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Sant'Alfonso Maria de Liguori
Pratica del confessore

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CAPITOLO V - COME DEBBA PORTARSI IL CONFESSORE COGLI ABITUATI E RECIDIVI

65. Bisogna distinguere gli abituati da' recidivi.

Gli abituati son quelli che han contratto l'abitudine in qualche vizio, del quale non ancora si son confessati. Or questi, come dicono i dottori (6, 459), ben possono assolversi la prima volta che si confessano della mal'abitudine, o pure, quando se ne confessano dopo averla ritrattata; purché sian disposti con un vero dolore e con un proposito risoluto di prendere i mezzi efficaci per emendarsi; ma quando l'abitudine fosse molto radicata, può benanche il confessore differire l'assoluzione,1 per fare esperienza come si porta il penitente nel praticare i mezzi assegnati ed affinché prenda egli più orrore al suo vizio.

Avvertasi che cinque volte il mese può già costituire la mal'abitudine in qualche vizio di peccati esterni, purché tra loro vi sia qualche intervallo. Ed in materia di fornicazioni, sodomie e bestialità molto minor numero può costituire l'abitudine: chi per esempio fornicasse una volta il mese per un anno, ben questi deve dirsi abituato.

I recidivi al contrario son quelli che dopo la confessione son ricaduti nella stessa o quasi stessa maniera senza emenda.2 Questi, come comunemente s'insegna (6,


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459, v. Recidivus) non possono essere assolti coi segni ordinari, cioè col solo confessarsi e dire che si pentono e propongono, come si ha dalla proposizione 60 condannata da Innocenzo XI3. Poiché l'abitudine fatta e le ricadute passate senza alcuna emenda danno gran sospetto che il dolore e 'l proposito che 'l penitente asserisce avere non siano veri. Onde a costoro si deve differir l'assoluzione per qualche tempo, sino che si scorga qualche prudente segno d'emenda. Ed in questo punto è cosa da piangere il vedere la gran ruina che cagionano tanti mali confessori nell'assolvere indistintamente questi recidivi i quali, vedendosi così sempre facilmente assolti, perdono l'orrore al peccato e seguitano a marcire nelle male abitudini sino alla morte.

Alcuni dottori ammettono che 'l recidivo ben può assolversi con i segni ordinari sino alla terza e quarta volta, ma a questa opinione io non ho potuto mai accordarmi,


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mentre l'abituato ch'è ricaduto dopo una sola confessione senza emenda già è vero recidivo e sospetto fondato della sua indisposizione.

E notisi qui che questa regola corre anche per li peccati veniali, poiché sebbene comunemente si ammette che più facilmente possono assolversi quei che ricadono negli stessi peccati veniali, per esservene l'occasioni più frequenti, tuttavia, essendo comune la sentenza (6, 449, v. Sed dubitatur 1.) che sia peccato grave e sacrilegio il confessarsi di colpe leggiere senza vero dolore e proposito, né bastando4 il dolersi della moltitudine o sia numero eccessivo di tali colpe senza dolersi d'alcuna in particolare, come abbiamo ritenuto (Ibid. Dubitatur 2.) contro l'opinione d'alcuni, deve facilmente temersi che tali confessioni siano sacrileghe o almeno invalide5. Onde avverta il confessore a non assolvere indistintamente tali penitenti, mentre allora, sebbene quelli stiano in buona fede, egli però non sarà scusato dal sacrilegio, dando l'assoluzione a chi non è disposto. Procuri pertanto, se vuole assolverlo, o di disporre il penitente a dolersi specialmente di qualche colpa veniale, a cui tenga più orrore, o pure di fargli dire qualche peccato della vita passata contro


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qualche virtù (basta che lo dica in generale)6, per aver la materia certa su cui possa appoggiare l'assoluzione; altrimenti anche a costui bisogna differir l'assoluzione per qualche tempo.

