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S. Alfonso Maria de Liguori
Massime eterne

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Introduzione

Le sette meditazioni sui Novissimi, intitolate da s. Alfonso Massime eterne, costituiscono la sua produzione ascetica più antica, come i bibliografi ritengono pacificamente (1). Non è arrivata però sino a noi la prima redazione del 1728-30; né è stato scoperto alcuno delle migliaia di esemplari distribuiti in quegli anni nei quartieri popolari di Napoli e durante le sacre missioni predicate nei paesi vesuviani e poi nella Puglia.

Conosciamo attualmente il testo ch’egli ripubblicò nel 1749 in appendice della Visita al SS. Sacramento (2), contenuto in 24 paginette non numerate. Tra questo testo e quello perduto se ne riscontra un altro fra le considerazioni (3) della II parte della Via facile e sicura del paradiso (p. 135 ss.), stampata anonima dal p. Gennaro Sarnelli (4) a Napoli nel 1738. È qui il testo primitivo del Dottore zelantissimo o uno nuovo elaborato dallo stesso Sarnelli? Incliniamo a credere che si tratti piuttosto di un rimaneggiamento, nel quale si distingue senza sforzo il nucleo alfonsiano.

Ci sembra opportuno ricordare che Sarnelli, divenuto missionario redentorista nel 1733, seguì le orme di S. Alfonso suo superiore nella stesura di opuscoli devoti. Anzi per un decennio collaborarono con zelo generoso, comunicandosi vedute, citazioni e squarci letterari, come s’intuisce da superstiti lettere di entrambi. Nel I luglio 1738 Sarnelli notificava al Santo:

Vorrei che mi avvisasse V. R. ciocché li scrissi circa Maria SS. È cosa facile a trovarsi in Grassetti che io non ho, o nell’Alfabeto Mariano che neppure ho; essendo sentenze ovvie. Vi pregai per lo fatto di Maria SS. che liberò quella Matrona romana che aveva scannato un suo nipote. Credo che lo porti Bovio: lo narrò il p. Saverio al popolo, questo molto mi serve per cosa importantissima...... In quanto all’operetta della Congregazione la vegga con sua comodità, e la ringrazio che vi ave aggiunta qualche cosa (5).

L’opuscolo uscì a luce nel 1739 a Napoli col titolo: Le sacre Congregazioni ad onore di Maria SS. e sue regole. Non sappiamo l’entità delle aggiunte: il Santo lo cita nella II parte delle Glorie di Maria, ossequio VII (Napoli 1750).

Poco dopo Sarnelli scriveva al p. G. Mazzini: "La prego dire al p. Rettore (s. Alfonso) che mi dia anche qualche notizia per questa Novenella non solo per Giesù Bambino, ma anche per l’Incarnazione di Giesù, dico del Figliuolo di Dio. E insieme mi scriva alcuni divoti sentimenti, affetti teneri verso Giesù Bambino, ma ho fretta come dissi, devo sbrigarla per li principi di ottobre" (6). Forse nello stesso anno chiedeva a s. Alfonso:

La supplico senza meno, quanto più presto può inviarmi quel libro che tratta delle 7 parole di G. Cristo in croce, il quale credo che stia costì (Ciorani). E insieme faccia diligenze, se trova qualche altro libro che tratta dello Spirito Santo, dico di cose predicabili, eccetto quella novena, e ottava picciola, che io già tengo qui. Tutto restituirò fra poco, perché sto già per compire l’opera coll’aiuto del mio Dio (7).

Interessante è ciò che s. Alfonso gli comunicava nel 1740 da Ciorani:

Sento quel che mi scrivi, Gennaro mio: io ho pochissimo tempo e fra poco debbo andare a Nocera per fare certe prediche, oltre che sto poco bene. Mi abbisognerebbe una gran fatica per raccogliere certi fatticelli di Gesù e della Passione. Farò quel che posso. Ho detto a fratel Gennaro (Rendina) che copii le Canzoncine, perché io non posso. Ma io le rivedrò. Per la canzoncina dell’anima desolata, basta che mutate quella strofa, accomodata da Fontana...

