la grazia efficace solo a una piccola parte e di offrire alla massa una “grazia semplicemente sufficiente”, che con necessità metafisica non poteva portare alla elezione, ma era comunque sufficiente per giustificare l'imposizione del castigo.

A ciò si aggiungeva un corrispondente rigorismo nella prassi pastorale, che respingeva con facilità molti individui come casi disperati, rifiutava senza troppo pensarci l'assoluzione e inaspriva i controlli giuridici. Alla base di tutto questo stava un'immagine di Dio forgiata dagli uomini, che volevano appunto un Dio che sancisse la società classista del tempo, ivi inclusa la persistente schiavitù.

 

Decisiva nella teologia e nella spiritualità di sant'Alfonso è la sua opzione radicale a favore dei piccoli, dei disprezzati e dei negletti sotto il profilo pastorale e umano. Essa lo immunizzò contro le menzionate tendenze giansenistiche e rigoristiche e lo ispirò nella scelta del motto per la propria azione e la propria congregazione: “Copiosa apud Eum redemptio: Sovrabbondante è presso di Lui la redenzione”. La sua spiritualità echeggia il grido di giubilo di Gesù: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli” (Lc 10, 21).

Caratteristici della sua decisione fondamentale a favore dei piccoli e dei disprezzati sono i due voti, che egli impose a sé e ai propri confratelli oltre ai tre voti tradizionali: primo, il voto di dare la precedenza assoluta nell'attività pastorale ai diseredati e agli emarginati; secondo, il voto di non cercare e non accettare incarichi e titoli onorifici nella Chiesa, a meno che il papa esigesse esplicitamente in virtù di santa obbedienza che uno si assumesse l'ufficio episcopale. Egli era oltremodo sensibile al pericolo di vedere la religione utilizzata per scopi . terreni ed egoistici.

 

1. La sua spiritualità è contraddistinta da una pronunciata concentrazione sull'amore di Cristo, sull'amore che il Padre ci dimostra in Cristo e a cui ci chiama. Tale distintivo trova la sua espressione classica nell'opera alfonsiana più bella, nella Pratica di amar Gesù Cristo, ma riluce pure nel complesso della sua attività. Le sue meditazioni girano continuamente attorno ai misteri in cui l'amore parla con un'eloquenza particolare al nostro cuore: incarnazione, passione e morte di Gesù, istituzione del santissimo sacramento dell'altare, concretizzazione dell'amore misericordioso del Padre in Maria, la Madre della misericordia.

Nelle preghiere il santo ritorna senza posa alla verità fondamentale che “Dio è amore”, ma amore in termini del tutto concreti e personali: Dio mi ama tanto che ci tiene realmente al mio amore, anche se non ne ha bisogno; vuole essere amato; ci vuole veder beati nell'oceano del suo amore; non ci vuole come schiavi, ma come amici, figli e figlie ripieni di amore.

Questo amore intimo, appassionato e fiducioso per il Signore, questo immergersi senza riserve nell'amore è per Alfonso precisamente l'esperienza che lo spinge nella maniera più forte a interessarsi delle anime: egli vuole vedere Dio amato e onorato da tutti gli uomini, vuole vedere tutti gli uomini ripieni e beatificati da tale amore.

Egli cita molto spesso e in passi decisivi dei suoi scritti spirituali il detto di sant'Agostino: “Dilige et quod vis fac”, ma nello stesso tempo afferma con estrema chiarezza che l'amore a cui pensa non è un amore sentimentale e sdolcinato. Insiste sì sul fatto che l'amore dev'essere intimo e cordiale, ma in egual misura afferma anche che deve essere un amore illuminato, deciso e fecondo.

Alfonso, tutto preso dall'amore per Gesù, intende inscrivere nei suoi uditori e lettori l'amore incarnato, intende incidere nel loro cuore l'amore salvatore per noi crocifisso. Per il nostro santo imparare ad amare significa imparare a conoscere e amare Gesù e, con Gesù, imparare a conoscere e amare il Padre. L'amore ha quindi per lui un volto ben preciso: Gesù Cristo.

Dilige, ama! Ciò significa per lui prestar attenzione all'amore dimostratoci da Dio, aprirsi ad esso, implorarlo costantemente come un dono e riceverlo dalla mano divina con gratitudine.

