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S. Alfonso Maria de Liguori
Lettere

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467. Al Papa Pio VI.1

Rappresentanza al Papa di Mons. Nostro Padre in difesa contro l'accusa d'aver abbandonata la Regola

1780, 10 novembre, Benevento

Permetta V.S. che per l'interna pace del buon Vescovo Monsignor D. Alfonso de Liguori, e per non impedirsi il gran bene, che si è finora fatto nella Vigna del Signore da Missionari della Congregazione del SS. Redentore de' quali Egli era Sup. Maggiore, e le cui Case sono divise, quattro nel Regno di Napoli, due in questa città e diocesi di Benevento, e due altre nella diocesi di Veroli; io venga ad esporle umilmente le rassegnatissime rappresentanze, che per parte del medesimo mi sono fatte comunicare dal degno Vescovo di Gaeta Monsignor Bergamo, in occasione di un Rescritto della Sac. Congregazione de Vescovi e Regolari diretto al P. Superiore della Casa di essi Missionari di Frosinone, in data del 13 settembre passato, per cui restando caricato di novità sulle Regole di tal Congregazione il mentovato de Liguoro, colla di lui indignazione presso la S. V. si prepara la ruina all'intero Istituto, separandosi le Case del Regno, che si dichiarano non più membri di quella Congregazione, e perciò senza poter più godere delle prerogative e grazie, alla medesima concedute dalla S. Sede.

In mezzo alle sue più amare lacrime ha fatto qui pervenirmi colla voce di Monsignor Bergamo il S. Vecchio di Liguoro le sue giustificazioni; e siccome da questo che mi si contestano con ineluttabili documenti, e da convincentissime ragioni ho io rilevato che nulla v'è da incolparsi nella condotta di questo Prelato, anzi troppo è stato lodevole il di lui disimpegno in aver saputo accomodare le Regole direttive fatte per la sua Congregazione, con quel sistema, che gli è stato necessario di seguire per salvare un'opera tanto profittevole da per tutto, mi son creduto obbligato in coscienza farne questa umile e sincera rappresentanza alla S.V. acciò diretta da quel divino zelo, che tanto l'infiamma per lo bene spirituale delle anime di tutta la cristianità, faccia con moto proprio della mente sua ss. terminar nel nascere questo male, che il Nimico delle anime par che già vada preparando per impedirne il grand'acquisto, che se ne fa al Signore.

Basta che io umilii a V.S. il tenore del sopradetto Rescritto della Sac. Congregazione per aprirmi la strada a far rilevare alla S. V. l'imputazione data a Monsignor de Liguoro, e il discredito irrogato a questa parte della Congregazione che è nel Regno di Napoli, per venir poi a rappresentarle le giustificazioni avverso tai imputazioni e la ragionevolezza d'aversi egualmente care e protette dalla S. V. le Case di tal Congregazione, che sono nel Regno come le altre.

Egli è questo il tenore di tal Rescritto: “Al P. D. Francesco de Paola Sup. della Casa della Congregazione del SS. Redentore di Frosinone. R.do Padre. La Santità di nostro Signore volendo provvedere di legittimo Superiore le Case della Congregazione del SS. Redentore di cotesta Diocesi di Veroli e della Diocesi di Benevento, nell'udienza accordata all'infrascritto Monsignor Segretario della Sacra Congregazione de' Vescovi e Regolari, si è benignamente degnata deputare in Presidente della medesima [con] beneplacito della Santità sua, V. R. dandole tutte le facoltà necessarie ed opportune, perché a tenore delle Regole e Costituzioni insieme coll'Istituto della Congregazione del SS. Redentore, approvate dalla S. M. di Benedetto XIV con suo Breve “Ad Pastoralis dignitatis fastigium” de' 25 Febbraio 1749. Ella presieda al governo di dette Case e loro Individui, in luogo di quelli, ch'essendo Superiori Maggiori di detta Congregazione  del SS. Redentore, hanno colli loro seguaci adottato un nuovo sistema essenzialmente diverso, colla diserzione dall'Istituto professato, e con cessare perciò di essere membri della suddetta Congregazione e di godere di tutte le prerogative e grazie alla medesima concedute dalla S. Sede. Glielo partecipo dunque, perché Ella immediatamente assuma il governo commessole, ed in Pontificio nome comandi a tutti gl'Individui delle suddette Case, non solo che onninamente osservino le Regole e Costituzioni approvate come sopra dalla f m. di Benedetto XIV, senz'ammettere alcuna mutazione, ma inoltre, che da qui avanti, e fino a che sarà diversamente ordinato da sua Beatitudine, debbano riconoscere Lei per loro Sup. Maggiore, come Presidente deputato dalla Santità nostra ed a Lei prestare la dovuta ubbidienza a tenore delle suddette Costituzioni. Così Ella eseguirà con darne poi riscontro alla Sacra Congregazione e Dio la prosperi. Roma, 22 settembre 1780.

Ita reperitur in Regesto autographo decretorum. Sacrae Cong. Ep.orum et Regularium quae osservatur in eiusdem Secreteria. In quorumfidem. Roma 3 ottobre 1780. Joseph Ep.us Mileti Secret.

Savissima ha dovuto essere la Sovrana determinazione contenuta in questo Rescritto della Congregazione ex audientia della S. V. sulle informazioni de' Padri Missionari delle Case dello Stato Pontificio, i quali nulla incaricandosi di ciò, che per indispensabile necessità ha dovuto praticare il lor Sup. Maggiore per la sussistenza di tutta la Congregazione nelle Case dello Stato e del Regno, han dipinto il detto santo vecchio come destruttore della Regola ricevuta dal Papa Benedetto XIV, e perciò degno così Egli, che i suoi seguaci di non esser più stimati membri della Congregazione istessa, e decaduti dalle facoltà e Privilegi dalla S. Sede alla medesima conceduti. Con questa prevenzione savissimamente si è disposto, che gl'Individui delle Case dello Stato siano sottratti dalla dipendenza di esso Monsignore de Liguoro, e che in esse solamente si riconosca la Congregazione del SS. Redentore colle facoltà e Privilegi da codesta S. Sede concedutale. Ma questa prevenzione è quella che non sussiste ed eccone S. Padre la dimostrazione.

