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S. Alfonso Maria de Liguori
Opera dogmatica...eretici pretesi riformati

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SESSIONE XXV. Decreto del purgatorio.

1. Già il concilio nella sess. 6 al can. 30 aveva insegnato esservi il purgatorio, condannando di anatema chi dicesse che dopo la giustificazione e remissione della pena eterna non restasse nel peccatore alcun reato di pena temporale da soddisfarsi in questo o nel futuro secolo in purgatorio,


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prima di entrare nel cielo: Si quis, post acceptam iustificationis gratiam, cuilibet peccatori poenitenti ita culpam remitti et reatum aeternae poenae deleri dixerit ut nullus remaneat reatus poenae temporalis exsolvendae, vel in hoc saeculo vel in futuro in purgatorio, antequam ad regna coelorum aditus patere possit, anathema sit. Onde nel presente decreto si disse che la chiesa cattolica, istruita dallo Spirito santo, dalle sacre scritture, dalla tradizione de' padri e da' concilj ed ultimamente da questo medesimo concilio, avendo insegnato esservi il purgatorio1 , e le anime ivi ritenute venir molto giovate da' suffragi dei fedeli e specialmente dal sacrificio della messa, comanda a' vescovi che insegnino a' popoli la sana dottrina circa il purgatorio, tralasciando le questioni più sottili e non permettendo che si divulghino cose non certe o che hanno specie di falso. Di più, che si proibiscano quelle cose che appartengono alla superstizione ed al turpe lucro. Di più, che procurino soddisfarsi con diligenza e divozione da' sacerdoti i suffragi che da' fedeli sono stati lasciati a' defunti.

2. Ecco le parole del concilio: Cum catholica ecclesia, Spiritu sancto edocta, ex sacris literis et antiqua patrum traditione, in sacris conciliis et novissime in hac oecumenica synodo docuerit purgatorium esse, animasque ibi detentas fidelium suffragiis, potissimum vero acceptabili altaris sacrificio iuvari: praecipit sancta synodus episcopis ut sanam de purgatorio doctrinam, a sanctis patribus et sacris conciliis traditam, a Christi fidelibus credi, teneri, doceri et ubique praedicari diligenter studeant. Apud rudem vero plebem difficiliores ac sublimiores quaestiones quaeque ad aedificationem non faciunt et ex quibus plerumque nulla fit pietatis accessio a popularibus concionibus secludantur. Incerta item, vel quae specie falsi laborant evulgari ac tractari non permittant. Ea vero quae ad curiositatem quamdam aut superstitionem spectant vel turpe lucrum sapiunt, tamquam scandala et fidelium offendicula prohibeant. Curent autem episcopi, ut fidelium vivorum suffragia, missarum scilicet sacrificia, orationes, eleemosynae aliaque pietatis opera quae a fidelibus pro aliis fidelibus defunctis fieri consueverunt, secundum ecclesiae instituta, pie et devote fiant; et quae pro illis ex testatorum fundationibus vel alia ratione debentur, non perfunctorie, sed a sacerdotibus et ecclesiae ministris et aliis qui hoc praestare tenentur, diligenter et accurate persolvantur.

3. Che vi sia il purgatorio i cattolici lo tengono per dogma certo di fede contra gli antichi albigesi e valdesi e contra i moderni novatori, che lo negano come invenzione de' nostri preti per cavarne lucro colle messe e funerali. Lutero nonperò un tempo l'ammise; cioè nella disputa avuta in Lipsia ai 6 di luglio 1519. Né è vero che il purgatorio si negli dai greci scismatici; essi negano solo esservi nel purgatorio il fuoco che purghi le anime: del resto gli stessi rabbini presso il card. Gotti2 confessano esservi il purgatorio.