 

Quanto mai caratteristica in lui è inoltre l'insistenza sulla conformità alla volontà di Dio. Essa presuppone una fiducia intima, grande e totale nel fatto che la volontà di Dio è amore e conduce a un amore beatificante. Credere per Alfonso significa ovviamente accettare tutto quel che Dio ci rivela e ci propone a credere mediante la Chiesa, ma significa in modo particolarissimo anche abbandonarsi con fiducia a Dio, affidarsi totalmente a lui, rimettersi senza riserve nelle sue mani. In vari modi egli smaschera la tentazione umana di indurre Dio a fare la nostra volontà. Solo se si abbandona totalmente e con fiducia a Dio, la volontà e il cuore dell'uomo pervengono alla loro verità e raggiungono la libertà redenta.

La conformità alla volontà di Dio scaturisce per Alfonso esattamente dal nucleo centrale della preghiera di Gesù e dei suoi discepoli: “Padre, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”, preghiera nella quale non bisogna mai dimenticare di prestare attenzione al termine fiducioso di “Padre”. Abbandonarsi fino in fondo a Dio, rimettersi senza riserve a lui significa nutrire una fiducia infantile e radicarsi in cielo, ove tutto avviene per amore.

 

2 - Un secondo termine chiave della spiritualità alfonsiana, il distacco, è tutto in funzione della conformità alla volontà di Dio. Esso significa distanziarsi dall'io egoistico e dal mondo egoistico. La forte accentuazione del distacco sta a indicare teologicamente in Alfonso anzitutto il bisogno di redenzione di tutto l'uomo e di tutta l'umanità, anzi addirittura della creazione, che è coinvolta nella corrente del peccato dell'umanità.

“Distacco” nel linguaggio alfonsiano è una buona spiegazione di un'espressione biblica di difficile comprensione: mortificazione della carne. Il distacco non è né fobia del mondo né fobia del corpo, il “mondo”, dal quale si chiede il distacco, è costituito per Alfonso da quegli “uomini cattivi” che creano situazioni ostili a Dio.

Il distacco ha senso solo in ordine alla liberazione per il vero amore. L'amore redento e redentore si dirige in primo luogo e soprattutto a Dio in Cristo. Eloquenti al riguardo sono le preghiere seguenti: “Voglio distaccarmi da tutti gli affetti, che non tendono a Voi ” (Apparecchio alla morte, Considerazione XX/3). In maniera ancor più chiara tale orientamento viene espresso in quest'altra preghiera: “Staccatemi da tutto, distaccate dall'anima mia ogni affetto, che non è per Voi” (Considerazione XXI/3). Il santo aggiunge in questo passo quella che è per lui l'istanza autentica del distacco: “e rendetemi tutto vostro”.

 

Il distacco è quindi sinonimo di libertà per Dio e dunque di libertà per il Dio dell'amore, per poter amare con Dio. Il distacco rende possibile la predilezione per i poveri e le persone ributtanti. Secondo Alfonso il criterio per verificare se il nostro amore è realmente libero da ogni forma e schiavitù dell'egoismo individuale e collettivo è l'amore per i poveri nel senso più ampio del termine, cioè in concreto l'amore per i non amati, i negletti, i disprezzati, per tutti coloro che non sono in grado di ripagare in contanti il nostro amore.

Egli vede il distacco realizzato nel mistero dell'incarnazione, nel bambino divino‑umano adagiato nella mangiatoia. L'autospogliazione della Parola di Dio e la povertà estrema, in cui Gesù nasce e muore, sono il trionfo del libero amore di Dio per l'umanità peccatrice e di per sé minimamente degna di essere amata, e sono nello stesso tempo lo smascheramento dell'egoismo e dell'avidità dei ricchi e dei potenti della terra. L'immagine del distacco supremo è Gesù in croce. Là dove tutto sembra apparentemente aver congiurato contro di lui, egli si abbandona pieno di fiducia nelle mani del Padre; là egli mostra il suo amore sconfinato pregando per i crocifissori e i bestemmiatori, per i ladroni crocifissi al suo fianco e, quindi, per tutti coloro che sono proscritti dagli uomini.

Pure in sant'Alfonso il distacco va quindi giudicato e imparato ad essere amato alla luce dei frutti della redenzione: con esso impariamo ad amare tutta la creazione come dono di Dio; ci rallegriamo della bellezza delle opere di Dio; poniamo volentieri tutti i beni terreni al servizio dell'amore; amiamo i non amati e gli stessi nemici.