Questa Congregazione è nata nelle quattro Case del Regno di Napoli, di Ciorani, Nocera Pagani, Iliceto e Caposele. Quivi D.Alfonso di Liguoro andò unendo i suoi compagni, ed impetrò per ognuna di esse il permesso dal suo Sovrano di poter que' sacri Operarij ivi vivere uniti per disimpegnare le Missioni nelle Province, con restar però soggetti agli Ordinari, e senza forma di Collegio e Corpo Regolare. Cresciuti questi Ministri apostolici in quelle quattro Case ed alla giornata aumentandosene il numero, pensò D. Alfonso umiliarne la notizia alla Santa Sede per esser questa adunanza dalla medesima riconosciuta, e fatta degna di quelle facoltà e Privilegi Spirituali, con l'aiuto dei quali più ampiamente esercitatosi fosse il Sacro Ministero delle Missioni. E siccome modellò un corpo di Costituzione per lo di lei interno regolamento, l'umiliò prima alla santità di Benedetto XIV per farlo poi esecutoriale dalla Podestà Sovrana in detto Regno.

Fu dunque nell'anno 1749 che il Liguoro espose umilmente a quel Sommo Pontefice, com'Egli con alcuni altri preti secolari del Regno di Napoli, era da più tempo unito a fare le Sante Missioni ne' Villaggi e luoghi di campagna e che situatisi erano in quattro Case del Regno istesso, erano obbligati a vivere in una perfetta Comunità con voti semplici: Povertà, Castità e Ubbidienza, sotto l'onnimoda ed immediata giurisdizione de' Vescovi, e ch'era stato eletto Superiore Perpetuo col titolo di Rettore Maggiore: domandava perciò la Pontificia approvazione dell'Istituto colle Regole; e ne ottenne infatti il Breve della conferma precedente esame  dalla Sacra Congregazione del Concilio.

L'essenziale di questa Pontificia approvazione fu dall'Opera dell'Istituto, per cui siccome antecedentemente ottenuto erasi il permesso del proprio Sovrano così con essere stata poi riconosciuta anche dalla Sede Apostolica, trovasi in grado di meritar dall'una e dall'altra Potestà la protezione rispettiva.

Per le Regole si cercò poi d'avere il Regio Exequatur. Si tentarono tutte le vie per riuscire nell'intento. Niuna ne spuntò. Ho io osservata co' propri occhi una risposta del Cardinale Orsini al detto Liguoro de' 20 Febbraio 1750, con cui l'assicurava, che in una Udienza avuta dalla fel. m di Benedetto XIV presentata gli aveva una lettera di esso Liguori, e che il Papa s'era compromesso di parlar al Duca di Cerisano, allora Ministro del Re di Napoli, perché dato si fosse l'Exequatur al Breve della Conferma della di lui Congregazione; onde in nome del medesimo gliene avanzava l'avviso soggiugnendo, che non avrebbe mancato d'accordare presso il detto Duca per vieppiù impegnarlo su tal affare e per risapere a suo tempo la risposta che sarebbe venuta dalla corte di Napoli.

Ho letto ancora un biglietto di confidenza scritto al medesimo Liguori a' 25 Marzo 1752 dal Marchese Brancone da Segretario del Real Dispaccio dell'Ecclesiastico di questo tenore: “ Stimatissimo Signor mio. In uno di questi passati giorni ebbi l'opportunità di ragionare al Re del frutto Spirituale che si facea da V. S. Ill.ma co' suoi Compagni e dalle sue Case, com'eziandio dell'Approvazione Apostolica ottenuta sulla sua Regola e quantunque si fossero considerate delle difficoltà per l'exequatur, ad ogni modo riverentemente suggerii a S. M. qualche mezzo ed espediente da poter dar moto a tal'acqua. Sicché quando V. S. Ill.ma dopo Pasqua sarà qui, portando seco le Regole, le quali vuole il Re osservare, la ragioneremo a piè fermo e prenderemo quegli spedienti, che senza pregiudizio delle Leggi del Regno Iddio benedetto ci suggerirà. Frattanto prego efficacemente V. S. Ill.ma a farmi applicare le Orazioni di cotesta sua Comunità della vegnente Settimana Santa secondo la mia intenzione, affinché con maggior tranquillità ed ilarità d'animo io possa pensare ed operare su tal suo spinoso negozio.”

Osservate ch'ebbe il Re le prefate Regole, l'espediente fu di prescrivere a tal Congregazione uno stabilimento, che in nulla alterando l'Opera dell'Istituto secondo l'Approvazione avutane dalla S. Sede, venne a regolarne l'economia e la temporalità secondo i principi e le Leggi di quel Regno. E questo fu uno stabilimento dettato a dirittura dalla Potestà legislativa del Principe, com'è chiaro da un'altra lettera del medesimo Brancone del 18 Novembre di quell'anno, che così rescrivea al Liguori: “Tosto che sarà V. S. Ill.ma ristabilita in salute e con tutto il suo comodo, si servirà portarsi da me per dar l'ultima favorevole mano alla consaputa Opera delle sue Missioni, avendo io di già preso l'ordine dal Re per designare un Piano colla di lei intelligenza, col quale non si distrugga questa Santa Opera, ne si pregiudichino i Privilegi di questa città e Regno.”

