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S. Alfonso Maria de Liguori
Opera dogmatica...eretici pretesi riformati

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§ 2. Dell'edizione ed uso de' sacri libri.

10. Dopo il decreto mentovato dell'accettazione de' libri canonici e delle tradizioni, si formò dal concilio il decreto dell'edizione e dell'uso dei sacri libri. Ed in primo luogo si dichiarò ed approvò per autentica l'edizione volgata: Statuit et declarat ut haec ipsa vetus et vulgata editio, quae longo tot saeculorum usu in ipsa ecclesia probata est in publicis lectionibus, disputationibus, praedicationibus et expositionibus pro authentica habeatur; et ut nemo illam reiicere quovis praetextu audeat vel praesumat.

11. Circa questo punto dell'autenticità della volgata approvata dal concilio, oppone il Soave che, secondo il sentimento del cardinal Gaetano, l'infallibilità del vecchio testamento si avea dal testo ebraico e del nuovo dal testo greco, ma non già dal testo latino tradotto, poiché il traduttore non era infallibile. Ma si risponde che se valesse la ragion del Gaetano (il quale per altro ne' commenti sovra la scrittura è stato molto tacciato), neppure potrebbe credersi al testo ebraico e greco che presentemente vi sono, ma si dovrebbe aver fede solamente a quei primi originali della scrittura che furono scritti da' profeti, da' vangelisti e dagli apostoli; perché tutte le altre copie son soggette ad errore. Onde bisogna dire che, avendo Iddio disposto che la scrittura fosse una regola infallibile di fede per tutti, è convenuto che egli colla sua providenza soprannaturale facesse che nella chiesa vi fosse un'esposizione in idioma inteso da molti la quale fosse perpetua e fosse immune da ogni errore essenziale circa i dogmi di fede. E perciò Iddio ha deputato in terra un interprete manifesto, cioè la chiesa e il capo di essa, il quale, usando quelle diligenze che permette la condizione umana, determinasse un esemplare a cui dovesse credersi senza esitazione.

12. E perché la traslazione volgata latina (linguaggio universalmente noto ai teologi) avea già cominciato ad avere una tacita approvazione della chiesa coll'uso


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di più secoli sin dal tempo di s. Gregorio ed era stata abbracciata da' primi luminari di lei, s. Isidoro, Beda, s. Remigio, s. Anselmo, s. Bernardo, Rabbano, Ugone di s. Vittore, Roberto abate e da innumerabili altri dottori, pertanto il concilio, in virtù dell'assistenza promessagli dallo Spirito santo, la dichiarò autentica e sicura da ogni error sostanziale; lasciando per altro il testo ebraico del vecchio testamento (il quale è molto incerto per la mancanza che credesi esservi stata negli originali dei punti, i quali importano la significazion delle voci) ed il greco del nuovo in quella fede che si meritano. Dicesi nel canone Ut veterum, dist. 6., che s'abbia la scrittura ebraica per l'intelligenza della legge vecchia e la greca per l'intelligenza della nuova: ma dee sapersi che questo canone non è già di s. Agostino, come dice Graziano, ma di s. Girolamo nella epistola 28 ad Lucillum (benché s. Agostino anche vi consente1. Ma s. Girolamo nel tempo che ciò scrisse non avea anche aggiustata la traslazione latina, e perciò scrisse così; imperocché in assettare la sua sposizione dovea certamente valersi di quei due originali: ma nel secondo prologo poi della bibbia non parla così, come nota già la glossa nel predetto canone Ut veterum.

13. Ma se l'interpretazione volgata (dice il Soave) è buona ed in forma provante, dunque le altre son cattive, ed è sciocchezza il valercene. Si risponde al Soave: a noi basta l'intendere che la volgata è esente da errori appartenenti alla fede ed a' costumi; e pertanto non essendo state le altre interpretazioni dichiarate autentiche, come la volgata, sarebbe errore l'anteporre quelle a questa. Del resto, il concilio ha lasciata la facoltà a' dotti di spiegare la sposizione volgata ne' passi oscuri che vi sono colla luce delle bibbie ebraica e greca; sebbene con tutto ciò molti passi restino oscuri e dubbiosi, e forse dubbiosi rimarranno sino alla fine del mondo.

14. Almeno, ripiglia il Soave, avrebbe il concilio dovuto esprimere nel decreto che la volgata sarebbesi fatta rivedere e correggere. Questa opposizione fu già fatta in Trento ed anche in Roma, dove, essendo stato mandato il decreto a considerarsi prima di pubblicarlo, fu scritto da' deputati del papa che all'approvazione della volgata ostava l'esservi in quella molti errori. Ma si rispose da' legati che tali errori non erano circa la sostanza dei dogmi e dei costumi: onde lodavano la risoluzione del papa di farla ristampare appresso in forma più corretta, ma per allora stimavano che non conveniva dichiarar queste scorrezioni, benché fossero di poco momento, per non dar ansa agli eretici di opporre cavilli che poteano confondere il volgo. Del resto, dissero che la volgata non era stata mai sospetta di errori sostanziali, poiché ella veniva approvata dagli stessi testi ebraici e greci, ch'erano più corretti; e che, sebbene vi erano molti passi oscuri e barbari, non era vietato ad alcuno il dichiararli o interpretarli in miglior modo. Dovendosi inoltre riflettere che gli autori dei sacri libri, che scrissero per ispirazione dello Spirito santo, non sempre raccontano i fatti e i detti con quelle circostanze e parole individuali come avvennero (e ciò fa parere che alcuna volta discordino), ma, come avvertono i santi padri e gl'interpreti, si conformano nella sostanza delle cose. Ma, anche dopo la correzione della volgata, la chiesa non condanna chi dicesse (contra altri che tengono la sentenza più pia) che anche nella volgata vi è qualch'errore accidentale e di poco momento, v. gr. prendendosi un albero o un animale per un altro; come dicono Melchior Cano2, Sisto senese3 ed altri. Avverte però Elizalda4, non esser perciò lecito lo scostarsi a libito in ogni parola o in ogni soggetto dalla volgata, ma solo in que' passi ove discordano i nostri teologi ed ove dalla chiesa non v'è proibizione.

