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S. Alfonso Maria de Liguori
Lettere

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- 269 -


742bis. AL P. D. FRANCESCO ANTONIO DE PAOLA, SUPERIORE DELLA CASA DI SCIFELLI.

Gli esprime la propria fiducia per la durata della Congregazione, e gli dice da che questa dipenda, dandogli in fine speciali avvisi.

Viva Gesù, Maria e Giuseppe!

[MARZO, 1774?]

Ho letta la vostra lunga lettera, dove affatto non approvo le vostre ragioni per la casa di Roma, ed a tutto ho le riposte.


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Ma che serve a perdere il tempo, quando vediamo che Dio non lo vuole?

Per quel che dicono poi le genti che, morto io, finisce tutto, io dico che questa Congregazione non l'ho fatta io, l'ha fatta Dio; egli l'ha mantenuta per 42 anni, ed egli seguirà a mantenerla.

Perché poi il Re di Napoli l'ha da dismettere, quando non porta danno a niuno, ed è acclamata da tutti i vescovi; quando ella non possiede niente di rendita propria, e quando (quel che importa più), nel Dispaccio del Re Cattolico, il Re dichiara desiderare che questa adunanza si mantenga, non solo per la vita d'Alfonso de' Liguori, ma per quanto può durare; purché non manchino le missioni del primitivo fervore?

Sicché tutta la nostra permanenza dipende prima da Dio, e poi da' nostri portamenti. E perciò attendiamo a stare uniti con Dio, ad osservare le nostre Regole, ad essere caritatevoli con tutti, a contentarci delle nostre miserie, e principalmente ad essere umili; perché un poco di superbia ci può distruggere, come ha distrutti i Gesuiti.

Ed intanto prego V. R., per quel tempo che costì farà l'officio di Superiore, ad essere umile e cortese con tutti, specialmente nelle missioni, e ad usare poi tutta la carità co' nostri Fratelli che si trovano tra le miserie, lontani da Napoli e da' parenti; onde bisogna usar con essi tutta, tutta la carità.

Replico ciò, perché V. R., quanto è piena di buona intenzione e di buoni portamenti, altrettanto è di poca salute, patisce d'ipocondria, la quale infermità ci rende infadosi [fastidiosi] co' Fratelli. E questo è l'unico difetto di cui venne tacciata, nel tempo che fu Rettore a Sant'Angelo.

Io vi compatisco per le vostre infermità, ma vi prego di sforzarvi ad usare con tutti la mansuetudine; tanto più che ora in cotesta casa si è formata già una comunità; e perciò ho destinato il P. de Cunctis che sia l'ammonitore, ed i consultori siano il P. Costanzo e il P. Rastelli.

Manderò il P. Capuano, come avete domandato.


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Aspettava qui il P. Grossi per parlare delle cose di S. Cecilia [Scifelli e di] Ceprano, ma ancora ha da venire.

Quando viene, gli dirò tutto quello che V. R. mi ha scritto.

Non altro. Benedico V. R. e tutti, uno per uno.

Fratello ALFONSO MARIA.

Conforme all'originale che si conserva nel nostro archivio generalizio di Roma,




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