Ecco lo stabilimento qual fu. Ben informato il Re del profitto, che coll'Opera di tal Adunanza si arrecava alle persone disperse per la campagna, non ne permise la distruzione, anzi con quella religiosa pietà, ch'era propria della M. S. dichiarò che desiderava, che l'espressata Opera si fosse sempre mantenuta nella sua nativa fervorosa qualità. Vietò non di meno a que' Missionari conviventi nell'anzidette quattro Case sotto la direzione del prenomato D. Alfonso, di poter stare e possedere in comune beni stabili e qualunque sorta di annue rendite, dichiarando a tal effetto nulle ed invalide tutte le qualsivogliano donazioni, eredità e legati di tai beni, che si fossero rispettivamente fatte o lasciati all'Adunanza, come incapace d'acquisti.

Volle però espressamente che ciascun individuo della medesima avesse potuto acquistare e possedere in particolare in guisa; che fosse lecito ad ognuno di ritenere i suoi propri e patrimoniali beni affinché potersi sostentare e mantenere l'Opera dell'Istituto.

Ordinò ancora, che le robe sin allora acquistate dalle Case lasciate si fossero all'Amministrazione de' rispettivi Vescovi da esercitarsi coll'intelligenza de' Governatori e Sindaci Locali; e che dal fruttato di esse ne aveva ai Vescovi somministrato carlini due il giorno a cadaun Individuo sino a che avessero essi esercitata la detta Opera.

Ed in fine dopo essersi distintamente descritti tutti i corpi che da ciascuna, si possedevano la conchiusione del Reale stabilimento si fu: “Colle dette condizioni e non altrimenti il Re permette ad essi Sacerdoti di convivere nelle sole quattro Case di Ciorani, Caposele, Iliceto e Nocera e in altre, purché vivano da Preti secolari e sempre subordinati agli Ordinari, non reputando sua Maestà queste Case come Collegi o Comunità.”

Cosa far dovea Monsignor D. Alfonso di Liguoro in quelle circostanze, in cui la sua Congregazione non avea altre Case fuorchè le prenomate del Regno? Dovea per avventura dismettere l'Opera dell'Istituto che era la parte essenziale ed intrinseca della Pontificia approvazione per le Regole estrinseche che dal suo Sovrano non si vollero fare tenere in quel tenore, che si trovavano concepite? La riduzione di esse Regole allo stabilimento del Sovrano non alterava alla perfine l' Opera dell'Istituto che si voleva salvo. Ma pur tuttavia prima di uniformarsi a tale necessità, umiliò la notizia al Sommo Pontefice di Sovrana determinazione, pregandolo a continuare presso il suo Monastero  le premure, perché colla sua autorevole mediazione impetrato si fosse il regio Exequatur sulle Regole interne, e di ciò ne conserva un documento anche da me osservato qual è appunto una risposta dello stesso pontefice Benedetto XIV in data de' 15 Luglio 1755. Nella stessa lettera così rescrive al Liguori: “Abbiamo tutte le petizioni, che Ella promuove per la sua Congregazione fuori della nostra benedizione che diamo volentieri a Lei ed a tutta la Congregazione, il restante a poco può servire, se una volta non si ottiene l'Exequatur Regio pel nostro Breve già spedito sette anni sono. Noi non lasceremo di far qui le nostre parti ed il Duca di Cerisano, Ministro del Re delle due Sicilie appresso di Noi, e se le nostre premure avranno il suo effetto, si penserà poi al rimanente.”

Niuno effetto però produssero le replicate raccomandazioni del Sommo Pontefice istesso. Sicché per far che nel Regno avesse potuto eseguirsi l'opera di esso lodevole Istituto dalla Santa Sede approvato, si uniformò la direzione del medesimo al prescritto del Sovrano, con cessare di fare nuovi acquisti in comune e lasciare all'arbitrio degli Individui l'acquistare e possedere in particolare, con rimettere in mano de' rispettivi Vescovi l'amministrazione di que' pochi beni, che in comune si erano acquistati e con uniformarsi in tutto il rimanente alla Sovrana disposizione: e fu in sostanza lo stesso che esguirsi la Regola approvata coll'Istituto da Benedetto XIV, ma con quelle riduzioni, che per l'economia e la temporalità l'accomodavano al Reale Stabilimento, siccome tutto giorno si pratica in eseguirsi in quello ed in altri Regni le Bolle Pontificie.

Altronde poi queste tali reduzioni non toccavano la sostanza dell'Opera. Con ciò sia che non era cosa sostanziale, che gli Individui non avessero potuto acquistare e possedere in comune, ma si bene in particolare, tutta che per accidente ne seguiva di non potersi eseguir il voto semplice della Povertà: che l'amministrazione de beni sin allora acquistati tolta si fosse a Superiori della società, e data in mano de' Vescovi, e quel misero Sussidio caritativo che da qui proveniva, non già alle Adunanze delle Case in comune, ma agl'Individui in particolare si fosse dato: che non formassero Collegio o Corpo politico nella società, che non si potessero fondare nuove Case, e che finalmente gli Individui istessi avessero la libertà di licenziarsi, e le loro promesse d'osservar la Povertà, Castità ed Ubbidienza obbligassero finch'essi dimorassero nella Congregazione.

Infatti vi sono tant'altre Congregazioni di Preti Secolari addetti anche alle Sacre Missioni, nate e stabilite nel Regno di Napoli con Regio Assenso, come sono quelle de' PP. dell'Oratorio, de' Pii Operari della Sacra Famiglia del SS. Sacramento fondata nella città di teano, Lucera di Puglia e altrove; de' Missionari di Misuraca in Calabria e de' PP. di S. Pietro a Cesarano nella Diocesi di Nola e tutte sono senz'alcun vincolo di Religiosa Professione e i loro Individui hanno la libertà di uscirsene quando vogliono. Anzi a queste tre ultime fu, con dispacci contemporanei all'anzidetto emanato per la Congregazione del Redentore, accordata la sovrana grazia della loro sussistenza coll'espressa condizione di non poter i loro Individui ligarsi con voti, come può vedersi nella Raccolta de' Reali Dispacci presso Gatta par. 2, tomo 3, pag. 49. 60 et segu. Dispacci che mostrano il sistema di quel governo di voler nella società delle Persone Ecclesiastiche l'eguaglianza dell'economia e della temporalità.

