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S. Alfonso Maria de Liguori
Nove discorsi...flagelli

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DISCORSO I.

Dio minaccia di castigarci per liberarci del castigo.

Heu consolabor super hostibus meis, et vindicabor de inimicis meis (Isa. 1. 24.)

 

Ecco come parla Dio quando parla di castighi e di vendetta: dice che egli è costretto dalla sua giustizia a vendicarsi dei suoi nemici. Ma notate, premette la parola Heu: questa parola è un'aspirazione di dolore, colla quale vuol darci ad intendere che Dio fosse capace di piangere prima di castigarci, piangerebbe amaramente in vedersi obbligato ad affliggere noi sue creature, che esso ha tanto amato fino a dare la vita per nostro amore: Heu, dice Cornelio a Lapide, dolentis est vox, non insultantis: significat se dolentem et invitum punire peccatores. No, questo Dio che è padre delle misericordie e che tanto ci ama, non ha genio di punirci e d'affliggerci, ma di perdonarci e consolarci: Ego enim scio cogitationes quas ego cogito super vos, ait Dominus, cogitationes pacis et non afflictionis1. E giacché è questo, dirà taluno, perché ora Dio ci castiga? O almeno dimostra di volerci castigare? Perché? Perché vuol usarci misericordia: questo suo sdegno che ci dimostra tutto è pazienza e misericordia. Intendiamo dunque, uditori miei, che il Signore al presente si fa vedere sdegnato, non già per castigarci, ma acciocché noi togliamo i peccati, e così egli possa perdonarci. Ecco l'assunto del discorso: Dio minaccia di castigarci per liberarci dal castigo.

 

Le minacce degli uomini ordinariamente sono effetti della loro superbia ed impotenza; onde, allorché possono vendicarsi, niente minacciano, per non dare occasione ai nemici di sottrarsi dalla loro vendetta. Solamente quando manca loro la potenza di vendicarsi, allora si servono delle minacce, per contentare almeno così il loro sdegno, col tormentare almeno col timore i loro nemici. Non sono così all'incontro le minacce che da Dio, sono elle tutte d'altra natura. Egli non minaccia per impotenza di punirci, perché ben può vendicarsi quando vuole; ma ci sopporta per vederci penitenti e liberi dal castigo: Dissimulas peccata hominum propter poenitentiam2. Né minaccia per odio, affine di tormentarci col timore; Dio minaccia per amore, acciocché noi ci convertiamo e così sfuggiamo il castigo: minaccia perché non vuol vederci perduti: minaccia in somma perché ama le anime nostre: Parcis autem omnibus, quoniam tua sunt, Domine, qui amas animas3. Minaccia; ma frattanto sopporta e trattiene il castigo, perché

 


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non vuol vederci dannati, ma emendati: Patienter agit propter vos, nolens aliquem perire, sed omnes ad poenitentiam reverti1. Sicché le minacce di Dio son tutte tenerezze e voci amorose della sua bontà, colle quali intende di salvarci dalla pena che meritiamo.

 