15. In secondo luogo, il concilio nel riferito decreto dell'edizione ed uso dei sacri libri proibì ad ognuno il tirar la sacra scrittura a' suoi sensi, contra il senso che tiene la chiesa o contra l'unanime consenso dei padri: “Praeterea... decernit ut nemo... in rebus fidei et morum... sacram scripturam... contra sensum quem tenuit et tenet sancta mater ecclesia (cuius est iudicare de vero sensu et interpretatione scripturarum) aut etiam contra unanimem consensum patrum... interpretari audeat etc.”

16. Il Soave si meraviglia che il concilio abbia ristretto il modo d'intendere la parola di Dio, quandoché il cardinal Gaetano, come asserisce, insegnò non doversi rifiutare i sensi nuovi, sempreché non sono alieni dagli altri luoghi della scrittura e dalla dottrina della fede, ancorché i padri fossero di contrario sentimento. Ma si risponde che il Gaetano, quantunque ripreso per licenzioso in ciò


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dal Cano1, non dice però egli esser lecito contraddire al senso uniforme dei santi padri: dice solamente che può darsi alla scrittura un'esposizione affatto diversa da tutte le altre de' padri che sono tra loro discordi in modo che ognun vi resta dubbioso, ma non quando le spiegazioni de' padri sono uniformi. Giustamente poi il concilio ha proibito l'interpretare la divina parola contra il consenso comune dei padri; mentre questo è sempre stato l'antico uso della chiesa. Così il concilio efesino colle autorità dei padri condannò Nestorio, rimproverandogli appunto la sua presunzione di intender egli solo la scrittura e che l'avessero ignorata tutti gli altri che avanti di lui avean trattato la divina parola. Così anche s. Girolamo condannò l'opinione di Elvidio, s. Basilio quella di Anfiloteo, s. Agostino quella dei pelagiani e donatisti, s. Leone di Eutichete, Agatone papa nel sesto sinodo de' monoteliti e il concilio fiorentino de' greci.

17. Né poteva esser ciò altrimenti: perché se Dio avesse permesso che i primi padri malamente avessero spiegata la scrittura, esso Dio (per così dire) ci avrebbe ingannati, permettendo che i sacri dottori avessero inteso il senso della divina parola diverso da quel ch'egli l'intendeva. E perciò noi siam tenuti a credere come dogma di fede quello che come tal è approvato dal comun sentimento dei dottori della chiesa; altrimenti ognuno potrebbe dubitare d'ogni detto della bibbia, quantunque chiarissimo. Quandoché all'incontro non solo noi dobbiam credere con certezza di fede quel che sta definito dalla chiesa, ma ancora quel che apparisce chiaro dalla scrittura: altrimenti, prima che la chiesa avesse fatte le sue definizioni, ognuno avrebbe potuto dubitare di qualunque verità espressa nelle sacre carte. Pertanto dee concludersi che in quelle materie le quali spettano a' dogmi ed a' costumi non possono errar tutti i padri, senza ch'erri la chiesa, la quale da essi si regola, allorché sono concordi non opinando ma determinando. E perciò disse il concilio: Niuno ardisca d'interpretar la scrittura contro il senso che tiene la chiesa e contra l'unanime consenso dei padri. Siccome dunque è illecito esporre le scritture contra il senso della chiesa, ch'è di fede per sua natura; così l'esporre le scritture contra il consentimento dei padri. Del resto, già prima del decreto ben avvertì il vescovo di Chioggia non esser proibito il dare un novello senso ai passi dei sacri libri, sempre che quello non è contrario al senso della chiesa o al concorde parere dei padri.

18. In terzo luogo si proibì nel decreto, sotto pena di scomunica, agl'impressori il dare alle stampe o vendere la sacra bibbia o qualunque libro di essa o pure annotazioni o esposizioni sovra dei santi libri senza l'esame o licenza de' superiori ecclesiastici, o senza nome dell'autore, ovvero ementito praelo, cioè ponendo un luogo per un altro. E si disse che la stessa proibizione valesse per coloro che pubblicassero tali libri o li comunicassero agli altri o li tenessero presso di sé.

19. Dal cardinal Madruccio si propose che sarebbe stato bene di permettere che si stampasse la scrittura negl'idiomi volgari. Ma ciò non fu stimato conveniente, bastando che fossero in latino; sì perché da una parte l'idioma latino nei paesi dove fiorisce la chiesa cattolica era inteso dagli uomini capaci d'interpretare i sacri libri; sì perché molti passi della bibbia sono talmente oscuri ed equivoci che, andando in mano del volgo, poteano facilmente ingerire errori o almeno dubbj perniciosi.




1 -L. 12. de doctr. christ. c. 14. et 15.



2 -L. 2. de loc. theol. c. 13. concl. 1.



3 -Bibl. 5. c. ult.



4 -De forma in quaest. rel. n. 44.



1 - L. 7.c. 3. e 4.






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