Qui si compiaccia la benignità della S. V. usare della clementissima sua sumblime considerazione, in ponderare se stato fosse Novatore Monsignor di Liguoro salvando la sossistenza dell'Opera di sua Congregazione approvata dalla s. Sede coll'uniformarne il regolamento al prescritto del suo sovrano piuttosto che coll'opporsi  a quello distruggere ed annientare l'Opera sopradetta. Pur tuttavia quanto poteva fu di parteciparne la stessa Sede Apostolica, supplicando la medesima ad intercedere per l'Exequatur sulla Regola intera: e ciò non riuscito neppure al S. Padre, ebbe giusto motivo di quietar la sua coscienza, che col consenso del medesimo l'Opera così dovesse andare avanti.

Ed affinché abbia V. S. una prova luminosa della saviezza usata da Monsignor di Liguoro in aver salvata l'Opera approvata dalla S. Sede con aver adattata la Regola alli Reali Stabilimenti, in contraddizione de' quali si sarebbe onninamente perduta, si compiaccia la S. V. sapere, come per essersi stampata in Roma quella Regola sul sopposto di aversene l'Exequatur in regno, ed osservarsi; ciò bastò per farsi credere di essersi eseguita in dette quattro Case anche per quei Capi che si opponevano allo Stabilimento del Re; e si deusse una terribile accusa fin dal 1759 contra questa Congregazione presso il Real Trono di non aver adempiuto le condizioni prescritte nel Piano del 1752 e particolarmente che viveano i di lei Soggetti con Regole approvate da Roma e non esecutoriate per le prefate quattro Case ove avevano Superiori, Ministri, Noviziato Studentato e Voti con giuramento di Perseveranza, ed altre ordinazioni tendenti alla pratica di una vita positivamente Claustrale e Regolare ed in comprova si produsse copia in istampa di dette Regole verificate nella Delegazione della Real giurisdizione. E con questa si faccia osservare, che i principali cap di essa erano diametralmente opposti al Sovrano Stabilimento. Perocché laddove S. M. Catt.ca ordinato avea che quei Missionari non avessero mai composto Corpo morale e politico, avendo dichiarato di non reputare le loro Case come Comunità e Collegi; le Regole per contrario stabiliranno il Superiore Maggiore, i Rettori locali, i Voti, il Capitolo Generale, la Vita comune, ed in somma una vera Società Religiosa con gerarchia e tuttaltro che caratterizza le religioni. Onde se ne dimandava la suppressione. Del che fu incaricata la Real Camera di S. Chiara che si fosse pienamente informata e ne avesse fatta relazione con suo parere.

Questa tempesta si calmò per qualche tempo: ma dopo alcuni anni si rinnovò più strepitosa ad istanza di chi sperava colla suppressione  di questa Congregazione approfittarsi di pochi beni da un suo congionto alla medesima donati. Si ricorse di nuovo al R per la Real Segreteria con Ill.re Marchese Tanucci, che con Sovrano Ordine de' 13 ottobre 1775 comandò ad un Avvocato fiscale del Real Patrimonio, acciocché ben informato de' fatti, riferito avesse a S. M. l'occorrente, come in effetto fece nell'anno 1777. La Rappresentanza di questi fu concepita con molta distinzione e minutezza e soprattutto analizzò partitamente i Capi della Regola ed espose al Re d'averli rinvenuti quanto difformi dagli altri Istituti altrettanto conformi a quello degli aboliti Gesuiti. Conciossiaché osservi, che nel descriversi l'autorità del Rettore Maggiore, vi avea patentemente ravvisato quel Despota, il quale con arbitrio assoluto governava l'estinta Compagnia, mentre gli si attribuiva egualmente un'assoluta autorità sopra tutte le Case e Soggetti della Congregazione per quel che toccava il governo interno e domestico, e che sebbene dal Capitolo generale gli si assegnavano sei Consultori, questi non dimeno aveano il voto semplicemente consultivo. Il punto però, che chiamò di massima considerazione, era d'esser in dritto del Rettore Maggiore il cacciar via dalla Congregazione i Congregati professi, non ostante di aver fatto i quattro voti di Povertà, Castità, Ubbidienza e Perseveranza. Quindi risvegliò l'attenzione del Sovrano a riflettere che l'essenza del Gesuitismo consiste appunto nell'assolut'autorità del Generale e che il mezzo col quale questa dispotica autorità si facea valere era quello di essere in dritto del Generale istesso di mandar via dalla Società qualunque Individuo gli paresse, non ostante qualunque professione di voti e qualunque tempo, che vivuto fosse nella Religione.

Circa gli obblighi poi de Congregati espose, di essergli sembrato rimarchevole, oltre di una perfetta vita comune che colle Regole si stabiliva, la necessità di non poter essi accettare qualunque sorta di Dignità, Benefici, ed Offici fuori dell'Adunanza: Che ogni Soggetto avesse potuto ritener sempre la proprietà de suoi beni, e disporne a beneficio de' soli suoi Congionti, ma non disponendone a beneficio di questi, avesse dovuto farlo a favore della Congregazione: Che niuno avesse potuto scrivere lettere, né riceverne senza licenza, se non dal Superiore Maggiore e suoi Consultori e cose simili.

Conchiuse pertanto la sua Rappresentanza, supplicando il Re di vietare assolutamente a' missionari ogni forma di Congregazioni, cioè Superiori, Voti, Novizi, Capitoli, Regole, Privilegi, ed ogni altro che avesse potuto significare di essi Società formata per avere S. M. Cattolica dichiarato di non poter essi formare Comunità Religiosa; e che venduti si fossero i beni dalle loro Case acquistati con formarsene un capitale, dal cui fruttato assegnata si fosse a ciascun Soggetto sua vita durante la tangente accordatagli dal Re Cattolico e dimessi si fossero i Novizi e tutti gli altri non ordinati in Sacris.