Ti prego poi per le meditazioni divote che mi scrivi, Passione, Sacramento, ecc., ti prego caricarle più d’affetti che passi, rivelazioni e riflessioni. Perché in tali meditazioni più si ha da esercitare la volontà che l’intelletto, e le persone divote questo van cercando, più affetti che pensieri.

Specialmente nella Passione, nella meditazione di Gesù legato, la preghiera che ci leghi colle catene dell’amore, ecc., come ne metto un affetto nella carta che ti mando. A Gesù impiagato nella flagellazione, che c’impiaghi di amore, poiché tutte quelle piaghe gridano e cercano amore, come disse Gesù a suor Vittoria Angelini. A Gesù coronato di spine, che regni ne' nostri cuori, e affetti, ecc. A Gesù moribondo, che ci faccia morire a tutti gli affetti del mondo. A Gesù ferito colla lancia al cuore, che ci ferisca ecc.

Vedi i Travagli di Gesù, (8) ché vi sono bellissimi affetti, e gli esercizi che mette dopo le riflessioni. Basta; ti mando queste carte d’affetti. Dopo che le hai lette, dalle da mia parte a Iorio. Appresso ti manderò altri affetti e la canzoncina della Cantica (9).

Sarnelli, dimorando quasi abitualmente a Napoli, dedito ad iniziative sociali, teneva maggiori possibilità di comporre e di sorvegliare i tipografi. Gli riusciva facile di curare ristampe degli scritti di s. Alfonso, come fece per le Canzoncine (10) nel 1733, o di incorporarli nei propri libri dati fuori sempre senza nome sul frontespizio, come accadde per la Coronella di Gesù Bambino (11) e la Coronella de' dolori di Maria (12), ecc. Né oggi avremmo saputo discernere quanto appartenga al maestro, se questi sia pure incidentalmente non ci avesse in merito fornito utili indicazioni.

Osserviamo che sinora è mancato uno studio critico, desideratissimo, per stabilire le dipendenze letterarie di Sarnelli da s. Alfonso, e viceversa. Non convince il sistema di chi insinua che s. Alfonso abbia plagiato il Sarnelli, fondandosi sul fatto che questi diede a luce i suoi libri prima di lui, omettendo di specificare ciò ch’era proprio da quanto non era.

Nel 1724-1733 s. Alfonso aveva, in gran parte, già formato la propria cultura sacra, prendendo appunti per la predicazione che in quegli anni fu abbondante. Ce ne sono arrivati gli echi in fogli staccati, che mostrano spesso le letture dirette, per esempio, degli scritti di s. Teresa (ed. veneta del 1678).

Nella Visita al SS. Sacramento (Napoli 1745), scrive nella vis. VIII:

Dicea S. Teresa che questo gran Re di gloria perciò si è travestito colle specie di pane nel Sacramento ed ha coverta la sua maestà per dare a noi animo di accostarci con più confidenza al suo Cuore divino (Op. Ascet., IV, 323).

Questa citazione non dipende affatto dal Sarnelli, Il mondo riformato, Napoli 1739, 103:

Dice S. Teresa, che Gesù non ha voluto restar fra noi nella sua Maestà; ma si è travestito con pochi accidenti di pane; e si trattiene così umile sugli altari, per rendersi a tutti affabile, dolce, e trattabile, acciocché tutti ricorressero a Lui con filiale intrinsechezza, e amore e si accostassero volentieri alla sua infinita bontà.

Nel discorso autografo che s. Alfonso stese nel 1726 (AGR, S. AM III. 255) s’incontra già la citazione sunteggiata: "Anzi dice S. Ter. che per questo si è travestito, et a coperta la sua maestà sotto quell’accidenti etc., per darci più confidenza". È logico che l’autore sia ricorso ai propri appunti più che a Sarnelli.