Grida Giona: Adhuc quadraginta dies, et Ninive subvertetur2? Poveri niniviti, dice, è già arrivato il tempo del vostro castigo; io ve lo annunzio da parte di Dio; sappiate che tra quaranta giorni Ninive sarà subbissata e non vi sarà più nel mondo. Ma come va che poi Ninive fece penitenza e non fu castigata: Et misertus est Deus3? Onde Giona se ne afflisse, e lamentandosi col Signore gli disse: io per questo me ne era fuggito in Tarsi, perché so che voi siete pietoso, minacciate e poi non castigate: Scio enim quia tu Deus clemens et misericors es, et ignoscens super malitia4. Quindi egli se ne fuggì da Ninive, e stando in campagna si ricoverò sotto un'edera per ripararsi dai raggi cocenti del sole; ma il Signore che fece? Fece che l'edera si seccasse, e Giona di nuovo se ne afflisse tanto che cercava la morte. Allora gli disse Dio: Tu doles super hederam in qua non laborasti, neque fecisti ut cresceret... et ego non parcam Ninive5? Tu ti lamenti dell'edera perduta, che non è stata da te creata, e non vuoi poi che io perdoni agli uomini che ho creati colle mie mani? La ruina poi che il Signore fece intimare a Ninive, spiega s. Basilio, che ella non fu già profezia, ma fu una semplice minaccia, per cui volea vedere quella città convertita. Dice il santo che Dio spesso si dimostra irato, perché vuol usarci misericordia, e minaccia non già per castigarci, ma per salvarci dal castigo: Indignans miseretur, et minitans salvare desiderat. Soggiunge s. Agostino che quando alcuno dice, guardati, è segno che non vuol farti danno: Qui clamat tibi, observa, non vult ferire. E così appunto fa Dio con noi, ci minaccia il castigo, dice s. Girolamo, non per darcelo, ma per liberarcene, se noi al suo avviso ci emendiamo: In hoc clementia Dei ostenditur; qui enim praedicit poenam non vult punire peccantes. Voi, Signor mio, dice s. Gregorio, par che incrudeliate, ma allora più che mai volete salvarci; minacciate, ma con tali minacce altro non pretendete che di chiamarci a penitenza: Saevis et salvas, terres et vocas. Potrebbe egli castigare i peccatori improvvisamente, con farli morire di subito, senza dar loro tempo di penitenza; ma no, si fa vedere sdegnato, si fa vedere coi flagelli alla mano, per vederli ravveduti prima che puniti.

 

Disse il Signore a Geremia: Dices ad eos, si forte audiant, et convertantur unusquisque a via sua mala: et poeniteat me mali quod cogito facere eis6. Va, gli disse, e di' ai peccatori, se vogliono sentirti, che se lasciano il peccato, io lascerò di mandar loro i castighi coi quali ho pensato di punirli. Avete inteso, fratelli miei? Lo stesso vi fa sentire oggi il Signore per bocca mia. Se voi vi emendate egli rivocherà la sentenza del castigo. Dice s. Girolamo: Neque Deus hominibus, sed vitiis irascitur. Iddio non odia noi, ma i nostri peccati, e soggiunge il Grisostomo che

 


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anche dei nostri peccati si dimentica, se noi di loro ci ricordiamo: Si nos peccatorum meminerimus, Deus obliviscetur. S'intende, sempre che noi umiliati ci emendiamo e gliene cerchiamo perdono, secondo egli stesso promettere: Humiliati sunt, non disperdam eos1.

 

Ma per emendarci bisogna temere il castigo, altrimenti non ci ridurremmo mai a mutar vita. È vero che Dio protegge chi spera nella sua misericordia: Protector est omnium sperantium in se2, ma chi spera, e chi insieme teme la sua giustizia; perché la speranza senza timore degenera in presunzione e temerità: Qui timent Dominum speraverunt in Domino: adiutor et protector eorum est3. Spesso parla il Signore nelle scritture del rigore de' suoi giudizj e dell'inferno, e del gran numero che ci va: Ne terreamini ab his qui occidunt corpus; timete eum qui habet potestatem mittere in gehennam4. Spatiosa via est quae ducit ad perditionem, et multi sunt qui intrant per eam5. E perché? Acciocché il timore ci stacchi da' vizj, dalle passioni e dalle occasioni; e così possiamo poi giustamente sperar la salute, la quale non si se non agli innocenti o ai penitenti che sperano e temono. Oh che forza ha per raffrenarci dal peccare il timore dell'inferno! Iddio a questo fine ha creato l'inferno. Egli ci ha redenti colla sua morte per vederci salvi, e ci ha imposto il precetto di sperar la salute, e quindi ci fa animo con dirci che tutti quelli che sperano in lui non si perderanno: Universi qui sustinent te non confundentur6. All'incontro vuole e ci comanda che temiamo la dannazione eterna. Gli eretici insegnano che tutti i giustificati debbono tenersi infallibilmente per giusti e predestinati; ma questi ragionevolmente sono stati condannati dal concilio di Trento7. Perché una tal sicurezza altrettanto è nociva alla salute, quanto è utile il timore: Ipse terror vester erit vobis in sanctificationem8. Il timore santo di Dio rende l'uomo santo. Perciò Davide cercava a Dio la grazia di temere, acciocché il timore avesse in lui distrutti gli affetti della carne: Confige timore tuo carnes meas9.