Si pretese dall'Avversario che tal Rappresentante proposta e risoluta si fosse dal Supremo Consiglio di Stato e per lo meno si fosse rimessa all'esame della Suprema Giunta degli Abusi, ove il medesimo Fiscale trovasi destinato Commissario generale. Malgrado però gli ordini ottenuti a 30 luglio 1777 che la causa trattata si fosse in detta Giunta, con rimettersi ivi la Rappresentanza di esso Fiscale e tutte le altre carte relative esistenti in Camera Reale, si compiacque l'Ill.re Marchese della Sambuca, successore nell'Officio del detto Tanucci ordinare con Real Carta de 9 agosto, che la Camera Reale avesse fatta la causa a 22 dello stesso mese, e rimessa la Consulta tante volte ordinata, con tutte le carte nella sua Real Segreteria, per farsi presente al Re.

Tutto questo fuoco si accese per essersi trovato in istampa le Regole comprese nel Breve Apostolico del 1749. Come però nel fatto non si poteva dimostrare che 'l regolamento interiore ed estrinseco de' Missionari nelle quattro Case del Regno era stato secondo quelle Regole in istampa; fu quindi preservata la sussistenza dell'Istituto dall'incendio, che l'avrebbe assorbito al primo udirsi d'esseri praticata una Regola in opposizione a' Reali Stabilimenti. Si sostenne  dunque tal Istituto da Mons. Di Liguori con essersi sinceramente manifestato, che quelle Regole umiliate si erano  al Papa Benedetto XIV, che a di lui petizione si servì di approvarle insieme coll'Istituto, e con tal occasione si erano stampate i Roma nel 1749. E come la M. del Re Cattolico volle, dopo osservate tali Regole prescrivere nel 1752 un Sovrano Stabilimento, secondo il quale i Missionari in quelle quattro Case avessero avuto a regolarsi, avea egli adattate le Regole sopradette alla Reale Determinazione coll'esecuzione del mentovato Sovrano Stabilimento in modo da non poter essere accagionata la sua Congregazione di reità di contravvenzione per essere soppressa.  Con questa giusta difesa non fu altra per allora la decisione della Real Camera, se non quella di farsi un appuramento su i fatti che s'imputavano a detti missionari, se alcuno ve ne fosse, che dimostrar si potesse contrario allo Stabilimento Reale del 1752.

Or che sarebbe stato se si fosse trovata quella Regola stampata per la Congregazione nella intiera osservanza? Non vi sarebbe stato bisogno di alra prova per farsi vedere la medesima refrattaria de' Regali Ordini, e con ciò sarebbe stato già a quest'ora soppressa e divisata. È ben dunque degno di lode Monsignor Di Liguori, che per salvare un'Opera di tanto bene spirituale, siasi saputo condurre nella direzione della sua Congregazione in maniera, che in sostanza osservata si fosse la Regola approvata da Benedetto XIV, ridotta però a quelle moderazione che si fecero in seguela dal suo Sovrano col mentovato Stabilimento.

Questo appuramento si andò facendo, e nel total dell'Osservanza dell'interiore ed estrinseco Regolamento non si trovava in che addentarsi alla suppressione di quest'Adunanza per aver osservato alcun capo della Regola del 1749, che fosse stato in opposizione al Real Dispaccio del 1752. Tuttavia si eccitò un forte dubbio per dimostrarla refrattaria di quegli Ordini Regali, per che tenuto avea il Noviziato, lo Studentato ed una Gerarchia di Superiori ed Officiali subalterni, con regole, e statuti per la sua direzione, conforme tutti gli altri corpi Regolari, senza essere stati esaminati dalla Sovrana Potestà. Per far trovare spianato quest'altro dubbio nella decisione definitiva della causa, che minacciava la soppressione della Congregazione nella Camera Reale o nella Suprema Giunta degli Abusi, si stimò con sommo accorgimento da Monsignor Di Liguori di supplicare il Re per la Segreteria di Stato dell'Ill.re Marchese De Marco, che prima di venirsi dalla Real Camera alla diffinitiva decisione, degnata si fosse di dichiarare se la Ricezione de' Giovani non ancora ordinati sacerdoti, il Noviziato, lo Studentato, li Superiori cogli altri Officiali, e l'interno regolamento di questa Congregazione, non eccedente i precedenti suoi Reali Ordini avessero dovuto intendersi vietati ovvero implicitamente voluti dalla M. S. col generale Stabilimento dell'Augustissimo Genitore, che volle permanente l'Opera dell'Istituto. Per la quale dichiarazione avrebbe potuto compiacersi di far uso degli antecedenti, del Real Dispaccio del 1752, che trovavansi nell'officio del suo Cappellano Maggiore.