Chi non tiene conto di questo non ha capito nulla della spiritualità alfonsiana. L'esigenza del distacco è tanto radicale quanto quella che ci pone l'amore di Dio. Dio ci vuole vedere liberi di amarlo e di poter amare con lui, così come egli si è rivelato assolutamente libero di amare nell'incarnazione, nella passione e nella morte di Cristo.

 

3. Un terzo pilastro della spiritualità alfonsiana è il carattere gratuito e soprannaturale della redenzione. Su questo punto egli è drastico e coerente come san Paolo e sant'Agostino. Tutto è grazia. In seguito allo sprofondamento nel peccato l'umanità ha perso completamente il diritto all'amore di Dio, diritto accordatogli benignamente dal creatore. Il motivo dell'amore redentore di Dio sta unicamente in Dio solo, appunto nel fatto che Dio è amore. L'atteggiamento amoroso di Dio è totale e abbraccia tutti gli uomini. Tuttavia ricevono effettivamente tale suo amore solo coloro che lo riconoscono come immeritato. Dio deve questo al suo stesso essere Dio, al suo amore immeritato, alla verità del suo amore. Il superbo non riconosce Dio come Dio, come la fonte e il fine di ogni bene. Chi si giustifica da solo, chi fa leva sulle proprie opere pecca direttamente contro la verità dell'amore divino, nonché contro l'assoluta sovranità divina, e si chiude così ai frutti della redenzione.

 

In questa luce va vista la dottrina alfonsiana della grazia e quella ad essa strettamente collegata della preghiera.

Contro il giansenismo e le correnti teologiche affini il santo dottore sottolinea con forza e ad ogni occasione il dogma che Dio vuole veramente e realmente la salvezza e la santità di tutti gli uomini. Lo zelo per le anime è per lui il modo di partecipare ci tale amore redentore di Dio rivolto a tutti gli uomini. La morale della misericordia e della pazienza è una lode dell'amore misericordiosissimo di Dio, mentre la durezza e l'impazienza pastorale sono una bestemmia della filantropia e misericordia divina.

Il primo compito e l'ufficio fondamentale del pastore d'anime, in particolare del confessore, consistono nel rendere visibile e percepibile l'amore misericordioso del Padre celeste rivelato in Cristo. Se nella sua vecchiaia Alfonso poté dire di non aver mai negato l'assoluzione ad alcuno, ciò non fu frutto di lassismo, ma dell'esperienza da lui stesso fatta della misericordia di Dio, in virtù della quale riusciva ad orientare efficacemente i penitenti a tale amore misericordioso. Un rifiuto precipitoso dell'assoluzione sarebbe stato per lui una mancanza inaudita contro l'amore misericordiosissimo di Dio.

 

Con grande vigore egli insegna che Dio concede a tutti gli uomini una grazia veramente sufficiente di pregare, grazia che dice di preferenza “fallibilmente efficace”. L'eventuale fallimento ha la sua causa prima nell'uomo, soprattutto nella mancanza del riconoscimento grato che la salvezza è una grazia immeritata.

Alfonso insegna insistentemente con la tradizione agostiniana che la predestinazione non è frutto di opere umane. In Cristo tutti gli uomini sono in linea di principio chiamati alla salvezza. Tuttavia la predestinazione definitiva è un puro dono divino, elargito tenendo conto dell'umile e costante riconoscimento da parte dell'uomo che la salvezza è un dono immeritato. Di qui l'accento posto instancabilmente sulla preghiera in generale, soprattutto sulla preghiera di ringraziamento e di domanda, e in particolare sulla preghiera per ottenere la grazia della perseveranza fino alla morte.

Alfonso fa quanto è in suo potere per stimolare ed educare i cristiani alla preghiera fiduciosa. Non bisogna minimamente dubitare che Dio vuole per davvero la salvezza di tutti.

 

Questo spiega anche perché tutti gli scritti ascetici del santo sono meditazioni oranti e una guida alla preghiera spontanea e a tutta la gamma della preghiera cristiana, dalla preghiera animata dall'amore di gratitudine a quella animata dall'amore stupefatto, umile e pentito, dalla preghiera di domanda fiduciosa per ottenere l'amore perfetto a quella per ottenere la perseveranza definitiva nell'amore.

 

4. La chiara dottrina della redenzione e della grazia informa anche la morale e la pastorale alfonsiana della pazienza e del rispetto della coscienza. A motivo dell'esigenza di unirsi all'amore redentore di Gesù, Alfonso ha visto chiaramente quanto sia inefficace e ingiusto oberare gli uomini di doveri giuridici. La prima cosa è sempre quella di condurre all'amore di Dio; poi segue la progressiva educazione a riconoscere quel che il vero amore esige, quel che esso dona e donando richiede.