I casi analoghi potrebbero moltiplicarsi: basta l’accenno per rendere accorti nell’attribuire a Sarnelli ciò che potrebbe non appartenergli. Per questo motivo nelle note marginali citeremo con cautela il Sarnelli, e quando lo riteniamo indispensabile.

Probabilmente Sarnelli non riprodusse nel 1738 il testo delle Massime eterne così come giaceva in circolazione; ne estrasse interi brani o semplici motivi e ampliò in modo considerevole i temi alfonsiani, portandoli da una settimana ad una quaresima. Il prospetto in cifre chiarisce il concetto.

 

A - S. ALFONSO

B - SARNELLI

1. Fine dell’uomo:

2. Importanza del fine:

3. Peccato mortale:

4. Morte:

5. Giudizio:

6. Inferno:

7. Eternità delle pene:

1 considerazione

1 considerazione

1considerazione

1 considerazione

1 considerazione

1 considerazione

1 considerazione.

2 considerazioni.

3 considerazioni.

10 considerazioni.

8 considerazioni.

8 considerazioni.

6 considerazioni.

3 considerazioni.

 

7 in totale

40 in totale

Sarnelli divise le 40 considerazioni in due, tre o quattro punti, corredandole di una Pratica; s. Alfonso si attenne ai tre punti, fuorché nell’ultima e penultima che suddivise in due. Sensibile inoltre è l’accenno mariano nel maestro; più scarso nel discepolo.

Riportiamo integralmente una considerazione, onde il lettore, istituito un rapido parallelo di pensiero e di forma, possa approfondire la dipendenza.

S. ALFONSO

SARNELLI

Importanza del fine.

Importanza di conseguire il fine.

I. Considera uomo, quanto importa il tuo gran fine: importa il tutto. Perché, se lo conseguisci, ti salvi, sarai sempre beato, goderai in anima, e corpo ogni bene: ma se lo sgarri, perderai anima e corpo, paradiso e Dio: sarai eternamente misero, sarai per sempre dannato. Dunque questo è il negozio di tutti i negozi, solo necessario, solo importante, il servire Dio, e salvarsi l’anima. Ma non dire più cristiano mio, ora vo soddisfarmi, appresso mi darò a Dio, e spero salvarmi. Questa speranza falsa oh quanti ne ha mandati all’inferno, i quali pure dicevano così, ed ora sono dannati, e non vi è più rimedio. Qual dannato voleva proprio dannarsi? Ma Dio maledice chi pecca per la speranza del perdono. Maledictus homo qui peccat in spe. Tu dici, voglio far questo peccato, e poi me lo confesso. E chi sa se avrai questo tempo? Chi t’assicura che non morirai subito dopo il peccato? Frattanto perdi la grazia di Dio; e se non la trovi più? Dio fa misericordia a chi lo teme, non a chi lo disprezza: Et misericordia eius.... timentibus eum. Luc. I. Né dire più, tanto mi confesso due peccati, quanto tre; no, perché Dio due peccati, quanto tre; no, perché Dio due peccati ti perdonerà, e tre no. Dio sopporta, ma non sopporta sempre. In plenitudine peccatorum puniat. 2 Mach. 6. Quando è piena la misura, Dio non perdona più, e castiga, o colla morte, o coll’abbandonare il peccatore, si che da peccato in peccato sen’anderà all’inferno, castigo peggiore della morte. Attento, fratello, a questo ch’ora leggi. Finiscila, datti a Dio. Temi che questo sia l’ultimo avviso che Dio ti manda. Basta quanto l’hai offeso. Basta quanto egli t’ha sopportato. Trema che un altro peccato mortale che farai, Dio non perdonerà più. Vedi che si tratta d’anima, si tratta d’eternità. Questo gran pensiero dell’eternità quanti ne ha cavati dal mondo, e gli ha mandati a vivere ne' chiostri, ne' deserti, nelle grotte! Povero me, che mi trovo di tanti peccati fatti? il cuore afflitto, l’anima aggravata, l’inferno acquistato, Dio perduto. Ah Dio mio, e Padre mio tirami all’amor tuo.

