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Sant'Alfonso Maria de Liguori
Pratica del confessore

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§ IV - Circa l'officio di giudice

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 L'officio finalmente che il confessore ha di giudice importa che come il giudice è tenuto prima a sentire le ragioni delle parti, poi ad esaminare i meriti della causa e finalmente a dar la sentenza, così il confessore per prima deve informarsi della coscienza del penitente, indi deve scorgere la sua disposizione, e per ultimo dare o negare l'assoluzione.

E circa il primo obbligo d'informarsi de' peccati del penitente, benché l'obbligo dell'esame principalmente al penitente s'appartenga, però (checché alcuni dd. si abbiano detto)52 non deve dubitarsi che 'l confessore, scorgerdo non essersi a sufficienza esaminato il penitente, è obbligato egli ad interrogarlo, prima de' peccati ch'ha potuto commettere, e poi delle loro specie e numero, come si


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prova dal testo in c. Omnis utriusque sexus, de Poenit. etc., e dal Rituale Romano.53

20. E qui bisogna avvertire più cose.

Per I. che mal fanno quei confessori che licenziano i rozzi, affinch'essi meglio esaminino la loro coscienza. Ciò il p. Segneri54 lo chiama un errore intollerabile: e con ragione, perché questi tali, per quanto si affatichino, difficilmente si esaminano abbastanza e così bene come allora


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può esaminarli il confessore; ed inoltre, essendo licenziati, v'è pericolo che, atterriti dalla difficoltà d'esaminarsi, si ritraggano dal confessarsi e restino in peccato (6, 607, v. Notamus autem 1). Onde il confessore a questi tali dev'egli stesso fare l'esame, interrogandoli secondo l'ordine de' precetti, specialmente se sono garzoni, vetturali, cocchieri, servidori, soldati, birri, tavernai e simili persone che sogliono vivere trascurate della salvezza ed ignoranti delle cose di Dio, perché poco si accostano alle chiese e tanto meno sentono prediche. E maggior errore sarebbe mandare indietro ad esaminarsi alcuno di tali rozzi che per rossore avesse lasciati i peccati, benché avessero a replicarsi le confessioni di molti anni, per lo maggior pericolo che allora vi è, cioè che costui non torni e si perda. Avverta però il confessore a non esser troppo minuto nell'interrogar questi tali; gl'interroghi solamente de' peccati usuali, secondo la loro condizione e capacità (Ibid. 3). E quando il penitente, benché rozzo, par che già bastantemente sia istruito e diligente nel confessarsi i peccati colle loro circostanze, secondo il suo stato e secondo la sua capacità (poiché d'altro modo è obbligato ad esaminarsi uno ch'è colto, d'altro chi è rozzo), allora il confessore non è tenuto ad interrogarlo d'altro (Ibid. 2).

Per II. notisi esser meglio che 'l confessore esamini singolarmente i peccati secondo li riferisce il penitente che riserbarsi in fine d'esaminarli tutt'insieme; perché in fine o facilmente il confessore si dimenticherà delle materie intese, o dovrà obbligare il penitente con gran peso a ripetere le cose già confessate. (Ibid. 4).

Per III. errano quei confessori che vogliono far giudizio della qualità del peccato, che sia grave o leggiero, con


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dimandare a questi penitenti rozzi se lo tenevano per mortale o veniale; questi tali rispondono a caso e ciò che prima lor viene in bocca; e ciò si vede coll'esperienza (come ho veduto io milioni di volte) che, se poco appresso il confessore replica loro la dimanda, dicono tutto il contrario.