Alfonso insegna con grande insistenza che non si può imporre alcun obbligo giuridico, se il penitente o colui che cerca consiglio non è in grado di capire onestamente in coscienza tale obbligo come una vera esigenza dell'amore di Dio. Contraddice all'amore redentore di Dio pretendere qui e ora una cosa che viene sentita come contraria alla propria retta coscienza.

 

Nella spiritualità alfonsiana ciò non ha nulla a che fare con la mediocrità o la tolleranza della mediocrità. È una questione di pedagogia salvifica. Questa richiede che presentiamo sempre e dappertutto la sovrabbondanza della redenzione come vocazione alla salvezza e contemporaneamente alla santità della vita. L'opzione fondamentale in favore della salvezza offerta in Cristo include in linea di principio l'opzione fondamentale in favore della tendenza alla santità. Ma la pedagogia salvifica divina guida per gradi l'uomo al fine.

Sant'Alfonso sa esortare in maniera veramente carismatica il peccatore a non disperare della propria salvezza. In particolare afferma spesso e volentieri che un segno della grazia è costituito dal dolore dei peccati e dal desiderio di amare Dio sopra tutto. Nel medesimo tempo ricorda con estrema chiarezza che quanti si contentano della mediocrità e vivono nella tiepidezza non possono appellarsi alle promesse divine: queste non sono per loro. Viceversa chi aspira seriamente alla santità non ha motivo di temere, anche se nella sua sincera aspirazione rimane sempre indietro rispetto al traguardo. I fallimenti parziali debbono piuttosto costituire un motivo per pregare con maggior fervore e far uso dei mezzi salvifici a disposizione.

 

5 - Non è pensabile delineare i tratti della spiritualità di questo santo cattolico al cento per cento senza menzionare la sua profonda devozione per la Madre di Dio. Quando egli cominciò a tenere le missioni popolari coi Pii Operarii, la predicazione missionaria consisteva quasi esclusivamente nel richiamare le verità sconvolgenti e minacciose del peccato, della morte, del giudizio e dell'inferno.

Alfonso non ha mai dubitato che occorra predicare con serietà e insistenza anche tali verità. Ce lo dimostra appunto il suo Apparecchio alla morte. Egli vide però anche in maniera chiarissima che il semplice timore del castigo non produce alcuna vera conversione. La conversione in senso cristiano è infatti una risposta data “con tutto il cuore” all'amore redentore di Dio.

Da predicatore di grande talento ed entusiasmante quale era, egli sperimentò ben presto che i peccatori avevano soprattutto bisogno di grande fiducia nella misericordia di Dio e volle che i suoi confratelli, i Redentoristi, non abbandonassero mai un luogo senza aver predicato per una settimana durante la missione popolare sulle verità consolanti che suscitano e rafforzano in modo particolarissimo la fiducia in Dio e l'amore di Dio. Alle prediche sconvolgenti sulle “massime o verità eterne”, come allora si diceva, egli faceva seguire, con un repentino capovolgimento psicologico, la predica sii Maria, il grande segno della speranza nell'amore misericordioso. L'idea centrale di essa risuona con tutta chiarezza nella nota lode: “O bella mia speranza”. Egli raccontò più volte che convertiva più peccatori questa predica che non tutte quelle precedenti sulle massime eterne.

 

Sullo sfondo di tale visuale teologicamente ortodossa del dottore della Chiesa, si stagliava inoltre una sua esperienza psicologica del tutto personale. Il giovane Alfonso apprezzava molto il padre. Ma la severità e l'ambizione di questi minacciavano di deformare più che di rivelargli l'immagine paterna di Dio. La mamma molto amata costituiva invece il polo opposto, che infondeva pace e controbilanciava la figura del padre. Ella era sempre piena di bontà e comprensiva e seppe appianare il conflitto tra il figlio che voleva voltar le spalle alle ambizioni del mondo e il genitore. Come tanti altri cristiani, così anche Alfonso si sarebbe detto di tutto cuore d'accordo con Giovanni Paolo I, secondo il quale molti vedono più volentieri Dio sotto l'immagine della madre che non sotto quella del padre. Il Dio e Padre di nostro Signore Gesù Cristo fu per Alfonso molto più la somma di quanto egli aveva sperimentato dalla madre che non un riflesso del suo padre severo e troppo a lungo corrucciato.