4. Si prova per 1. dal testo di s. Matteo, 5, 25. et 26, dove si dice: Esto consentiens adversario tuo cito, dum es in via cum eo: ne forte... in carcerem mittaris. Amen dico tibi: non exies inde donec reddas novissimum quadrantem. Dunque nell'altra vita vi è un carcere da cui finalmente si esce dopo aver soddisfatta la pena di ogni leggier peccato; essendo certo che si danno i peccati veniali per sua natura, con cui morendo alcuno non può esser condannato all'inferno, perché è amico di Dio, né può entrare in cielo, ove nihil coinquinatum introibit3 . Dunque va al purgatorio, nel quale vien purificato da ogni macchia. E lo stesso dicesi dei peccati gravi perdonati in quanto alla colpa, ma non soddisfatti in quanto all'intiera pena. Tertulliano4 parlando del testo citato di s. Matteo, scrive: In summa cum carcerem illum quem evangelium demonstrat, inferos intelligimus, et novissimum quadrantem modicum quoque delictum mora resurrectionis illic luendum interpretemur, nemo dubitabit animam aliquid pensare penes inferos. Lo stesso si conferma dal vangelo di s. Luca, 12, 58 et 59, ove si dice: Cum autem vadis cum adversario tuo ad principem, in via da operam liberari ab illo, ne forte trahat te ad iudicem, et iudex tradat te exactori, et exactor mittat te in carcerem. Dico tibi: non exies inde donec etiam novissimum minutum reddas.

5. Si prova per 2. dal vangelo di san Matteo, 12, 32, ove si dice: Qui autem dixerit (verbum) contra Spiritum sanctum, non remittetur ei... in hoc saeculo, neque in futuro. Col che certamente si prova il purgatorio, come scrivono


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s. Agostino1 , s. Gregorio2 , Beda3 e s. Bernardo4 . Ma l'empio Pietro Martire scrive che ciò sta detto per esagerazione. In tal modo potremmo dire che quel che si legge in s. Matteo, 25, 46- Ibunt hi in supplicium aeternum- anche sia esagerazione e così non vi sia più inferno. Oppongono di più che nel citato vangelo parlasi dei peccati contro lo Spirito santo, i quali sono gravissimi; dunque ancora questi si rimetteranno nel purgatorio? Si risponde che in quanto alla colpa, ella solo in questa vita si rimette, e non si rimette se non colla detestazione di quella; nell'altra vita poi non si rimettono che le sole colpe veniali, e queste non si rimettono per mezzo delle pene, ma del primo atto che farà l'anima di amore verso Dio in uscir di vita: il quale atto di carità essendo molto ardente, include anche la detestazione di quelle colpe. Parlando poi delle colpe mortali, non si rimettono nell'altra vita: ma se sono già rimesse in questa, la pena temporale che sarà rimasta a soddisfarsi ben sarà rimessa nel purgatorio.

6. Si prova per 3. con quel che si dice negli atti degli apostoli, 2, 24: Quem Deus suscitavit, solutis doloribus inferni. Ciò non può intendersi detto de' padri del limbo, perché ivi essi non soffrivano dolori: dunque dee intendersi che il Signore libera alcuni del purgatorio e da quei dolori da cui possono esser liberati; giacché da' dolori dell'inferno dei dannati niuno può esser liberato.

7. Si prova per 4. dal testo di s. Paolo5 , ove si dice: Si quis autem superaedificat super fundamentum hoc, aurum, argentum, lapides pretiosos, ligna, foenum, stipulam, uniuscuiusque opus manifestum erit. Dies enim Domini declarabit, quia in igne revelabitur, et uniuscuiusque opus quale sit ignis probabit. Si cuius opus manserit quod superaedificavit, mercedem accipiet. Si cuius opus arserit, detrimentum patietur: ipse autem salvus erit, sic tamen quasi per ignem. S. Agostino6 , dice che qui l'apostolo distinse quei cristiani che fabbricano sovra fondamenti sodi, come di oro, d'argento, di pietre preziose, che significano le opere sante; e dice che tali edificj non possono essere offesi dal fuoco: ma quegli altri che edificano sovra legni e fieno, per cui significansi i peccati veniali o mortali non appieno soddisfatti in quanto alla pena temporale, dove il fuoco ha che bruciare, saran purgati dal fuoco ma in modo tale che il peccatore un giorno sarà salvo per mezzo del fuoco: Ipse autem salvus erit, sic tamen quasi per ignem. S. Ambrogio7 scrive: Sed cum Paulus dicit: Sic tamen quasi per ignem, ostendit quidem illum salvum futurum, sed poenam ignis passurum, ut per ignem purgatus fiat salvus, et non, sicut perfidi, aeterno igne in perpetuum torqueatur. Lo stesso scrive s. Agostino, in ps. 37, sovra il citato testo: Ita plane, quamvis salvi per ignem, gravior tamen est ille ignis quam quidquid potest homo pati in hac vita. Così similmente la spiegano s. Girolamo8 , s. Bonaventura, s. Anselmo, s. Tomaso nel luogo citato ed altri padri.

