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S. Alfonso Maria de Liguori Messa e officio strapazzati IntraText CT - Lettura del testo |
§. 2. Regole di Spirito per un sacerdote alla perfezione.
Un sacerdote che attende alla perfezione e desidera farsi santo, prima di tutto dee attendere ad evitare più che la morte qualunque minimo peccato veniale deliberato. Secondo la fragilità umana niun uomo può al presente, né ha potuto mai dopo il peccato di Adamo (eccettuandone solamente Gesù Cristo e la sua ss. Madre) essere esente da tutte le colpe veniali indeliberate; ma col divino aiuto ben può ciascuno sfuggire qualunque colpa deliberata, cioè commessa con piena avvertenza e consenso; e così han fatto i santi. Pertanto chi attende alla perfezione bisogna che stia con animò risoluto di farsi prima tagliare a pezzi, che ad occhi aperti dire una bugia, o fare altro peccato veniale per minimo che sia.
Così dee star risoluto; ma accadendo per disgrazia che commetta qualche colpa o deliberata o indeliberata, non dee disturbarsi e restarne inquieto. L'inquietudine non viene mai da Dio; è fumo che sempre sorge dal luogo dell'inquietudine, cioè che, sorge dall'inferno: poiché, come saggiamente dicea s. Luigi Gonzaga, nell'acqua torbida sempre trova che pescare il demonio. Quando taluno ha commesso un difetto (per esempio) si disturba, e poi si disturba d'essersi disturbato; in questo stato d'inquietudine non solo non è atto a far cosa alcuna di bene, ma facilmente commetterà più altre colpe d'impazienze, o d'altra specie. Pertanto dopo il difetto commesso bisogna che la persona si umilii e subito ricorra a Dio, facendo un atto di amore o di pentimento, e proponendo l'emenda, cerchi aiuto con confidenza, dicendo: Signore, questo so far io; e se mi levate le mani da sopra farò peggio di questo. Io v'amo, mi pento del disgusto che v'ho dato, non voglio darvelo più; datemi poi l'aiuto, da voi lo spero. Fatto ciò, si metta in pace, come se non avesse commessa niuna colpa; e se torna a cadere nello stesso giorno, ritorni a far
così; e se cade cento volte, sempre così faccia; sempre si umilii e si rialzi, né resti mai caduta. Ed avvertasi che '1 disturbarsi dopo il difetto commesso non è effetto d'umiltà, ma di superbia, sdegnandosi la persona per quel difetto, non tanto per lo disgusto dato a Dio, quanto per lo rossore che sente di comparirgli avanti così macchiata. Non mai dunque si disturbi per li difetti commessi, ma si umilii come capace di commettere quelli ed altri; e poi facendo un atto d'amore verso Dio, subito si metta in pace; e così si servirà del difetto, non per allontanarsi, ma per più stringersi con Dio. E così s'intende quel che dice l'apostolo: Omnia cooperantur in bonum1 colla Glossa che aggiunge, etiam peccata.
Desideri sempre di crescere nel divino amore. Il non voler andare avanti nella perfezione (che tutta consiste nell'amare Dio) è voler andare indietro: Non progredi reverti est, dice s. Agostino. Chi cammina contro la corrente del fiume, e non procura di spingersi a verso di quella, la stessa corrente lo porterà indietro. Ciò avviene a noi che abbiamo dà camminare contro la concupiscenza de' sensi. I santi desiderj son quelli che ci alleggeriscono la fatica e ci portano avanti. Ma questi desiderj bisogna che sieno risoluti ed efficaci, cioè che si pongano in esecuzione per quanto si può, e non siano come quelli di taluno che va dicendo per esempio: Oh! se non avessi fratelli o nipoti, me n'anderei in una religione; se avessi sanità, farei le tali penitenze; e frattanto non dà mai un passo avanti nella via di Dio, sempre commette gli stessi difetti, sempre conserva gli stessi attacchi e rancori, e sempre va di male in peggio. Bisogna dunque desiderare di avanzarsi nel divino amore, ma con risoluzione di far tutto dalla parte sua per giungervi; diffidando nonperò totalmente delle proprie forze, e confidando solamente in Dio; poiché chi in sé confida resta abbandonato dal divino aiuto.
Per avanzarsi nella perfezione sia inoltre molto divoto della passione di Gesù Cristo e del ss. sacramento. Chi pensa a questi due gran misterj d'amore, d'un Dio che per farsi amare dà la vita e si fa cibo d'un verme sua creatura, non è possibile che non viva innamorato di Gesù C. Caritas Christi urget nos, dice san Paolo2. Chi pensa all'amore di Gesù Cristo si sente quasi forzato ad amarlo. San Bonaventura chiamò le piaghe di Gesù Cristo Vulnera vulnerantia et corda gelata inflammantia; piaghe che impiagano i cuori e infiammano di amor divino l'anime più gelate. Per tanto non lasci ordinariamente di fare ogni giorno una mezz'ora di orazione sulla passione del Signore. E spesso poi tra 'l giorno faccia atti d'amore verso Gesù Cristo, cominciando dallo svegliarsi, e procurando di addormentarsi con un atto d'amore. Dicea s. Teresa che gli atti d'amore sono le legna che mantengono acceso nel cuore il beato fuoco del divino amore. Specialmente sono atti d'amore molto cari a Dio le offerte di se stesso, offerendosi a fare ed a patire quanto a Dio piacerà. s. Teresa facea queste offerte almeno per 50 volte al giorno.