Dio ha creato l'uomo e la donna come sua immagine e somiglianza nella loro correlazione e diversità. Per quanto le esperienze che uno fa col proprio genitore carnale siano buone, occorre tuttavia sempre anche l'immagine della madre per comprendere Dio in misura più piena come amore.

 

L'influsso di sant'Alfonso sulla vita della Chiesa è stato enorme. Egli provocò nientemeno che un cambiamento del clima spirituale. Il santo dottore della Chiesa accusò la teologia, la letteratura ascetica e la predicazione del tempo di essere fredda e arida. I suoi scritti ascetici sono un dialogo a cuore a cuore tra lui e Gesù, nonché tra lui e i suoi lettori. Le sue opere furono lette e meditale da milioni di persone che ne vennero incitate a pregare con fiducia, a confidare, a gioire della fede, a tendere alla santità.

 

I1 nostro dottore della Chiesa ha impedito la penetrazione del giansenismo e del rigorismo estremo in Italia come nessun altro suo contemporaneo, anche se in quel periodo fiorirono diversi santi importanti. Lavorò efficacemente in favore della fedeltà alla Santa Sede. Per merito suo la visita al santissimo sacramento dell'altare si diffuse ovunque. Egli fu un grande antesignano dei decreti sulla comunione di san Pio X. Già nel suo tempo dischiuse a molte anime l'accesso alla comunione frequente e addirittura quotidiana. Chi conosce la sua spiritualità non si meraviglia che egli sia diventato anche uno dei promotori più zelanti della devozione al Sacro Cuore.

Alfonso continua a esercitare il suo influsso tutt'oggi mediante i suoi scritti e in modo particolarissimo anche mediante la Congregazione del Santissimo Redentore da lui fondata, mediante l'Ordine delle Redentoriste e le numerose congregazioni di suore della famiglia alfonsiana. In questo contesto mi si permetta di ricordare anche l'Accademia Alfonsiana di Roma, che negli ultimi venticinque anni ha dato una formazione specializzata in teologia morale a circa duemila studenti, proponendo una teologia ad orientamento pastorale, che intende guidare alla vita spirituale nello spirito di sant'Alfonso.

 

3. Messaggio e attualità dell'Apparecchio alla morte

 

Questa nuova edizione ‑ che si basa sull'edizione critica di Oreste Gregorio C.Ss.R. del 1965 (aprile) ‑ va considerata come là 135.a edizione italiana, stando alle ricerche fatte da tale edizione critica. Se ad esse si aggiungono le traduzioni fatte in 22 lingue, si raggiunge un totale di oltre 350 edizioni dell'opera.

 

L'Apparecchio alla morte da solo non offre un quadro completo della spiritualità di sant'Alfonso, ma va comunque annoverato tra le sue pubblicazioni più significative e fortunate. Inoltre la terza parte del libro espone con brevità e stringatezza dottrine e istanze centrali del santo dottore (paradiso, preghiera, perseveranza, fiducia nella protezione di Maria, amor di Dio, la santa comunione, visita del santissimo sacramento dell'altare e, ovviamente, “l'uniformità alla volontà di Dio” come conclusione).

A somiglianza della maggior parte degli scritti ascetici, anche questo anticipa già nell'introduzione il motivo conduttore: “Ama Dio e la quel che vuoi”. Ed estremamente significativa ne è la motivazione: “Sì, perché chi ama Iddio, cercherà di evitare ogni suo disgusto, ed altro non anderà cercando che di compiacerlo in tutto”. “Dar gusto a Iddio, evitare ogni suo disgusto” è un'espressione che ritorna regolarmente, soprattutto nelle numerose preghiere.

 

Degna di attenzione è anche la bellissima dedica del libro alla Immacolata Concezione, alla Vergine Maria, che egli dice qui “Paciera de' peccatori, Speranza de' disperati, Aiuto degli abbandonati, Consolatrice degli afflitti, Conforto de' moribondi, ed Allegrezza del mondo”. Tali parole indicano anche i destinatari dell'opera. Alfonso vuole scrivere un libro di consolazione, vuole suscitare speranza e fiducia.