8. Si prova per 5. con quel che si dice nel 2 libro dei maccabei, 12, 43 et seq., cioè che Giuda Maccabeo mandò in Gerusalemme dodici mila dramme d'argento da impiegarsi in un sacrificio per li soldati uccisi nella guerra: Et facta collatione, duodecim millia drachmas argenti misi Ierosolymam offerri pro peccatis mortuorum sacrificium, bene et religiose de resurrectione cogitans... Et quia considerabat quod hi qui cum pietate dormitionem acceperant, optimam haberent repositam gratiam. Sancta ergo et salubris est cogitatio pro defunctis exorare ut a peccatis solvantur. Si noti: ut a peccatis solvantur.

9. Oppongono i novatori che questo libro de' maccabei non è canonico, non ritrovandosi nel canone degli ebrei. Si risponde che sebbene appresso gli ebrei questo libro non fu canonico, nondimeno tale è presso la chiesa cattolica; mentre nel concilio cartaginese III., nel can. 47, si numera tra i libri divini: così anche lo numera Innocenzo I.9 , e Gelasio papa nel decreto de' libri canonici che diè fuori in un concilio di settanta vescovi; così anche s. Agostino10 e s. Isidoro11 .

10. Oppongono per 2. che Giuda non parlava del purgatorio, ma solo della risurrezione, come apparisce dalle parole di sovra riferite: Bene et religiose de resurrectione cogitans. Si risponde che quantunque non si nomini ivi purgatorio, nondimeno ben si dichiara dal contesto: mentre Giuda fe' pregare espressamente per le anime di quei defunti acciocché fossero sciolte da' peccati, come in fine del detto


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capo 12, vers. 6 si legge: Sancta ergo et salubris est cogitatio pro defunctis exorare, ut a peccatis solvantur.

11. Si oppone per 3. che ivi non si parla di alcuna legge, ma solamente dell'esempio di Giuda, che fece pregare per li morti; né siamo noi obbligati a seguire l'esempio di un uomo perché si legge nella scrittura. Risponde il card. Bellarmino1 che l'argomento non si prende solamente dall'esempio di Giuda, ma dall'uso antico e dal solenne rito del testamento vecchio; mentre ivi si legge: Omnes qui cum Iuda erant ad preces conversi; e poi: Et facta collatione, Iudas misit etc. Il che significa che anche gli altri concorsero con Giuda a dar quel suffragio a' morti. Si aggiunge a ciò la testimonianza della stessa sacra scrittura, chiamando santa e salubre l'orazione che si fa per liberare i defunti da' loro peccati.

12. Si prova il purgatorio per ultimo da questo medesimo decreto del concilio, ove s'insegna che le anime ivi ritenute molto son giovate da' suffragi de' fedeli, e specialmente dalle messe: Animasque ibi detentas fidelium suffragiis, potissimum vero acceptabili altaris sacrificio iuvari. E il tutto si conferma dalla comune tradizione de' santi padri e dalla pratica universale della chiesa. Ecco come scrive s. Agostino, il quale, parlando del giovamento che i suffragi dei fedeli apportano a' morti2 , scrive: Orationibus s. ecclesiae et sacrificio salutari ex eleemosynis quae pro defunctorum spiritibus erogantur, non est dubitandum mortuos adiuvari. Hoc non est negandum, non est dubium, non est dubitandum; hoc enim a patribus traditum universa observat ecclesia. Ed in altro luogo aggiunge: Si nusquam in scripturis veteribus omnino legeretur, non pauca tamen est universae ecclesiae, quae in hac consuetudine claret, auctoritas; ubi in precibus sacerdotis quae Domino Deo ad eius altare funduntur locum suum habet etiam commendatio mortuorum3 . Tertulliano4 dice che la moglie prega per l'anima del marito suo defunto e gli implora sollievo ed in ogni anno offerisce nel giorno della di lui morte: Enim vero et pro anima eius orat, et refrigerium interim adpostulat ei..., et offert annuis diebus dormitionis eius. Di più lo stesso Tertulliano5 , parlando delle pratiche della chiesa, dice: Harum et aliarum disciplinarum si legem expostules, scripturarum nullam invenies (perché in verità di quelle non si troverà forse nelle scritture alcuna legge o sia precetto). Traditio tibi praetenditur auctrix, consuetudo confirmatrix, fides observatrix; e fra queste consuetudini annovera oblationes pro defunctis. Di più lo stesso autore6 parlando ad un marito a cui una moglie era morta e l'altra vivea, dice: Stabis ergo ad Deum cum tot uxoribus quot illas oratione commemoras, et offeres pro duabus et commemorabis illas duas per sacerdotem..., et ascendet sacrificium tuum libera fronte.