II. Considera, come quest’affare eterno è lo più trascurato. A tutto si pensa, fuorché a salvarsi. Per tutto v’è tempo fuorché per Dio. Si dica ad un mondano, che frequenti i Sagramenti, che faccia mezz’ora d’orazione il giorno; risponde: Ho figli, ho possessioni, ho che fare. Oh Dio, e non hai l’anima! L’ambizioso del Vangelo si scusò di venire alla cena, figura del paradiso, perché aveva possessioni: l’avaro rispose ch’aveva armenti: e il voluttuoso disse ch’aveva preso moglie. Ma che? Gl’infelici furon eternamente esclusi da quella cena beata. Che mogli, che possessioni, che faccende, quando si tratta salvarsi l’anima! Impegna pur le ricchezze, chiama i figli, i nipoti, che ti diano aiuto in punto di morte, e ti caccino dall’inferno, se vai dannato. Non ti lusingare di poter accordare Dio e mondo, paradiso e peccati. Il salvarti non è negozio da trattarlo alla larga, bisogna far violenza a te stesso, bisogna faticare, bisogna farti forza, se vuoi guadagnarti la corona immortale. Quanti cristiani si lusingavano, che poi servirebbero Dio, e si salverebbero, e ora stanno nell’inferno! Che pazzia, pensar sempre a quello che finisce così presto: e pensar troppo poco a quello che non ha mai da finire! Ah cristiano, pensa a' casi tuoi! Pensa che fra poco sloggerai da questa terra, e anderai alla casa dell’eternità. Povero te, se ti danni. Vedi che non ci potrai rimediare più.

 

 

 

III. Considera, cristiano, e dì: Un’anima ho, se questa mi perdo, ho perduto ogni cosa. Un’anima ho, se a danno di quest’anima mi guadagno un mondo, che mi serve? Se divento un grand’uomo, e mi perdo l’anima, che mi giova? Se accumulo ricchezze, se avanzo la casa, se ingrandisco i figli, e mi perdo l’anima, che mi giova? Che giovarono le grandezze, i piaceri, le vanità a tanti, che vissero nel mondo, ed ora sono polvere in una fossa, e confinati già nell’inferno? Dunque se l’anima è mia, se un’anima ho, se la sgarro una volta, l’ho sgarrata per sempre; deo ben pensare a salvarmi. Questo è un punto, che troppo importa. Si tratta di essere o sempre felice, o sempre infelice. O mio Dio, confesso, e mi confondo che sinora sono vivuto da cieco, sono andato così lontano da te: non ho pensato a salvare quest’unica anima mia. Salvami, o Padre per Giesù-Cristo: mi contento di perdere ogni cosa, purché non perda Dio. - Maria, speranza mia, salvami tu.

 

 

 

I. Considera, quanto importa conseguire il tuo fine: importa il tutto, perché, se lo conseguisci, ti salvi; sarai eternamente beato; goderai in anima, e corpo ogni bene; se lo sgarri, perderai roba, piaceri, vita, anima, corpo, paradiso, Dio; e sarai eternamente dannato. Dunque questo è il negozio di tutti i negozi, solo utile, solo necessario, solo importante, solo apprezzabile: servire Dio, e salvarsi. Questo è l’affare di tutti gli affari, quest’è l’impegno di tutti gl’impegni; questo è il guadagno di tutti i guadagni. Questo è il nostro tutto, dice l’Apostolo: Rogamus fratres, ut vestrum negotium agatis. I Thess. 4. Se ora si perde una possessione, ne rimane un’altra; se si perde una lite, se ne può appellare; se la sanità, si può ricuperare; se si commette qualch’error temporale, si può risarcire. E quando mai si perdesse tutto; o vuoi, o no, l’hai già da lasciare. Ma se sgarri il tuo fine, perdi ogni bene; ti acquisti ogni male per tutta l’eternità, senza rimedio. O Dio si vive in una stupenda tranquillità sopra un affare d’infinita conseguenza! Si vive come non si avesse mai da morire! Che pazzia, pensar sempre quello, che ha da finir così presto; e non pensare a quello, che non ha mai da finire. Ah, Padre mio disingannami per Gesù Cristo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