Per IV. circa il numero de' peccati in coloro che sono abituati, quando non può aversi il numero certo, cerchi il confessore di pigliare lo stato del penitente, cioè il modo di vivere, l'applicazione avuta ad altri affari, il tempo della conversazione col complice, il luogo dove per lo più ha fatto dimora ed indi faccia l'interrogazione del numero, dimandando al penitente quanto più o meno ha peccato nel giorno o nella settimana o nel mese; mettendogli avanti diversi numeri, per esempio, tre o quattro volte, o pure otto o dieci, per vedere a qual numero il penitente s'appiglia; e se il penitente s'appiglia al numero maggiore, è bene di nuovo interrogarlo d'un maggior numero. Ma in ciò avverta il confessore a non far giudizio certo: noti la frequenza in generale, ed in confuso faccia il giudizio, prendendo i peccati per quanti sono avanti a Dio. Dicono alcuni dd. che ne' peccati interni degli abituati, come sono d'odio, compiacenze sensuali e desideri basta ordinariamente domandare il tempo in cui ha durato la mal'abitudine: ma ciò non appieno mi soddisfa, perché uno sarà più applicato d'un altro, o pure sarà in luogo dove avrà meno occasioni di far mali pensieri; qualcuno sarà più preso dalla passione d'un altro; e perciò bisogna far queste dimande in generale dell'applicazione, del luogo, della passione etc., per far giudizio almeno della maggiore o minore frequenza di questi atti interni. Del resto,


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dopo due o tre interrogazioni, non deve angustiarsi il confessore, se gli pare che 'l giudizio che fa è molto confuso; poiché dalle coscienze imbrogliate e confuse è moralmente impossibile lo sperarne maggior chiarezza.

Per V. bisogna avvertire che, sebbene le confessioni generali sono utilissime, però non deve il confessore esser troppo rigoroso a far ripetere le confessioni già fatte; poiché55 la presunzione sta per la loro validità, sempreché la loro nullità non apparisce certa (6, 505). Onde dice il p. Segneri56 non esservi obbligo di ripetere le confessioni, se non in caso di chiara necessità ed in cui sia manifesto l'errore. Né le ricadute son certo segno d'essere state nulle le confessioni fatte, specialmente se la persona si è trattenuta qualche tempo a non ricadere, o pure se prima di ricadere ha fatta qualche notabile57 resistenza. Altrimenti però deve giudicarsi se 'l penitente per lo più è ricaduto subito, come fra due o tre giorni dopo la confessione fatta e senza alcuna resistenza, perché allora pare che sia moralmente certa la mancanza del pentimento e del proposito.




52 T. Lohner, Instructio practica de confessionibus, Venetiis 1, 3, 2, Quaer. 1 (Opera all'Indice).



53 Tit. 3, c. I, 12 e 16. Quanto alla integrità della confessione vedere cann. 988-989 e cfr. can. 960. "Il concilio di Trento dichiarò con magistero solenne che, per avere la piena e perfetta remissione dei peccati, si richiedono nel penitente tre atti come altrettante parti del sacramento, cioè la contrizione, la confessione e la soddisfazione: dichiarò, altresì, che l'assoluzione data dal sacerdote è un atto di natura giudiziaria e che, per diritto divino, è necessario confessare al sacerdote tutti e singoli i peccati mortali nonché le circostanze che modificano la specie dei peccati, dei quali uno si ricordi dopo un accurato esame di coscienza. (Cf. Sess. XIV, Canones de sacramento paenitentiae 4, 6-9: D-S 1704, 1706-1709.)... Dev'essere fermamente ritenuta e fedelmente applicata nella prassi la dottrina del concilio di Trento. È da riprovare, pertanto, la consuetudine che di recente è apparsa qua e là, per la quale si pretende di poter soddisfare al precetto di confessare sacramentalmente i peccati mortali, al fine di ottenere l'assoluzione, con la sola confessione generica o—come dicono—celebrata in forma comunitaria. Questo urgente dovere è richiesto non solo dal precetto divino, come è stato dichiarato dal concilio di Trento, ma anche dal grandissimo bene delle anime, che, per secolare esperienza, deriva dalla confessione individuale, quando è ben fatta e bene amministrata. La confessione individuale e completa con l'assoluzione resta l'unico mezzo ordinario, grazie al quale i fedeli si riconciliano con Dio e con la Chiesa, a meno che un'impossibilità fisica o morale li scusi da una tale confessione". S. C. pro Doctrina Fidei, Sacramentum paenitentiae, 16 giugno 1972 (AAS 64, 510-514; Ench. Vat., 4, 1653 e 1655). (A. M.).



54 Il confessore istruito, 2, in Opere, Torino, Società Tipografico-Libraria, 1833, XI, p. 239.

55 Praxis omette: poiché... certa.



56 Ibid. p. 236.



57 Praxis non traduce quest'aggettivo.




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