A tale scopo è subordinato anche il tentativo tenace di indurre il lettore al distacco da tutto quel che dispiace a Dio. Alfonso intende forgiare la decisione fondamentale nel fuoco ardente del santo timor di Dio e dell'amore pieno di gratitudine. Caratteristica in questo senso è per esempio la preghiera della Considerazione II/2: “Risolvo di perdere tutto, prima che perdere la vostra grazia e il vostro amore. Datemi il vostro amore, e niente più vi domando”.

 

Il santo autore s'è posto costantemente due scopi nella composizione del testo. Lo scopo principale e diretto fu quello di scrivere un libro di meditazione e soprattutto di preghiera, che inducesse il lettore e l'orante a pregare personalmente. Il santo prega per così dire ad alta voce davanti al lettore. Più che in qualsiasi altro suo scritto ascetico egli inserisce qui preghiere dal timbro molto personale, che spera saranno fatte proprie e approfondite dal lettore. Ognuno delle 36 Considerazioni contiene tre preghiere piuttosto lunghe. Pure l'autore sapeva che questo comportava molte ripetizioni, che danno un certo senso di monotonia. Ma egli l'ha voluto intenzionalmente per conferire alla preghiera un orientamento chiaro e stabile.

 

Il secondo scopo fu questo: offrire ai predicatori e ai direttori di esercizi spirituali una falsariga ricca di materiale, nella speranza che il predicatore la meditasse e la pregasse prima personalmente per assimilarne il contenuto. Alfonso intende fare il possibile affinché i predicatori siano predicatori oranti. Si sente che egli ha recitato per primo in maniera molto personale queste preghiere.

Esse propongono e confermano in maniera chiara soprattutto la decisione fondamentale di tendere fedelmente alla santità e di chiedere con costanza tale grazia a Dio. Temi centrali sono l'amore di Dio con tutto il cuore, il sì totale alla volontà divina, la fedeltà fino alla morte. Ad essi si aggiunge l'educazione ininterrotta al dolore ispirato dall'amore. Eloquenti sono per esempio i passi seguenti: “Il dolore che sento d'avervi offeso, il desiderio che ho d'amarvi, ma più la vostra passione, amato mio Redentore, mi fanno sperare di stare in grazi a vostra” (Considerazione II/2). “Mi tormenta questo dolore, ma dolce è il tormento, mentre questo dolore mi dà confidenza che Voi già m'abbiate perdonato”(II/3). Si vede come qui, nella preghiera per ottenere il pentimento, echeggi anche la gratitudine per la grazia del pentimento.

Riassumendo possiamo dire che, a somiglianza di san Paolo, Alfonso ci invita a presentare tutte le nostre preghiere a Dio accompagnandole con un sentimento di gratitudine. La stessa preghiera di domanda è completamente immersa in un alone di gratitudine.

 

L'Apparecchio alla morte è da cima a fondo una pressante esortazione a convertirsi, esattamente come le prediche missionarie del santo. Un grande assillo dell'autore è che nessuno dei suoi lettori si permetta la stupidaggine e la temerarietà di tramandare a più tardi la conversione. Significative sono per esempio queste parole: “Dunque, fratello mio, presto dotti a Dio, prima che venga la morte!”. Proprio in questi contesti il santo apostrofa il lettore direttamente come “fratello mio”.

La Considerazione XI espone con grande chiarezza un motivo ricorrente a questo proposito: la meditazione sulla morte non è una fuga, ma una meditazione che getta luce sulla situazione presente. Di qui il titolo: “Prezzo del tempo”. Guardando alla morte il meditante ringrazia per la presente ora della salvezza. Il proposito viene ribadito: “Mio Dio, non voglio più dissipare quel tempo, che mi date per riparare il mal fatto; voglio spenderlo tutto in servirvi ed amarvi”. Tale preghiera è preceduta dal ringraziamento esplicito per il tempo donatoci, affinché serviamo Dio e operiamo la nostra salvezza.

 

Il tentativo deciso del nostro santo di familiarizzare gli uomini con la morte o perlomeno di riconciliarli con essa e di indurli, attraverso il suo pensiero fedelmente coltivato, a decidersi in maniera più energica per una vita in Cristo e per il distacco a ciò necessario, contraddice allo spirito del tempo oggi imperante. Ma io vedo proprio in questo la grande attualità del libro. L'umanità odierna soffre molto per aver “rimosso la morte ”. Chi non accetta la verità della morte, si preclude anche l'accesso alla verità piena della vita.