II. Se l’interesse della salute è l’unico necessario, e gli altri sono passeggieri, è un grand’errore non porvi tutto lo studio, per accertarlo; e pure questo affare così importante è l’unico più trascurato. A tutto si pensa, fuorché a salvarsi. Per tutto v’è tempo, fuorché per Dio. Per tutto v’è impegno, fuorché per l’anima. Se si dice ad un mondano, che frequenti i Sagramenti, che faccia mezz’ora di orazione il giorno; che si ritiri una volta l’anno a fare i santi esercizi, risponde: Ho figli; ho famiglia, ho possessioni, ho che fare. Dio Immortale! hai figli, hai famiglia. Hai che fare. E non hai padrone, a cui sei tenuto a servire? E non hai l’anima da salvarti? Forse sei stato posto da Dio nel mondo, per attendere alle cose transitorie? Così appunto risposero que’mondani del Vangelo, inviati alla cena, figura dell’invito, che il Signore ci fa al suo paradiso. Disse l’avaro, ho fatto compra di cinque para di buoi, non posso venire. Rispose l’ambizioso, mi ho comprato una villa, non posso venire. Aggiunse il voluttuoso, ed io ho preso moglie, non posso venire. Ma che? Rimasero quegl’infelici esclusi in eterno da quel gran bene. Ecco la risposta minacciosa di Gesù Cristo a tali amatori del secolo: Dico autem vobis, quod nemo virorum illorum, qui vocati sunt, gustabit coenam meam. Luc. 14, 24. Che figli! che possessioni! che faccende, quando si tratta salvarti l’anima; acquistarti il paradiso, scampar dal fuoco eterno! Impegna pur le tue ricchezze, chiama i figli, i nipoti, che ti diano aiuto; e ti caccino dall’inferno, se vai dannato!

III. Che diresti, se un uomo chiuso in prigione, già condannato alla morte, aspettando da ora in ora, d’essere condotto al patibolo, pensasse a fare acquisti, a fabbricar palagi, a vaneggiare? Diresti, che il timore l’ha tolto il cervello. Ma, oh con quanto tuo danno l’ha tolto a te il demonio; mentre sai per fede che devi morire, e può essere fra poco; ed esser condotto al tribunale inappellabile d’un Dio d’infinita giustizia per essere giudicato, e condannato per ogni colpa, e tu allucinato pensi alle bagattelle, disegni castelli in aria; e per un breve piacere, per un palmo di terra, per un fumo d’onor passeggiero trascuri l’acquisto d’un regno eterno, con evidentissimo rischio d’andar dannato? che pazzia non sarebbe, d’un monarca, che posto da banda il governo del mondo andasse tuttora a caccia a ragni, e mosche? Non ti lusingare di potere accordare Dio e mondo. Non ti salverai, se non attendi di proposito con tutte le forze a far violenza a te stesso; a servire fedelmente il Creatore. Quanti cristiani furono pieni di buone velleità, come sei tu, lusingandosi che poi servirebbero Dio con fervore; e che frattanto Dio si contentava d’ogni poco; e pure si dannarono. Se fosse fondata la tua falsa speranza, non sarebbe mai vero, che la maggior parte de’fedeli adulti si danna; e pure, secondo la più comune opinione de' sagri dottori, è verissimo. Ah fabbricati quella casa, che ti ha da servire per tutti i secoli: Quando ibit homo in domum aeternitatis suae. O me infelice, che da tanti anni servo il mondo; vado così perduto presso le cose create; stento tanto per acquistarle. Che me ne trovo? La vita consumata, il cuore afflitto, l’anima aggravata, Dio offeso. Ah Signore abbi misericordia di me. O Dio, tirami a te da questo secolo indegno per amor di Gesù Cristo.