Degnossi quindi il Re ordinare al Cappellano Maggiore istesso con Real Carta de' 28 aprile 1779, che tenendo presente il piano ordinato da S. M. Cattolica la relazione del suo predecessore Mons. Galliani e la Sovrana Risoluzione de' 9 decembre dello stess'anno, relativi allo stabilimento di questa Congregazione, riferito avesse col suo parere. Ed a Consulta di Mons. Testa uscì la Sovrana Dichiarazione con Real Carta de 21 agosto di detto anno 1779 diretta al Liguori istesso del tenore seguente “Avendo proposto al Re le sue rimostranze conta le pretenzioni di taluni tendenti alla destruzione della Congregazione de' Missionari sotto la di lui direzione; S. M. m'ha comandato di descriverle, che avendo il Re Cattolico suo Augusto Padre permesso che i Missionari, de' quali V. S. Ill.ma è capo facciano missioni, e sossistano nelle quattro Case che hanno… e perché questa degna Opera avesse sempre a durare, ne prescrisse i mezzi e le condizioni in un piano generale: Approva la M. S. che vi sia nelle mentovate quattro Case chi agli altri presieda per l'interiore regolamento delle medesime e vi si distribuiscano altresì gli Offici necessari a quelle Adunanze. E poiché lo spirito della Real Determinazione del Re Cattolico si è che questa lodevole Opera non si dismetta, approva eziandio S. M. che vi si ricevono i Giovani per essere istruiti negli Studi necessari, acciò ne adempiano li doveri, e suppliscano le mancanze di coloro i quali, o perché carichi d'anni, o per mali si rendono inutili, o perché a tal Ministero non idonei, ne siano rigettati. Ovvero perché per propria loro volontà l'abbandonano. Vuole però la M. S. che tutte le condizioni nel suddetto piano generale prescritte siano esattamente osservate; ed in quanto all'Ordinazione de' Giovani, che da vari Luoghi del Regno si ammettano, non resti punto violata la Sovrana Legge dalla M. S. stabilita su la proporzione tra 'l Clero e 'l Popolo. La qual Real Risoluzione di Real Ordine comunico a V. S. Ill.ma per sua intelligenza e governoCarlo De Marco”.

Questa Sovrana dichiarazione ed approvazione, come non veniva al preciso di tutti i Capi dell'interno regolamento che sempre fisso e stabile bisognava avere i PP Missionari per ben eseguire l'Opera approvata dal Papa e permessa dal Re nel suo Dominio, uopo era che tai capi estrinsecati e presentati si fossero alla Suprema Potestà per esimere all'intutto la Congregazione dal pericolo della suppressione, con far vedere che nulla contenevano di opposizione alle Reali Risoluzioni, ed anche per non starsi col solo fatto di Regola precaria, la quale col tempo avrebbe portato il rilasciamento: perciò si rinnovarono le premure presso la M. S. per l'impetrazione dell'esecuzione di quel regolamento che col fatto si osservava: e nell'umiliarglielo si ebbe l'avvertenza di renderlo modificato a forma dello Stabilimento dato dal Re Cattolico.

Per la qual cosa si omisero tutti que' punti ch'erano relativi agli acquisti, all'amministrazione de' beni temporali, e dall'esercizio de' dritti civili, spettanti alli soli Corpi politici, come quelli che coll'espressato Reale Stabilimento permessi non erano a questa Congregazione.

Si omise in oltre il punto di potersi convocare il Capitolo Generale in ogni nove anni per lo stesso motivo, che non formandosi dalle Case del Regno Corpo morale, non poteano i loro Individui unirsi in Assemblee generali: solo per l'elezioni del Rettore Maggiore, permesso da quel Reale Stabilimento, si lasciò la facoltà di potersi convocare il Capitolo generale a forma della Regola dalla S. Sede approvata non potendosi fare diversamente. E questo si credette a seconda della mente di S. M. la quale dovea presumersi, che avendo voluto il fine, avesse dovuto approvarne anche il mezzo.

Di più si determinò che la Recezione di qualsivogliano Postulanti, senza eccezione alcuna, fatta si fosse dal Rettore Maggiore colla maggioranza de' voti de' suoi Consultori, avvegnacché essendo quella uno degli affari rilevanti della Congregazione, e spettando per disposizione Canonica all'intero Corpo, ragion volea che agli Officiali eletti in Capitolo generale, rappresentare la detta Congregazione, spettata fosse la surriferita Ricezione: Come altresì che l'espulsione de' Congregati fatta si fosse colla stessa maggioranza de' voti, a tenore de' Decreti generali della Sacra Congregazione del Concilio, fatti uno per ordine di Urbano VIII a 21 settembre 1624 e l'altro per ordine di Innocenzo XII a 24 luglio 1694, e per tutto il rimanente restò intatta la facoltà del rettore Maggiore a forma di detta Regola. Li quali Stabilimentii furono reputati anche conformi alla polizia del Regno di Napoli, ove niun governo di simili Adunanze assolutamente Monarchico si permette.

Si tolsero finalmente i Voti semplici col giuramento della Perseveranza perché apertamente opposti all'annunciate Sovrane Determinazioni. E il luogo di essi voti si sorrogò il Giuramento (durabile per quel tempo che ciascun rimanesse nell'Adunanza) ad esempio della Congregazione de' Preti e Chierici Secolari i comune fondata da Bartolomeo Holtghauser che esiste nella diocesi Magonza, ed altrove, la quale è diretta da un solo Sup. Maggiore sotto l'immediata giurisdizione degli Ordinari, e non ha altri ligami, se non quello del Giuramento come apparisce dalle Costituzioni della medesima, approvate insieme coll'Istituto da Innocenzo XI mediante Breve Apostolico de' 17 agosto 1684; che incominciaSacrosancti Apostolatus Officium”, riferito dal Bollario di tal Pontefice.

Restò però intatta la vita comune, maggiormente perché non essendo le Caase provvedute di rendite sufficienti, ed avendole il Re inabilitate a poter fare ulteriori acquisti non avrebbero potuto altrimenti sossistere.

Acciocché poi frenato si fosse l'arbitrio di chi per capriccio avesse voluto abbandonare la Congregazione con pregiudizio della medesima, come hanno praticato tanti per l'addietro, che si son prima ritirati nelle loro Case e poi, o non han chiesta neppure licenza, o l'han chiesta per una mera convenienza; si er pensato farsi uno Stabilimento generale di doversi ricevere ognuno coll'obbligo promesso con pubblica Scrittura giurata, di non potersi licenziare, se non dopo aver col servizio personale compensate le spese per esso lui erogate, ad esempio ancora d'un'altra Congregazione di Chierici Secolari conviventi in comune sotto il titolo della Madre di Dio, fondata dal Vescovo Lucano ed approvata con due Brevi Apostolici da Clemente VIII, uno de' 13 ottobre 1595 che incomincia “Ex quo divina Majestas” e l'altro de' 24 giugno 1604 che principia “Illos apostolicae benignitatisriferiti nel Bollario di questo Pontefice. La quale Congregazione ha per statuto di far promettere con giuramento a' Postulanti di dover rifare le spese per essoloro erogate, ogni qual volta avverrà di licenziarsi spontaneamente, o d'essere per giusta causa espulsi dall'Adunanza; come sta espresso nel C. 8 del cit. p.mo Breve.