13. S. Cipriano7 scrive: Neque enim ad altare Dei meretur nominari in sacerdotum prece qui ab altari sacerdotes avocare voluit. E parla d'una persona defunta; dunque a' suoi tempi si pregava già per li defunti nell'altare. S. Gio. Grisostomo8 scrive: Non frustra ab apostolis sancitum est ut in celebratione venerabilium mysteriorum memoria fiat eorum qui discesserunt. Ed in altro luogo9 dice: Non frustra oblationes pro defunctis fiunt, non frustra preces, non frustra eleemosynae, ut nos mutuum iuvemus. Ed in altro luogo10 dice: Non est temere hoc excogitatum, nec frustra in memoriam mortuorum sacra mysteria celebramus... Nam, si Iobi illius liberos patris victima purgavit, quid dubites e nobis quoque, si pro dormientibus offeramus, solatii quiddam illis accessurum? S. Girolamo ne' commentarj sovra i proverbi in cap. 11 ove si dice: Mortuo homine impio, non erit ultra spes, scrive: Notandum autem quod etsi impiis post mortem spes veniae non est, sunt tamen qui de levioribus peccatis post mortem poterunt absolvi, vel poenis castigati, vel suorum precibus et eleemosynis missarumque celebrationibus. Se tali commentarj non sono di s. Geronimo, almeno si attribuiscono al ven. Beda.

14. S. Gregorio nisseno11 parlando degli uomini di buona vita, scrive: In praesenti vita sapientiae studio vel precibus purgatos, vel post obitum per expurgantis ignis fornacem expiatos, ad sempiternam felicitatem pervenire. Il Picenino temerariamente dice che questo passo del santo poco serve, mentre il nisseno sentiva cogli altri greci che anche le anime dei dannati un giorno usciranno dall'inferno. Ma lungi dal santo quella nera taccia di origenista; mentre egli in


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altro luogo1 dice così: Absurdum enim est... eos qui animi curam gerunt incertum mortis diem non advertere et ardorem excruciantis illius ignis qui in aeternum comburit (si noti) et nullum unquam refrigerium admittit. Di più s. Ambrogio, parlando della morte di Valentiniano, scrisse: Date manibus sacra mysteria, pio requiem eius poscentes affectu: animam piam nostris oblationibus prosequamur. Calvino non nega che i s. padri abbiano scritto esser tradizione apostolica che vi sia il purgatorio, ove le anime si purgano; ma audacemente dice ch'essi padri aliquid humani passi sunt, cioè, come vuol dire, nel dar credito a cose non vere o superstiziose. Ma veniamo alle opposizioni che fanno gli eretici all'assistenza del purgatorio.

15. Si oppone per 1. da' novatori che nella scrittura non si fa menzione che di due luoghi nell'altra vita, del paradiso e dell'inferno, non già del purgatorio: Si ceciderit lignum ad austrum aut ad aquilonem, in quocumque loco ceciderit, ibi erit2 . Si risponde che la scrittura ivi parla de' due ricettacoli eterni ove dopo il giudizio saranno collocate le anime allorché non vi sarà più purgatorio. Oltreché, rettamente dice il Bellarmino che di quelli che muoiono debitori delle sole pene temporali giustamente si dice che cadono all'austro della salute eterna, restando loro solamente a soddisfare i debiti temporali.