Inoltre procuri in ogni azione di rettificar l'intenzione, facendo quanto
opera solo e tutto per Dio. La retta intenzione chiamasi da' maestri di spirito l'alchimia spirituale, che ogni azione la fa diventare oro per lo spirito, anche i sollievi corporali, come sono il riposare, il cibarsi e 'l ricrearsi. Ma tanto più è necessario poi che gli esercizj spirituali si facciano solo per dar gusto a Dio, e non già per fine d'interesse o di propria stima o compiacenza, altrimenti tutto sarà perduto, ed in vece di premj ne riporteremo castighi. Perciò affine di far sicuramente per Dio quanto facciamo, è necessario il far tutto colla dipendenza dal nostro direttore.
Sia amante della solitudine e del silenzio. Chi troppo tratta e parla cogli uomini, ancorché usi cautela, difficilmente ne uscirà senza colpa: In multiloquio non deerit peccatum1. Che perciò disse Isaia: In silentio et spe erit fortitudo vestra2. La nostra fortezza contro le tentazioni sta nel confidare in Dio e nel distaccarci dalla conversazione colle creature. Inoltre chi parla assai cogli uomini poco parlerà e tratterà con Dio. Egli nella solitudine parla e conversa alla famigliare colle anime. O solitudo, esclamava s. Girolamo, in qua Deus cum suis familiariter loquitur et conversatur! E prima Dio stesso fe' intenderci, che nella solitudine egli parla a' nostri cuori: Ducam eam in solitudinem et loquar ad cor eius3. Quindi è che l'anime innamorate di Dio van sempre cercando solitudini. I santi sono andati ad intanarsi nelle selve e nelle caverne più orride della terra, affine di non esser disturbati dallo strepito. del secolo e di trattare ivi da solo a solo con Dio.
Dicea s. Bernardo: Silentium et a strepitu quies cogit coelestia meditari; il silenzio e la solitudine forzano, per così dire, l'anima a pensare solamente a Dio. La virtù nondimeno del silenzio non consiste nel sempre tacere ma nel tacere quando si dee. Il sacerdote santo dee tacere, sempre che dee tacere, ma dee parlare poi quando dee parlare; ma dee parlare solo di Dio o di cose che s'appartengono alla sua gloria e al bene dell'anime. Quante volte un discorso di Dio fatto alla famigliare in una conversazione o con un amico, gioverà più che molte prediche! Procuri dunque in tutti i discorsi, anche indifferenti, che occorrono, sempre di concludere poi con qualche massima di verità eterna, o di amore verso Dio. Chi ama una persona vorrebbe sempre di colei parlare e sentirne parlare: chi ama Dio non parla e non vuol sentir parlare che di Dio.
L'amore a Dio sovra tutto consiste nell'unirsi alla sua divina volontà, specialmente in quelle cose che sono più contrarie al nostro amor proprio, come sono le infermità, la povertà, gli obbrobrj, le persecuzioni, le aridità di spirito. Stiamo sicuri che quel che viene da Dio tutto è utile per noi, mentre tutto quello ch'egli fa lo fa per nostro, bene, poiché non abbiamo chi ci ami più di Dio. Diciamo sempre in tutti gli avvenimenti, se vogliam farci santi: Fiat voluntas tua: Sit nomen domini benedictum: Domine, quid me vis facere? Sicut Domino placui, ita factum est: Ita Pater, quoniam sic placitum fuit ante te. E, per quanto ci avviene in questo mondo di prospero o d'avverso, procuriamo di conservare sempre
la pace e quell'uniforme tranquillità praticata da' santi, dicendo sempre: In pace, in id ipsum dormiam et requiescam. Chi ama Dio, Sempre unito al suo Dio vive uniforme, cantò quel gran servo del Signore il cardinal Petrucci, giusta il detto dello Spirito santo: Non contristabit iustum quicquid ei acciderit1. Sicché il sacerdote che ama Dio non dee stare mai afflitto; solo il peccato dee apportargli dolore; e pure questo dolore, come di sopra si è detto, dee essere un dolore tranquillo che apporti pace, non disturbo all'anima.
Desideri spesso il paradiso, e perciò desideri la morte per andar presto in cielo ad amare Gesù Cristo con tutte le forze ed in eterno, senza pericolo di poterlo più perdere. Vada frattanto con Dio senza riserba, e non gli neghi alcuna cosa che intende essere di suo maggior gusto. Perciò stia continuamente attento a discacciare dal cuore ogni cosa che non è Dio, o non è per Dio.