Questo piano che fuori del suddetto Giuramento sorrogato in luogo de' Voti, conteneva in sostanza la pratica di quel che si osservava della Regola del 1749 adattata al Reale Stabilimento del 1752, fu umiliato da Monsignor Di Liguoro alla M. del Re, il quale, a Consulta del medesimo suo Cappellano Maggiore approvandolo dichiarò, che non era, come dall'Avversario si pretendeva, contrario alle sue Sovrane Determinazioni, e perciò che si fosse osservato. Questo fu il Dispaccio diretto ad esso Cappellano Maggiore, in data de' 22 Gennaro corrente anno 1780.

Propostasi al Re la Consulta di V. S. Ill.ma del primo del corrente Gennaro sulli Capi formati da Monsignor D. Alfonso Maria de Liguori per l'interiore regolamento delle Case di sua Congregazione de Missionari. Sua M. è rimasta informata, che tali Capi punto non eccedeva precedenti Reali Ordini, e che con somma moderazione concepiti, altro non riguardano, se non il modo, che i Missionari tener debbono nell'esercizio del lor ministero; e l' regolamento interiore da doversi da essi osservare nelle loro Case. Perciò si è degnata S. M. approvare tai Capi di regolamento…con resta ferme per sempre le precedenti Reali Determinazioni per essi Missionari fatte in data de' 9 Dicembre 1752 e l'altro de' 21 agosto 1779 col Piano generale aggiunto al Real Dispaccio suddetto del 1752.”

Si compiacque altresì il Re d'incaricare al suo Cappellano Maggiore l'adempimento di questa sua Sovrana Risoluzione, e di rimettere con altri due Reali Dispacci de' 26 Febbraio detto anno, le copie di tali capi di regolamento alla Camera Reale, ed alla Delegazione della Real Giurisdizione, affinché stando nell'intelligenza d'averli S. M. approvati, si fossero conservati ne' respettivi Archivi per futura cautela, e perché in ogni tempo veduta se ne fosse l'identità.

Or posti questi fatti, che tutti si rilevano da irrefragabili documenti, reggerà più la ferale prevenzione di esser stato Monsignor di Liguoro un Novatore, un Refrattario, un Contravventore al Breve Apostolico dell'approvazione dell'Istituto, sicché abbia meritato co' suoi Seguaci di non esser più stimato della Congregazione del SS. Redentore?

Vostra Beatitudine conoscerà più tosto in questo degno Prelato un zelo sommo unito ad una gran saviezza in aver salvata l'Opera di un Istituto tanto profittevole tral prescritto della Regola approvata dalla S. Sede e i Reali Stabilimenti. Se per osservare l'ennuciate Sovrane Determinazioni si fosse opposto a un Dogma, o a un punto d'inalterabile Disciplina, avrebb'Egli fatta più tosto estinguere l'Opera dell'Istituto, ché esercitarla in contraddizione della S. Chiesa. Ma riguardando tai Sovrani Stabilimenti soltanto la polizia, i costumi, le leggi, e la temporalità respettive del Regno e della Nazione ed avendo Monsignor di Liguoro adattate a quelli le sue Regole, per volontà espressa del suo Sovrano, che in quella data forma le voleva ne' voleva nei suoi Domini, e non altrimenti, savio, e non già colpevole esecutore stimarsi deve dalla S. V.

Già vede V. B.ne da quanto mi ho dato l'onore di umiliarle, che indispensabile sia stato l'operato da Monsignor di Liguori per sostenere l'Opera dell'Istituto, cosicché lungi dal meritargli l'indignazione della Sac. Congregazione, e della S. V. col non riputarlo più co' suoi Seguaci Membro della suddetta Adunanza, e partecipe di quelle facoltà, e grazie spirituali, che dalla S. Sede si sono alla medesima concedute, abbia anzi a farlo ricolmare di nuove grazie e favori, col ridurre nuovamente sotto la di lui ubbidienza e direzione le quattro altre Case dello Stato per le quali si trova oggi eletto un Presidente interino, indipendente dal Superiore Maggiore. Le quattro Case dello Stato si compongono interamente da Soggetti nazionali del Regno. Non saranno più di due o tre in tutta la Congregazione che non sieno Regnicoli. In niuna delle di lei Case vi è figliolanza o incardinazione di Soggetti: e tra le Case dello Stato e del Regno vi è un continuo e reciproco passaggio degl'Individui, siccome meglio contribuisce al buon riuscimento delle Missioni de' respettivi Luoghi, ne' quali le sopradette Case si trovano a portata. Sicché quando la riduzione fatta della Regola del 1749; al Reale Stabilimento del 1752 non è, che nell'estrinseco del regolamento dell'Opera: quando tal riduzione è stata indispensabile a farsi per sostenere nel Regnolodevole Istituto: quando questa grand'Opera è nata nelle Case del Regno, e da queste si son mandati gl'Individui Regnicoli nelle Case dello Stato: trovando giusto V.S. che tal Regola così continui ad osservarsi nelle Case del Regno, può degnarsi ordinare, che si osservi uniformemente nelle altre quattro Case dello Stato. Si salverà in tal modo la separazione di queste da quelle: separazione che porterebbe inevitabilmente la rovina di tutte, e seguentemente non deve permettersi dalla S.V. Anzi deve promuoversene la riunione.