16. Si oppone per 2. quel passo dell'apocalisse, 14, 13, ove si dice: Beati mortui qui in Domino moriuntur! Amodo iam dicit spiritus ut requiescant a laboribus suis. Qui può rispondersi con s. Anselmo in questo luogo, il quale dice non intendersi ivi il tempo della morte, ma del giudizio finale, di cui tratta s. Giovanni ed a cui dice riferirsi quella parola amodo. Ma la miglior risposta si è il dire che il citato testo non s'intende di tutti coloro che muoiono in grazia, ma solo de' perfetti, che colla pazienza ed opere sante escono da questa vita pienamente purgati da ogni macchia.

17. Si oppone per 3. che nell'altra vita non si rimette alcun peccato, sì perché si sta in termine fuor di via; sì perché nell'altra vita non si luogo alla penitenza, e senza penitenza niun peccato vien rimesso. Si risponde (come dicono alcuni) che dopo la morte l'anima, ancorché non sia più in via, nondimeno, per l'amore perfetto a Dio e per la detestazione del peccato che nello stesso tempo concepisce, vien perdonata di ogni colpa. O pure (come dicono altri teologi) che le anime purganti in qualche modo ancora sono in via, non essendo ancora giunte al termine, che è il possesso della gloria beata; e perciò ben può in esse aver luogo la penitenza, per cui vengono lor rimesse le colpe. Ma la prima risposta sembra più adequata.

18. Si oppone per 4. che, rimettendosi la colpa per li meriti di Gesù Cristo, che sono d'infinito valore, non resta alcuna obbligazione di soddisfare la pena. Si risponde che quantunque si rimettano le colpe per li meriti di Cristo, nondimeno vuol la giustizia che resti a pagarsi la pena temporale non ancora soddisfatta. Ma si replica: se si ottiene la remissione delle pene per mezzo delle nostre soddisfazioni, dunque o dovrà dirsi che la pena de' peccati ci vien rimessa non già per la soddisfazione di Cristo, ma per le nostre opere soddisfattorie; o pure che ogni peccato vien rimesso per due soddisfazioni, una di Cristo e l'altra nostra. Si risponde che la soddisfazione di Cristo certamente basterebbe a liberarci da ogni obbligo di soddisfare, ma il Signore vuole che anche noi vi mettiamo la nostra soddisfazione; la quale in tanto vale a liberarci dalle pene dovute, in quanto prende la forza dalla soddisfazione di Gesù Cristo.

19. Si oppone per 5. che la pena è per la colpa; ove dunque non vi è più colpa, non può restare alcuna pena a soddisfarsi. Si risponde che col peccato si contraggono due debiti o sieno due reati, della colpa e della pena. Iddio rimette il reato della colpa al peccatore contrito, e l'ammette di nuovo alla sua amicizia e nello stesso tempo gli rimette la pena eterna; ma giustamente poi vuole ch'egli soddisfi la pena temporale: siccome un principale riceve il reo nella sua grazia, ma l'obbliga a pagar qualche pena.

20. Si oppone per 6. che lo stesso ricercasi per meritare che per soddisfare: ma nel purgatorio non si può meritare; dunque neppur soddisfare. Se risponde che quantunque nel purgatorio non si può meritare, giacché per meritare si richiede la libertà e l'esser viatore, ben si può pagare la pena, la quale non sarà meritoria, ma sarà bensì soddisfattoria. È vero che in questa vita dal Signore anche le opere soddisfattorie sono rimunerate, perché sono volontarie e perciò meritorie; ma nell'altra vita, ove si sta fuori di via, le anime non soddisfanno per propria elezione, ma son costrette per necessità a soddisfare e perciò non meritano.


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21. Si oppone per 7. il testo di Ezechiele1 : Si autem impius egerit poenitentiam... omnium iniquitatum eius quas operatus est non recordabor. Se dice Iddio che si dimentica delle iniquità del peccatore pentito, dunque non penserà di esigerne alcuna pena. Si risponde con Bellarmino che il non ricordarsi delle iniquità importa che il Signore non conservi più inimicizia col peccatore, ma non già che gli rimetta ogni pena dovuta.

22. Si oppone per 8. un altro testo di s. Paolo2 : Si domus terrenae nostrae habitationis dissolvitur, habemus domum non manufactam, aeternam in coelis. Dunque dopo morte non si va al purgatorio, ma al cielo. Si risponde collo stesso card. Bellarmino che qui l'apostolo vuol dire essere il cielo aperto dopo la morte, ma non già prima, come consta dalle parole che sieguono: Si tamen vestiti et non nudi inveniuntur. Ma gli altri che dopo la morte non si trovano vestiti della veste nuziale, cioè non perfettamente purgati, salvantur per ignem, come disse in altro luogo; vedi al num. 7.