 

Dobbiamo dunque temere per le nostre colpe, ma questo timore non deve abbatterci, ma più sollevarci alla fiducia nella divina misericordia, come facea lo stesso profeta, dicendo al Signore: Propter nomen tuum, Domine, propitiaberis peccato meo, multum est enim10. Come? Dice perdonatemi, perché il peccato mio è grande? Sì, perché ivi più risplende la divina misericordia, dove la miseria è maggiore; e chi ha più peccato, più onora la misericordia, sperando in Dio, il quale promette di salvare chi spera in lui: Salvabit eos qui speraverunt in eo11. E perciò dice l'Ecclesiastico che il timore di Dio non apporta pena, ma allegrezza e gaudio: Timor Domini delectabit cor, et dabit laetitiam et gaudium12. Poiché lo stesso timore induce ad acquistare una ferma speranza in Dio, che rende l'anima beata: Qui timet Dominum nihil trepidabit, quoniam ipse est spes eius. Timentis Dominum beata est anima eius13. Sì, beata, perché

 


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il timore allontana l'uomo dal peccato: Timor Domini expellit peccatum1. Ed insieme infonde un gran desiderio di osservare i precetti: Beatus vir qui timet Dominum, in mandatis eius volet nimis2.

 

Bisogna dunque persuaderci che il castigo non è secondo il genio di Dio. Iddio perché è bontà infinita per sua natura, Deus cuius natura bonitas, dice s. Leone, non ha altro desiderio che di farci bene e vederci contenti. Quando castiga, è obbligato a farlo per dar luogo alla sua giustizia, ma non già per compiacere la sua inclinazione. Dice Isaia che il punire è un'opera aliena dal cuore di Dio: Dominus irascetur, ut faciat opus suum, alienum opus eius... peregrinum est opus eius ab eo3. E perciò dice il Signore che alle volte egli quasi finge d'inviarci il castigo: Ego fingo contra vos malum. Ma perché lo fa? Ecco il perché: revertatur unusquisque a via sua mala4: lo fa per vederci emendati, e così liberati dalla pena meritata. Scrive l'apostolo che Dio cuius vult miseretur et quem vult indurat5. Su questo passo dice s. Bernardo6, che Dio in quanto a sé vuol salvarci, ma noi lo costringiamo a condannarci: Sed quod misereatur, proprium illi est; nam quod condemnet, nos eum cogimus. Egli si chiama padre delle misericordie, non delle vendette; ond'è che la causa di usarci pietà la prende da sé; ma di vendicarsi la prende da noi. E chi mai può comprendere quanto sia grande la divina misericordia? Dice Davide che Dio anche mentre sta contro noi sdegnato, ha compassione di noi: Deus iratus es et misertus es nobis7. O ira misericors, esclama Beroncosio abbate, quae irascitur ut subveniat, minatur ut parcat. O sdegno pietoso, che si adira per soccorrerci, e minaccia per perdonarci. Ostendisti, siegue a parlar Davide, populo tuo dura, potasti nos vino compunctionis. Dio si fa vedere colla mano già armata di flagelli; ma lo fa per vederci pentiti e compunti delle offese che gli stiamo facendo: Dedisti timentibus te significationem, ut fugiant a facie arcus, ut liberentur dilecti tui. Si fa vedere coll'arco già teso, in punto di scoccar la saetta; ma non la scocca, perché vuole che noi atterriti ci emendiamo e così restiamo liberi dal castigo, ut liberentur dilecti tui. Io voglio atterrirli, dice Dio, acciocché mossi da un tal timore s'alzino dal lezzo dei loro peccati e ritornino a me: In tribulatione sua mane consurgent ad me8. Sì, il Signore, benché ci veda così ingrati e degli del castigo, pure anela di liberarcene; perché quantunque ingrati, pure egli ci ama e ci vuol bene. Da nobis auxilium de tribulatione: così in fine pregava Davide, e così dobbiamo pregare ancora noi: Signore, fate che questo flagello che ora ci tribola ci faccia aprire gli occhi a lasciare il peccato; perché finalmente, se non la finiamo, il peccato ci tirerà alla dannazione eterna, che è quel castigo che non finisce mai. Che facciamo dunque, uditori miei? Non lo vedete che Dio sta sdegnato? Non ne può più, non ci può più sopportare: Iratus Dominus. Non lo vedete che di giorno in giorno crescono i castighi di Dio? Crescit malitia, crescit inopia rerum. Crescono i peccati