 

Le meditazioni vanno viste nel loro complesso. Prese singolarmente alcune di quelle relative alle “massime eterne”potrebbero apparire troppo negative od orride. La chiave per intenderle è l'armonia dei contrasti. Alfonso presenta la morte del cristiano fedele e la morte del penitente come un gioioso ritorno in patria, come inizio della festa della gioia eterna. Si percepisce continuamente che l'autore di queste considerazioni ha detto da parte sua un sì pronto e sereno alla morte e trae di là uno zelo particolare per indurre i suoi lettori a scegliere in modo giusto e deciso in favore della morte quale punto culminante e lieto ritorno in patria e contro la morte vista come sventura e castigo.

 

Alfonso è un maestro degli effetti del contrasto. Non è comunque un caso che la terza e ultima parte del libro sia completamente dedicata alle verità radiose e incoraggianti. Ciò corrisponde esattamente al metodo delle missioni popolari, che il maturo sacerdote Alfonso teneva coi suoi confratelli.

Egli aveva ereditato in larga misura dai suoi predecessori la predicazione delle verità del peccato, della morte, del giudizio e dell'inferno, verità che scotevano e spaventavano il peccatore, ma ritenne del tutto sbagliato contentarsi di queste. A suo giudizio esse potevano risultare necessarie e salutari solo come preparazione all'accettazione grata del lieto messaggio della nostra vocazione meravigliosa alla salvezza e alla santità.

I capitoli dal contenuto pienamente positivo ed edificante sulla felice morte del buon cristiano, sul ritorno in cielo, sulla vocazione ad amare Dio, sulla perseveranza e l'uniformità alla volontà di Dio lasciano intendere che essi sono determinanti per la visione del santo. Qui egli parla col cuore in mano. Il lettore tenga quindi conto sin dall'inizio dello scopo a cui il santo mira: a renderci liberi per la gioia del Signore, per la conformità alla volontà amorosa di Dio, per la preghiera fiduciosa e la fedeltà perseverante, per l'amicizia intima con Gesù, alimentata in particolare ai piedi del santissimo sacramento dell'altare.

 

Sarebbe anche utile tener presente l'integrazione dei motivi perseguita dal santo. Egli prende quasi sempre come punto di partenza l'interesse legittimo del singolo per la propria salvezza. Il peccatore deve imparare a tremare per la propria salvezza. Sarebbe stolto trascurare tale motivo come non cristiano. Pure la sacra Scrittura ne fa uso. Il motivo della ricompensa e del castigo, per quanto importante nella predicazione sulla conversione, occupa tuttavia solo una posizione subordinata nel nostro santo. È significativo che egli, mentre nel testo della considerazione parla del premio eterno da conseguire, nella preghiera annessa faccia leva quasi esclusivamente sui motivi dell'amore grato, dell'onore di Dio, del beneplacito di Dio. Qui si percepisce chiaramente la sua pedagogia salvifica dinamica.

 

4. Punti meno forti del libro

 

Se Alfonso vivesse nella Chiesa odierna, non avrebbe certo tralasciato di tematizzare la risurrezione del corpo. Su questo punto egli è figlio del suo tempo. Nessuno tra i cristiani ha allora mai dubitato della risurrezione di Cristo e della promessa della risurrezione per tutti. L'Apparecchio alla morte allude qua e là a questa verità fondamentale di fede, ma non la sfrutta per la vita spirituale così come invece sfrutta l'idea dell'immortalità dell'anima, del giudizio e della vicinanza amorevole di Gesù nel sacramento dell'altare.

Ciò non ne pregiudica comunque l'attualità per il lettore odierno, poiché la predicazione odierna, gli scritti ascetici degli autori contemporanei e la rinnovata liturgia pensano ad integrarlo. Viceversa possiamo dire che i misteri della fede particolarmente sfruttati dal nostro santo sono oggi in parte trascurati, per cui il suo scritto costituisce una preziosa compensazione.

 

Il lettore forse si meraviglierà anche che l'Apparecchio alla morte non tematizzi l'unzione degli infermi e il viatico, anche se il santo dottore ne illustra in altre opere il valore e l'importanza. Neppure i bei capitoli sulla santa comunione e la visita al santissimo sacramento dell'altare fanno espresso riferimento al mistero della morte e alla preparazione a una buona morte. Viceversa il capitolo conclusivo sull'uniformità alla volontà di Dio tiene molto bene presente tutta la tematica, soprattutto nella preghiera finale.