23. Si oppone per 9. quel che dice s. Ambrogio3 Qui... hic non acceperit remissionem peccatorum, illic non erit, nimirum in patria beatorum. Dunque, dicono, non mai nell'altra vita si rimettono i peccati a chi in questa non sono stati rimessi: sicché, secondo s. Ambrogio, non vi è il purgatorio da noi creduto. Si risponde che il santo intende parlare di que' peccatori che escono da questa vita con colpe gravi, come è chiaro dalle parole seguenti del medesimo santo: Non erit autem, quia ad vitam aeternam non potuerit pervenire; vita aeterna remissio peccatorum est. La remissione de' peccati si chiama vita eterna inchoata.

24. Si domanda per 1. quale sia il luogo ove le anime si purgano. Vi sono tre opinioni: altri dicono che ciascuno soddisferà la pena in quello stesso luogo dove peccò. Ciò è molto probabile, se non per tutti, almeno per alcuni secondo i divini giudizj, siccome ve ne sono diversi esempj che si riferiscono dagli autori e specialmente da s. Gregorio. Altri dicono che il purgatorio è nello stesso luogo dell'inferno: il che anche è probabile. Né osta che ivi siano ancora i peccatori condannati a patire in eterno; ben possono stare in una stessa carcere quei che sono condannati in perpetuo e quei che sono ivi ritenuti per qualche tempo. Altri in fine dicono, e questa è l'opinione più comune, che il purgatorio sia un luogo a parte, superiore a quello dell'inferno, ma anche sotto terra, chiamato dalla chiesa lago profondo: Libera animas defunctorum de poenis inferni et de profundo lacu. Di più vogliono altri che il purgatorio di alcune anime macchiate di colpa non sia altro che l'esser prive della vista di Dio. Riferisce il ven. Beda che fu veduta un'anima stare in un luogo ameno, ma fuori del cielo: e di ciò Dionigi cartusiano ne apporta più esempi; e il Bellarmino dice parimente ciò non essere improbabile.

25. Si ricerca per 2. quanto durino le pene del purgatorio. Origene4 dice che dopo il giorno della resurrezione le anime abbiano bisogno di un sacramento che intieramente le purghi per entrar nella gloria, ma questa opinione ben viene confutata da s. Agostino5 che scrive non esservi altre pene da soddisfarsi, se non prima del giudizio finale. All'incontro Domenico Soto dice che le pene del purgatorio non oltrepassano il tempo di dieci anni per la gravezza di quelle: ma questa opinionepure sembra probabile; perché sebbene può Iddio, con accrescere l'intenzione delle pene, far che un'anima resti purgata da tutti i suoi peccati, come forse avrà fatto con più anime; ordinariamente nondimeno nel purgatorio i gran peccatori vi staranno a patire per più di dieci, di venti e più anni, secondo ci additano le molte visioni che si leggono presso Beda6 ove si narra che più anime stavano condannate a patire sino al giorno del giudizio. Si conferma ciò dalla pratica della chiesa, la quale vuole che non si lascino i suffragi lasciati da' defunti, ancorché quelli siano morti da cento o dugento anni.

26. Si cerca per 3. con quali pene siano le anime purgate nel purgatorio. Lutero voleva che fossero tormentate colla disperazione; ma ciò è falso. Alcuni cattolici poi vogliono che certe anime sono afflitte colla sola pena dell'incertezza della loro salute; ma il Bellarmino, colla comune de' teologi, saviamente dice che ogni anima nel purgatorio è certa di esser salva. La ragione si è, perché ciascuna nel giudizio particolare vien certificata della sua salute o perdizione eterna: e la certezza della salute, scrive s. Bonaventura che molto allevia la pena di quelle sante anime; lo stesso amore di cui son piene verso Dio le fa certe che son salve. È certo inoltre che la loro maggior pena è quella del danno, cioè l'essere ritardate