 

Gl’incontri non sono fortuiti e neppure insignificanti: si sente che il testo più prolisso ed impinguato di Sarnelli proviene da quello più spigliato e sobrio di s. Alfonso. È lecito chiedersi se il discepolo ricopiò dal testo del maestro apparso nel 1728 soltanto i tratti corrispondenti a quelli del 1749 o altri ancora? Tale problema critico, che abbiamo appena sfiorato, è assai arduo: non avendo sotto gli occhi il documento primitivo, ci asteniamo dal proporre pel momento una soluzione più concreta.

Prima di procedere chiariamo un altro punto, relativo alla molteplicità delle Massime eterne; cioè s. Alfonso ne compose uno o più tipi?

Il redentorista Blasucci (1729-1817) nell’elogio funebre del Santo letto nel 1787 in Agrigento, elencandone le opere, assicura ch’egli scrisse "migliaia di librettini di Massime eterne per dispensarsi gratis nelle missioni" (13).

La frase, forse ambigua, è certamente iperbolica: più che al contenuto Blasucci pare alludere al formato del libretto, variato secondo le occasioni e le finanze. E sotto questo aspetto ha in parte ragione. L’autore ogni biennio o giù di lì, come capita anche adesso, si vedeva costretto a ristamparlo per soddisfare al ritmo delle richieste dei paesi evangelizzati dai suoi missionari, che per 7 o 8 mesi di ciascun anno percorrevano il Regno napoletano. Alcuni esemplari settecenteschi pervenutici in brochure provano la varietà esteriore. Una copia di 24 paginette in-32 ha Atti preparatori alla meditazione (p. 1), Atti cristiani (2-3), Meditazioni per ciascun giorno della settimana (3-23), Atti da farsi ogni mattina (23-24). Altre copie contengono aggiunte ora le Canzoncine spirituali, ora l’Apparecchio e ringraziamento alla comunione, ora gli Atti per la visita al ss. Sacramento e alla Madonna, ecc. In genere l’opuscolo non oltrepassava una cinquantina di pagine.

Tuttavia le 7 meditazioni restavano identiche e costituivano il nucleo principale. Non esiste quindi che un solo testo di Massime eterne, ed è inutile, crediamo, cercarne altri.

Diverse invece furono le revisioni.

S. Alfonso, secondo le osservazioni esposte nell’Introduzione generale (14) di questa collezione, soleva rivedere il testo nelle successive ristampe, almeno per snellirlo e renderlo più saporoso al palato popolare. Potrebbe essere che avanti il 1749 sia ritornato sopra le Massime eterne una, se non più volte. Siamo in grado di accertare che le ritoccò (15) nel 1755. Informandone il 2 novembre del medesimo anno suor M. Vincenza Giannastasio, qualificava tale riedizione siccome "nuova" (16).

Nel 1758 compì una revisione più accurata con l’idea di darci il testo definitivo: (17) notificandolo all’editore veneto Remondini attestava di avervi "aggiustato meglio molte altre cose" (18).

Le Massime eterne inserite nel Cristiano provveduto (19) presentano varianti del tutto particolari: congetturiamo che l’autore dovette correggere questa operetta separatamente. Il complesso c’induce ad ammettere che la revisione benché ristretta sia avvenuta intorno al 1750.

Oltre la menzionata triplice revisione non si conoscono ulteriori cambiamenti degni di rilievo. Remondini (20) nelle molteplici riedizioni, a cominciare dalla X di Venezia del 1763 alla XVI di Bassano del 1784, riprodusse il testo napoletano del 1758. Le poche e lievi varianti che esistono in esse, specie nell’uso del verbo al congiuntivo, sono da attribuirsi al correttore assegnato dai Riformatori dello studio di Padova (21).

Circa la restituzione testuale di questo tipico libretto, propagatosi nel mondo in maniera prodigiosa (22) e tuttora vivo, ci baseremo principalmente sopra l’ed. del 1758 del di Domenico, tenendo conto anche di quella di Paci (XVII, Napoli 1768) (23-1) per la interpunzione.