 

La descrizione del giudizio particolare e del giudizio universale è un po' troppo teatrale per la sensibilità di certuni. Chi non nota che le affermazioni hanno effettivamente un senso teatrale‑simbolico ‑ secondo il costume del tempo ‑, si domanderà: Ma da dove sa l'autore che le cose si svolgeranno esattamente così? Orbene, il nostro santo sapeva che si trattava di una drammatizzazione, che allude a una verità superiore imperscrutabile.

Noi, che viviamo nel secolo XX, e conosciamo quindi meglio la psicologia infantile, non citeremmo più acriticamente Gregorio Magno e una pia visionaria, che parlano dell'eterna dannazione di bambini di 5 o 8 anni. Il nostro santo, se vivesse oggi, li tralascerebbe sicuramente (cfr. Considerazione XVIII/2). Sempre con la mentalità del tempo si spiega il fatto che Alfonso menzioni la visione di una religiosa, la quale avrebbe visto il diavolo fuoruscire da un bambino al momento del battesimo (Considerazione XIX/1). Tale immagine è del resto frutto del rituale battesimale di allora, che oggi è stato rinnovato. Alfonso si muove similmente in sintonia con l'ambiente contemporaneo, quando annovera per nome alcuni “grandi” di questa terra tra i dannati. Il lettore non deve scandalizzarsi di cose del genere, ma pensare piuttosto che anche noi siamo figli del nostro tempo.

Né deve scandalizzarsi del fatto che il santo, seguendo il costume universale delle opere ascetiche di quel periodo, utilizzi la sacra Scrittura prevalentemente in senso allegorico.

 

5. Sulla storia del testo

 

La preparazione di un testo critico, che il P. Oreste Gregorio C.Ss.R. riuscì a ultimare nel 1965, presentò non piccole difficoltà, poiché sant'Alfonso pubblicò varie edizioni dell'opera durante la sua vita, apportandovi notevoli cambiamenti dal punto di vista testuale.

Il manoscritto originario, che egli consegnò allo stampatore napoletano Giuseppe di Domenico, aveva 40 Considerazioni, ma nel corso della stampa il testo fu abbreviato in molti punti fino ad esser ridotto a 35 Considerazioni, pubblicate per la prima volta nel 1758.

In una lettera egli ne parla come de “ l libro della morte, o sia delle Massime eterne, buono a' secolari per meditare, ed ai sacerdoti per predicare” (Lettere III, 84). L'edizione pubblicata dal Remondini a Venezia nel 1759 presenta diverse varianti . soprattutto nell'appendice di opere minori che allora l'accompagnava, ma anche nel testo delle 35 Considerazioni. Nell'autunno del 1761 Alfonso sottopose il testo a una revisione piuttosto ampia, prendendo come base il testo della prima edizione napoletana. Tra la XXII e la XXIII Considerazione aggiunse quella sugli “Inganni che il demonio mette in mente a' peccatori”, ora enumerata come Considerazione XXIII. Il testo apparve nel 1762 a Napoli come III edizione “corretta ed accresciuta” con 36 Considerazioni.

 

Quando fu liberato del peso dell'episcopato, il santo rivide ancora una volta il lesto. Le edizioni del 1777 e del 1780 presentano tutta una serie di varianti, spesso di natura puramente linguistica e formale. Le edizioni pubblicate dal Remondini adottarono a partire dal 1767 le modifiche che l'autore aveva fatto nel 1761-62, ma certi anacronismi del 1767 sparirono nelle edizioni seguenti, particolarmente in quella del 1782.

 

Le due edizioni ‑ quella napoletana e quella dell'editore veneziano ‑ proseguirono il loro cammino in parte su binari semplicemente paralleli con molte varianti, oppure furono frammischiate in varie ristampe e in traduzioni in lingue straniere. A ciò si aggiunse tutta una serie di curiosi errori tipografici che, una volta annidatisi, sopravvissero tenacemente.

Quando sant'Alfonso era ancora vivo, già erano state fatte perlomeno 15 edizioni dell'opera. L'ultima edizione italiana documentabile (la 134.a) prima della presente fu delle Edizioni Paoline, Pescara, settembre 1965.

 

Questa edizione segue esattamente il testo dell'edizione critica, senza però riportarne le lunghe note e documentazioni. Chi fosse interessato a queste ultime per motivi scientifici, sa dove trovarle.

 

Berhard Häring

in S. ALFONSO M. DE LIGUORI

Apparecchio alla morte

Edizioni Paoline 1983, pp. 5-26 (18-26)

 

 

 

 




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