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dalla vista di Dio. È certo ancora che patiranno la pena di senso; poiché, essendovi in ogni peccato la conversione alle creature, è giusto che dalle creature siano punite. Circa il dubbio poi se il fuoco del purgatorio sia corporeo o pure metaforico, come di timori, di angustie o di rimorsi di coscienza, secondo vogliono alcuni, la chiesa in ciò niente ha definito: ma, come scrive il Bellarmino, la sentenza comune de' teologi è che sia vero fuoco materiale. S. Gregorio1 espressamente scrive che quel fuoco sia corporeo; e lo stesso sente s. Agostino2 . Si aggiunge che nella scrittura le pene de' peccatori nell'altra vita si chiamano fuoco; ed è regola a tutti nota che le parole della scrittura debbonsi prendere letteralmente, sempre che possono letteralmente spiegarsi.

27. Si cerca di più se le anime purganti sieno tormentate realmente da' demonj: s. Tomaso3 dice che no; perché avendo elle superati i demonj in questa vita, non conviene che da essi vengano più cruciate. Ciò non ostante vi sono molte rivelazioni presso il Cartusiano e presso il ven. Beda e s. Bernardo, nelle quali si legge che le anime purganti sono anche da' demonj afflitte.

28. Circa poi la gravità delle pene del purgatorio, scrive s. Agostino4 parlando della pena del fuoco: Gravior tamen ille ignis quam quidquid potest homo pati in hac vita. Lo stesso dice s. Gregorio, e lo stesso confermano le rivelazioni di Beda e di s. Brigida. E s. Tomaso5 scrive che la minima pena di senso del purgatorio supera ogni massima pena di questa vita, e ciò oltre la pena di danno che certamente così nell'inferno come nel purgatorio, avanza immensamente ogni pena di senso. Nondimeno s. Bonaventura6 scrive che non ogni pena del purgatorio è più grande delle pene di questa vita: la quale sentenza piace al Bellarmino; perché, quantunque la privazione della vista di Dio sia una gran pena, ella non però vien molto mitigata dalla certezza di doverlo un giorno godere: e soggiunge che siccome si avvicina per ogni anima il fine del suo purgatorio, così la pena si va alleviando. Ed a ciò concerne quel che dice s. Agostino7 : Minimam poenam damni, si tamen aeterna sit, maiorem esse omnibus poenis huius vitae. Nota: si tamen aeterna sit; dunque anche la pena del danno nel purgatorio non sarà sempre maggiore di tutte le pene di questa vita.




1 - Sess. 6. can. 50.

2 - Vera chiesa, t. 2. par. 1. p. 519.

3 - Apoc. 21.

4 - De anima c. ult.

1 - L. 21. de civ. Dei, c. 24. et l. 6. ad Iul. c. 5.

2 - L. 4. dial. c. 39.

3 - In c. 3. Marci.

4 - Hom. 66. in cantic.

5 - 1. Cor. 3. 12.

6 - L. de fide et op. c. 16. Enchir c. 68.

7 - Serm- 20. in ps. 118.

8 - In 4. c. Amos.

9 - Ep. ad Exuper. c. ult.

10 - L. 18. de civ. Dei, c. 36.

11 - L. 6. etymol. c. 1. de verb. Dei; v. c. 1. et 15.

1 - L. 1. de purgat.

2 - Ser. 32. de verb. apost.

3 - L. de cura pro mort. c. 1.

4 - De monogamia c. 10.

5 - De corona milit. c. 3.

6 - L. de exhort. ad castit. c. 11.

7 - L. 1. ep. 9.

8 - Hom. 3. in ep. ad P?.

9 - Hom. 21. in Acta.

10 - Hom. 41. in?.

11 - Orat. de mortuis.

1 - Orat. de M. Magd.

2 - Eccl. 11. 3.

1 - 18. 21. et seq.

2 - 2. Cor. 5. 1.

3 - L. de bono mort. c. 2.

4 - T. 14. in Lucam.

5 - L. 21. de civ. Dei. c. 16.

6 - L. 5 historiar.

1 - L. 4. dialog. c. 29.

2 - De civ. Dei, l. 2. c. 20.

3 - In 4. sent. dist. 20. a. 1. ad 5.

4 - In p. 37.

5 - In 4. dist. 20. q. a. 2.

6 - In 4. dist. 20. a. 1. qu. 2.

7 - In Enchirid. c. 112.




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