Procuri di avere una gran confidenza ed una tenera divozione verso la ss. Vergine. Tutti i santi han procurato sempre di nudrire una tenerezza di figli verso questa divina Madre. Non lasci ogni giorno di leggere qualche libro che tratti delle sue glorie, e della speranza grande che dobbiamo avere nella sua potente intercessione. Non lasci di fare il digiuno nel sabbato, come meglio può, e qualche astinenza almeno di cibo con qualche altra mortificazione in tutte le sue novene. Non lasci di visitarla una o più volte il giorno in qualche divota immagine. Parli quanto può agli altri della confidenza che dobbiamo avere nella protezione di Maria, e procuri nel sabbato di fare in qualche chiesa un sermoncino, per infervorare la gente alla di lei divozione; almeno in ogni predica la nomini con modo speciale, e ne raccomandi la divozione a tutti i suoi penitenti, e ad ognuno che può. Chi più ama Maria, amerà più Dio, poich'ella tutti gli amanti suoi li tira a Dio. Quia tota ardens fuit, dice a. Bonaventura, omnes se amantes incendit, et sibi assimilat.
Procuri d'esser umile di cuore. Molti sono umili di parole, ma non di cuore, poiché dicono colla bocca di essere i peggiori peccatori dei mondo, di meritar mille inferni, ma poi vogliono essere preferiti, stimati e lodati; e quando non v'è altri che li lodi, si lodano da se stessi: ambiscono gli ufficj di maggiore splendore, e non possono soffrire una parola di disprezzo. Gli umili di cuore non fanno così; non parlano mai de' loro talenti, nobiltà, ricchezze o d'altra cosa che ridondi in propria lode. Ami dunque gli ufficj ed esercizj più umili e di meno lustro: abbracci i vilipendj che gli son fatti senza disturbarsi, anzi di quelli se ne compiaccia, nello spirito, vedendosi fatto simile a Gesù Cristo che fu saziato di obbrobrj. Perciò quando riceve qualche incontro, e la superbia si risente, facciasi allora forza a non parlare, né fare alcuna azione, ancorché forse egli come superiore fosse tenuto a correggere l'insolenza di chi così lo maltratta; in quel tempo, sino a quando si sente coll'animo sturbato taccia, ed aspetti sino che si sente rasserenato; altrimenti in quel fumo che porta seco il disturbo non ci vedrà, crederà che quel che dice o fa sia giusto, ma tutto sarà difetto e disordine. Oltreché quando
la correzione si fa con animo disturbato, il suddito non la riceve più come correzione dovuta, ma come sfogo di passione del superiore, e così poco o niente gioverà più la correzione. E per la stessa ragione il superiore, quando vede che 'l suddito sta disturbato, dee allora tralasciare di correggerlo, ed aspettare il tempo in cui sarà quegli serenato; altrimenti il suddito, offuscato dalla sua passione, non solo non riceverà la correzione, ma proromperà in maggiori escandescenze.
Procuri quanto può di soccorrere tutti, specialmente di render bene a chi gli ha fatto male: almeno col raccomandarlo a Dio. Questo è il modo con cui si vendicano i santi.
Attenda alla mortificazione interna ed esterna. Questa fu già significata da Gesù Cristo in quell'abneget semet ipsum, ch'è assolutamente necessario per giungere alla santità. La mortificazione esterna importa il vincersi coll'astenersi da ogni cosa, in cui non si trova altro guadagno che compiacere l'amor proprio; e così si astenga, da tutte quelle azioni che non si fanno per altro che per compiacere la curiosità, o l'ambizione, o la propria volontà. Ami ancora le mortificazioni esterne, i digiuni, le astinenze, le discipline e cose simili. I santi han macerati i loro corpi quanto più potevano, cioè quanto loro permetteva l'ubbidienza: questa è la regola dei santi. Chi poi per la poca sanità non potesse far mortificazioni esterne, procuri di abbracciare i dolori e gl'incomodi delle sue infermità, procurando di soffrirli con pazienza e pace, astenendosi di manifestarli senza necessità, e di lagnarsi della poca assistenza de' domestici o de' medici.
Preghi sempre e si raccomandi a Dio. Tutte le nostre buone risoluzioni e promesse vanno in fumo quando non preghiamo; perché non pregando saremo privi dell'aiuto di Dio per eseguirle. Sicut pullus hirundinis, sic clamabo1. Bisogna che teniamo sempre la bocca aperta a pregare e a dire: Signore, aiutami, Signore, misericordia Signore, abbi pietà di me. Così han fatto tutti i santi, e così si son fatti santi. Specialmente domandiamo sempre a Gesù Cristo il dono del suo santo amore. Dicea s. Francesco di Sales, che il dono di amar Gesù Cristo è quello che comprende tutti gli altri doni; perché chi ama Dio, procurerà di evitare ogni di lui disgusto, e di far quanto può per compiacerlo. Domandiamo ancora sempre la grazia di avere una gran confidenza nella passione di Gesù Cristo e nell'intercessione di Maria. Non lasciamo ancora di raccomandar sempre a Dio le anime sante del purgatorio ed i poveri peccatori, poiché tali preghiere son molto gradite a Dio.