Tra quanti nell’Ottocento, in Italia, curarono le edizioni più abbondanti e meno costose del libriccino alfonsiano per divulgarlo fra il popolo minuto, oltre s. Giovanni Bosco (24) e il ven. Lanteri (25), merita un particolare ricordo san Vincenzo Pallotti (m. 1850). Il fondatore dell’Apostolato cattolico nel 1835 si preoccupò anche di una versione in arabo e, stampatala, spedì migliaia di copie ai missionari dell’Asia minore. Nel 1848, d’accordo con la pia principessa Borghese, ristampò in francese le Massime eterne e distribuì gli esemplari ai soldati residenti a Roma (26).

Il card. Schuster, commentando il testo della Messa in onore di s. Alfonso (2 agosto), osserva che dopo l’epistola "il responsorio è tolto in parte dal salmo 118, 52-53, e in parte dal salmo 39, 11: Io mi ricordo delle tue Massime eterne, o Signore, e me ne sento consolato. È appunto questo il titolo d’uno dei più popolari manuali di pietà scritti dal Santo" (27).

L’interpretazione può sembrare peregrina, ma non difetta di fondamento. Ed è gradito vedere nella controluce liturgica questa operetta, che ha dato all’autore risonanze addirittura mondiali.

 

ORESTE GREGORIO, in S. Alfonso, Opere Ascetiche, edizione critica, Roma 1965, Edizioni di Storia e Letteratura, pp. LIII-LXIV

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(1) MB, 47.

(2) ALFONSO DE LIGUORI, Visita al SS. Sacramento ed a Maria SS., Napoli 1749, presso Alessio Pellecchia. Nell’ed. del 1748 (G. Paci) mancano le Massime eterne.

(3) (G. SARNELLI), La via facile, e sicura del paradiso, I, Napoli 1738, p. II, Considerazioni per la vita purgativa, 135 ss.

(4) DE MEULEMEESTER, op. cit., 47, pensa che Sarnelli abbia ristampato le Massime eterne di s. Alfonso anche nel Cristiano santificato (Napoli 1743): non è esatto. "I pensieri di vita eterna in ciascun giorno della settimana", riportati nelle pp. 7-28, sono d’indole differente. Le Massime predette si ritrovano, aumentate in taluni punti, nel Mondo santificato (Napoli 1739) del medesimo Sarnelli.

(5) Arch. gener. postul. redentor., Lettere inedite del p. Gennero Sarnelli, lett. XVI.

(6) Ibid., lett. XXVII;

(7) Ibid., lett. XXXI. Per la questione vedi pure AGR, Ms. G. Landi, Istoria della Congr. del SS. Redentore, I, c. XIV, punto VI; C. ROMANO, p. 30 e p. 97.

(8) TOMMASO DI GESU', OESA, Travagli di Giesù, Milano 1685.

(9) S. ALFONSO, Lettere, I, 73-74. Cfr. O. GREGORIO, Un discorso giovanile di s. Alfonso (a. 1726) ne L’osservatore romano, I gennaio 1960, p. 4: il manoscritto illustrato è prezioso per le fonti usate dal Santo nella redazione della Visita al SS. Sacramento (Napoli 1745).

(10) O. GREGORIO, Restituzione del testo in IG, 9; IDEM, Canzoniere Alfonsiano, Angri 1933, 19 ss.

(11) (ALFONSO DE LIGUORI), Coronella in onore del santo Bambino Giesù, Napoli 1734, presso Monaco; cfr. O. GREGORIO, Primizia letteraria di s. Alfonso in S. Alfonso, 21 (Pagani 1950), 206-207. Sarnelli ristampò nel 1738 la Coronella nell’Aggiunta di varie divozioni, posta con paginazione propria in fine del II vol. della Via facile e sicura del paradiso, pp. 138-140.

(12) S. Alfonso inserì nel 1750 tra le Orazioni diverse della II parte delle Glorie di Maria, la Coronella dei dolori di Maria, annotando di averla composta da "molti anni"; si legge nella Aggiunta suddetta di Sarnelli, pp. 144-147.

