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S. Alfonso Maria de Liguori
Lettere

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761. ALLA MADRE MARIA RAFFAELLA DELLA CARITÀ, SUPERIORA DEL MONASTERO DEL SS. REDENTORE IN SANT'AGATA DE' GOTI.

Le impone di non tornare nel monastero di Scala.

Viva Gesù, Maria e Giuseppe!

ARIENZO, 3 SETTEMBRE 1774.

Molto Revda Madre e Signora colma.

Ho letto le due lettere di Monsig. di Scala.

Prego V. R. acciocché legga questa mia, e poi la chiuda e la mandi a Monsig. di Scala.

Osserverà V. R., in questa mia lettera, che il Papa (che è Superiore a me ed al vescovo di Scala) ha ordinato espressamente nel suo assenso Pontificio che le tre fondatrici, e specialmente V. R. ch'è stata la principale, persistano e rimangano in cotesto nuovo monastero di Sant'Agata, sintantoché lo giudicherà necessario il medesimo vescovo di Sant'Agata.

Questa necessità al presente è chiara ed è evidente ad ognuno, ed io mi stimerei colpevole di peccato mortale, se permettessi la vostra partenza nelle presenti circostanze.


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Il vescovo di Scala scrive a V. R. che non può dispensarsi di precettarle di ritornare a Scala, per lo patto di tornare V. R. a Scala, quando bisognasse la sua persona.

Ma di questo patto affatto non v'è alcuna parola nell'assenso Pontificio, che io tengo presente e leggo. Non so come Monsig. di Scala si figura di esservi questo patto; il quale patto, se vi fosse, ben saprei lo farlo spiegare dal Papa presente, che non potrebbe aver luogo nell'attuale caso, di esporre a pericolo di ruina la casa novella di Sant'Agata, per la necessità di quella di Scala; la quale necessità, io per me non la conosco.

Lascio le ragioni che sarebbero chiare; ma avrei da fare uno scritto a parte per dimostrare che non vi è questa necessità, e la persona di V. R. poco o niente potrebbe rimediare ai guai di Scala.

Onde io, per liberarla da ogni scrupolo del precetto di Mgr di Scala, le precetto, con precetto formale di colpa grave, a non pensar di partire da cotesto monastero; dalla quale colpa grave non so come V. R. potrebbe scusarsi, mentre apparisce evidente la ruina di cotesta casa, se V. R. si partisse.

Le parole dette dalle figliuole mi hanno ferita l'anima; ma non mi fanno meraviglia, perché sono piante tenere, in cui non è bene radicato lo spirito; e perciò V. R. non si maravigli della lettera e risposta che fo alle figliuole, perché fo loro questa risposta per loro correzione.

Attenda dunque alla coltura di queste piante novelle, sintanto che Dio le darà vita.

Mi dispiace che la sua vita non andrà molto a lungo; perché l'età sua è anche avanzata come la mia. Ma quando mancherà, Dio provvederà; onde per ora bisogna che noi coltiviamo la vigna, acciocché possa perfezionarsi. Del resto, faccia Dio!

La prego ancora ad attendere alla sua sanità! Or che vengono i tempi d'inverno, lasci di andare al coro la mattina per tempo, sempre che probabilmente l'andarvi può farle danno, al male di petto che patisce; ed in dubbio se può farle male grave l'andarvi, lasci d'andarvi senza scrupolo.


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E con ciò la benedico, e mi raccomandi a Gesù Cristo.

La vita mia poco può durare; quando sarò morto io, allora se lo vedrà il vescovo venturo. Per ora V. R. sta sotto la mia giurisdizione, come ha dichiarato il Papa, ed a me solo è obbligata ad ubbidire.

Non altro e resto

Di V. R. Devmo servitore

ALFONSO MARIA, vescovo di Sant'Agata.

Conforme all'originale che si conserva nel nostro archivio generalizio di Roma.




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