 


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dice il Grisostomo, e così con ragione crescono i castighi. Dio sta sdegnato, ma con tutto che stia sdegnato, oggi comanda a me quel che impose al profeta Zaccaria: Et dices ad eos: haec dicit Dominus... Convertimini ad me... et convertar ad vos1. Peccatori, dice Dio, voi mi avete voltate le spalle e perciò mi avete costretto a privarvi della mia grazia. Non mi obbligate più a scacciarvi in tutto dalla mia faccia ed a punirvi coll'inferno, senza rimedio più di perdono. Finitela, lasciate i peccati e convertitevi a me, ed io vi prometto di perdonarvi quante offese mi avete fatte e di abbracciarvi di nuovo come figli: Convertimini ad me, ait Dominus, et convertar ad vos. Ditemi, perché vi volete perdere? (Vedete con quanta pietà vi parla il Signore) Et quare moriemini, domus Israel2? Perché volete gittarvi da voi stessi ad ardere in quella fornace di fuoco? Revertimini et vivite3. Ritornate a me, ed eccomi colle braccia aperte, pronto ad accogliervi e perdonarvi.

 

Di ciò non dubitate, peccatori miei, siegue a parlare il Signore: Discite benefacere, et venite et arguite me, dicit Dominus; si fuerint peccata vestra ut coccinum, quasi nix dealbabuntur4. Dice Dio: orsù mutate vita e venite a me, e se io non vi perdono arguite me; come se dicesse, riprendetemi da infedele e mentitore; ma no che non vi sarò infedele, io farò che le vostre coscienze così macchiate colla grazia mia diverranno bianche come la neve. No, io non vi castigherò, se voi vi emendate, dice inoltre il Signore, perché io sono Dio, non uomo: Non faciam furorem irae meae, quoniam Deus ego et non homo5. E vuol dire che gli uomini non si scordano mai delle ingiurie, ma egli quando vede un peccatore pentito, si scorda di tutte le offese che gli ha fatte: Omnium iniquitatum eius quas operatus est non recordabor6. Presto dunque ritorniamo a Dio, ma presto. Basta quanto l'abbiamo offeso, non lo provochiamo più a sdegno. Eccolo, egli ci chiama, ed è pronto a perdonarci, se noi ci pentiamo del male fatto, e gli promettiamo di mutar vita.

 

Qui si fa fare al popolo l'atto di dolore e di proposito; con ricorrere in fine a Maria santissima per il perdono e perseveranza.

 




1 Ierem. 29. 11.

 



2 Sap. 11. 24.

 



3 Sap. 11. 27.

1 2. Petr. 3. 9.

 



2 Ion. 3. 4.

 



3 Ibid. 10.

 



4 Ion. 4. 2.

 



5 Ion. 4. 10.

 



6 Ier. 26. 3.

1 2. Par. 12. 7.

 



2 Psal. 17. 31.

 



3 Psal. 113. 11.

 



4 Luc. 12. 4.

 



5 Matth. 7. 13.

 



6 Psal. 24. 2.

 



7 Sess. 6. can. 14. et 15.

 



8 Isa. 8. 14.

 



9 Psal. 118. 120.

 



10 Psal. 24. 11.

 



11 Psal. 36. 40.

 



12 Eccl. 1. 21.

 



13 Eccl. 34. 16. et 17.

1 Eccl. 1. 27.

 



2 Psal. 111. 1.

 



3 Isa. 28. 21.

 



4 Ier. 18. 11.

 



5 Rom. 9. 18.

 



6 Ser. 5. n. 3.

 



7 Psal. 59.

 



8 Oseae 6. 1.

1 Zach. 1. ex n. 3.

 



2 Ezech. 18. 31.

 



3 Ib.

 



4 Isa. 1. 17. 18.

 



5 Oseae 11. 9.

 



6 Ezech. 18. 22.

 






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