In effetto la S.M. di Benedetto XIII vedendo disunite le due Congregazioni de' PP. Dottrinari, quella di Roma, e quella di Avignone, colle respettive Case; con due Brevi Apostolici, spediti di moto proprio; uno a' 28 Settembre 1725 che incomincia Illius cuius, e l'altro a 14 Giugno 1727 che principia Credita Nobis, riferiti nel suo Bollario, volle che per aumento di quell'Istituto unite si fossero sotto la direzione di un solo Capo, ed avessero osservata una sola Regola. E Clemente XII con altro Breve de' 9 Aprile 1758 che comincia Ex iniuncto Nobis, riferito parimente nel suo Bollario, vedendo toppo giusta la risoluzione del suo Predecessore, la confermò, ed approvò i Capi di convenzione d'ambedue, stabiliti in un Capitolo generale, previo Esame d'una Congregazione particolare di Cardinali a tal uopo destinata.

E questa separazione tanto più conviene impedirsi, quanto che l'esorbitanza della Regola del 1749 modellata secondo il Reale Stabilimento del 1752, si riduce alla facoltà delle Case dello Stato di poter acquistare e possedere in comune sino ad una certa somma, che in Regno è onninamente vietata; ed al cambiamento de' Voti semplici in Giuramento, obbligante finché si sta in Congregazione. Per la prima diversità, com'è inerente alle Case, e non alle Persone, ben potrà eseguirsi tal facoltà nelle Case dello Stato, senza che perciò si alteri l'unione. E per la seconda potrebbe restar servita ordinare, che anche gl'Individui delle Case dello Stato si obbligassero con giuramento ad osservare la Povertà, Castità, ed Ubbidienza relativamente al tempo che ciascuno persevererà nella Congregazione, conforme si pratica da' Chierici Secolari, conviventi in comune nella Diocesi di Magonza ed altrove, ed approvare nel tempo istesso lo stabilimento che si è ideato di far obbligare tutti coloro che da ogg'innanzi chiederanno di essere ammessi in Congregazione, alla refezione delle spese nel caso che vogliano uscirsene, conforme usano gli Congregati della Città di Lucca sotto il titolo della Madre di Dio: e così verrebbe non solo a continuarsi l'unione, ma si stabilirebbe ancora l'uniformità nelle Case del Regno e dello Stato; e la libertà di poter abbandonare la Congregazione servirebbe più tosto a conservare la parità e 'l fervore dell'Istituto, siccome si osserva in tant'altre Congregazioni libere le quali perciò sono di edificazione, al contrario di alcune Comunità Religiose, nelle quali vi è la necessità della permanenza: O almeno potrà degnarsi la S.V. ordinare che per le Case dello Stato dovesse destinarsi un Vicario generale, dipendente dal Rettore Maggiore, durabile per quel tempo, e con quelle facoltà che stimerà più opportune; e frattanto rendere partecipi della sua Pontificia benedizione, e della facoltà, e privilegi spirituali gl'Individui delle quattro Case del Regno, acciocché possano continuare in quelle Provincie il gran bene incominciato, che già si va a perdere per la diffidenza che va spargendosi di non aversi più da V. B.ne per Membri della Congregazione del SS. Redentore, in virtù dell'enunciato rescritto della Sac. Congregazione de' Vescovi e Regolari.

Mi sento però violentato dalla coscienza di supplicare riverentemente l'innata Clemenza della S. V. a far terminare con un suo Santissimo Moto proprio questa briga, senza farla ventilare con litigio formale in detta Sac. Congregazione, col discredito che seco porta sempre il piato tra due partiti di Sacri Operari d'una medesima Società: a qual'effetto potrà, sempre che così comanda, farsi venire sotto i suoi purgatissimi occhi tutte le carte relative ai fatti, che mi son dato l'onore di esponerle, ed in vista di esse determinare ciocché più le pare spediente, colla sol' assistenza di quel Divino Spirito, che il regolatore di tutte le Determinazioni Supreme di V. Beatitudine: E per l'altro punto, che si è dedotto nella stessa Sac. Congregazione circa la validità, o nullità della elezione fatta degli Officiali Maggiori di dett'Adunanza come tutti. tanto i nuovi quanto gli antichi si son determinati a fare respettivamente la Rinuncia, senza voler brigare tra loro, altro non si attende che 'l suo Santissimo Oracolo di Moto proprio, in seguela del quale prontamente si eseguirà anche circa questo punto tutto ciò che verrà loro imposto.

Questo ho creduto dell'indispensabile mio dovere spirituale umiliare alla S. V. per la quiete del povero Vecchio Monsignor D. Alfonso di Liguoro, per l'unione e concordia delle Case di sua Congregazione, e per non impedirsi il gran frutto sinora fatto nella Vigna del Signore da tai Operari. Mi son mosso da i documenti, e dalle ragioni spiegatemi, e fattemi presenti da Monsignor Bergamo, altrettanto interessato per la conservazione dell'Istituto di tal'Adunanza, come potrei assicurarne la S.V. che sono interessati egualmente quasi tutti gli altri Vescovi del Regno: Onde spero che sarà per degnarsi d'accordare alle mie umili suppliche, che altra mira non hanno se non la gloria di Dio e 'l bene dell'Anime, la grazia che riverentemente le ho domandata. E con ciò prostrato al Pontificio Soglio, con rispettosissimo ossequio le bacio divotamente il Piede.

Lettura del Documento fatta da Laura Torino nel marzo 2000.




1 La lettera fu preparata da S. Alfonso e firmata dal card. Banditi, come testimonia Tannoia: “Egli medesimo avendo fatto una dolente istoria delle vicende, e troppo critiche, che dal suo nascimento sofferto aveva la misera Congregazione fino a questi ultimi tempi, ne formò lettera al Papa da firmarsi dall'Eminentissimo Banditi. (Tannoia, Libro IV, p. 119)






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