(13) (BLASUCCI P.), Orazione recitata nella cattedrale di Girgenti ne' solenni funerali di mons. D. Alfonso de Liguori, s. a. e l., 68.

(14) Cfr. IG, 24 ss.

(15) ALFONSO DE LIGUORI, Operette spirituali, Napoli 1755, ed. VI, nuovamente riveduta, accresciuta e corretta dall’autore, presso B. Gessari: le Massime eterne sono nella I parte, pp. 177-203.

(16) S. ALFONSO, Lettere, I, 309. Il 19 dicembre 1753 scriveva a Sagliano: "L’invio ancora un altro libretto di Massime eterne con certe belle considerazioni per la divozione verso Maria Santissima" (ibid., I, 247).

(17) ALFONSO DE LIGUORI. Operette spirituali, Napoli 1758, ed. XI, nuovamente accresciuta e corretta dall’autore, presso G. di Domenico; le Massime sono nella p. I, 142-162.

(18) S. ALFONSO, Lettere, III, 68.

(19) Nel Cristiano provveduto (s. a. e. l.), e Massime sono a pp. 1-22): vedi O. GREGORIO, Il cristiano provveduto in Spic. hist. C. SS. R., 4 (Roma 1956), 481 ss. S. Alfonso stampò anche a parte le Massime eterne in opuscoletti di 24 pagine in-32, per favorirne la diffusione tra le masse.

(20) Mons. ALFONSO DE LIGUORI, Opere spirituali, Venezia 1763, ed. X, G. Remondini: le Massime sono nella p. I, pp. 132-151; Bassano 1784, ed. XVI, p. 1, pp. 108-123.

(21) Cfr. IG, 75 ss.

(22) Cfr. MB, I, 335, ove fornisce l’elenco di 1163 edizioni, di cui 412 in italiano. S. Alfonso soleva dare in regalo il librettino, come riferì nel processo di beatificazione il rev. Felice Verzella, che fu segretario del Santo nel periodo vescovile, dal 1762 al 1773: "La prima volta, che ebbi la sorte di conoscere di persona il vener. servo di Dio, che sentivo sempre nominare con fama di santità nella mia patria, fu nel sabato santo dell’anno 1752. Imperocché essendo io stato ordinato sacerdote dal vescovo di Lettere fu mons. Giannini, nel ritorno, dovendo passare per avanti questa casa di s. Michele Arcangelo di questa città (di Pagani), dove dimorava il servo di Dio Alfonso M. de Liguori, volli vederlo, come infatti li baciai la mano nella sua propria stanza, e mi fece una esortazione a corrispondere ai doveri del sacerdozio che avevo preso, e soprattutto ricordo specialmente che mi disse queste precise parole: Figlio mio, Dio vi guardi di celebrare in peccato mortale una volta, perché ci farai l’abito, disprezzerai tutto, e sarai sicuramente dannato come Giuda: attendi allo studio ed all’orazione, e mi regalò un libricino delle sue Massime eterne, che ancora io serbo con somma divozione" (Summarium super virtutibus, Romae 1806, 20-21).

(23) Mons. ALFONSO DE LIGUORI, Operette spirituali, Napoli 1768: le Massime eterne si trovano nella I parte, pp. 142-161.

(24) S. Giovanni Bosco ristampò a parte più volte le Massime eterne ed inserì un testo alquanto rimaneggiato nel Giovane provveduto (pp. 36-51) che nel 1885 (Torino) già raggiungeva la 101 edizione (Cfr. PIETRO STELLA, Valori spirituali nel "Giovane provveduto" di San Giovanni Bosco, Roma 1960, 46 ss.).

(25) Riferisce Piatti che Brunone Lanteri delle Massime eterne "sparse in una sola edizione, senza contarne altre minori, trentaseimila copie" (T. PIATTI, Il servo di Dio Pio Brunone Lanteri, Torino 1934, 85 e 109).

(26) F. AMBROSO, San Vincenzo Pallotti romano, Roma 1962, 91 e 443.

(27) SCHUSTER I., Liber Sacramentorum, VIII, Torino 1929, 132.

 

 




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