Dico per qualche tempo, poiché tanto a' recidivi di colpe leggiere, quanto di colpe gravi, non è necessaria la dilazione di anni o mesi, come troppo rigidamente vuole il Giovenino7, ma basterà regolarmente, se il peccato nasce da fragilità intrinseca, il tempo di otto o dieci giorni, come dice il dotto Autore dell'Istruzione per li novelli confessori, stampata in Roma8; e lo stesso scrive l'Autore dell'Istruzione per li confessori di terre e villaggi9, dove cita per questa dottrina Ludovico Habert10. E soggiungono i suddetti autori essere eccessiva e pericolosa la dilazione d'un mese, perché dopo tanto tempo è difficile che tornino tali penitenti; ed a questo sentimento favorisce Benedetto XIV11 il quale parlando de' confessori che giustamente differiscono l'assoluzione a' penitenti, così poi li esorta: Illos quantocius ut revertantur invitent


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ut, sacramentale forum regressi, absolutionis beneficio donentur12. Al sommo (io dico) può differirsi a costoro l'assoluzione per quindici o venti giorni; ma bisogna eccettuarne coloro che si confessano in tempo del precetto pasquale, mentre a costoro bisogna l'esperienza di maggior tempo che di 8 o 10 giorni, potendosi giustamente sospettare che questi si astengano dal ricadere più per rispetto di non incorrere nella censura13 che per vera risoluzione di mutar vita. Bisogna anche eccettuarne coloro che cadono per occasione prossima estrinseca, poiché questi abbisognano di maggior esperienza, essendo l'occasione (come s'è detto nel capitolo precedente) un incentivo più forte al peccato. Tuttavia sempre basterà l'esperienza d'un mese; ma il confessore non dica al penitente che si trattenga un mese a ritornare, perché questi si spaventerà a sentir tanta dilazione: dica che torni fra otto o al più fra quindici giorni, e così con bel modo lo trasporterà a ricever l'assoluzione in fine del mese.

66. Sicché per assolvere i recidivi non bastano i segni ordinari, ma vi bisognano gli straordinari di dolore e di proposito: i quali segni al contrario, secondo la comune (6, 459, v. Recidivus), son certamente sufficienti a dar


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l'assoluzione; poiché il segno straordinario (purché sia solido e fondato) toglie il sospetto dell'indisposizione cagionato dalle ricadute.

Ben dissero i vescovi della Fiandra congregati nello anno 1697 in un decreto fatto per la direzione de' confessori delle loro diocesi, parlando di questo punto: Deum in conversione peccatoris non tam considerare mensuram temporis quam doloris14. Onde proibirono a' confessori l'esigere per legge stabile da' penitenti anche recidivi l'esperienza di tempo notabile prima di dar loro l'assoluzione. E con ragione, poiché non è l'unico segno della volontà mutata la sola pruova del tempo, mentre la volontà del peccatore si muta per virtù della grazia divina, la quale non ricerca tempo, ma opera alle volte in un istante; perlocché la mutazione della volontà ben può conoscersi per altri segni senza l'esperienza del tempo. Anzi gli altri segni della disposizione attuale del penitente tal volta manifestano la mutazione della sua volontà molto meglio che la pruova del tempo: poiché tali segni dimostrano direttamente la disposizione, dove che l'esperienza la dimostra solo indirettamente, accadendo non di rado che alcuno siasi per lungo tempo astenuto dal peccare, e con tutto ciò sia ancora indisposto.


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Onde dice l'Autore mentovato dell'Istruzione per li novelli confessori15: Se la ricaduta nasce dalla propria fragilità, senz'altra causa estrinseca volontaria, è quasi temerità il dire che ogni ricaduto sia indisposto. Ed altrove16 dice che 'l ricaduto per forza della mal'abitudine deve assolversi sempreché dimostra ferma volontà di usare i mezzi per emendarsi, aggiungendo: E giudichiamo che 'l fare altrimenti sia troppo rigore, e che 'l confessore, facendolo, s'allontanerebbe dallo spirito della Chiesa… e del Signore… e dalla natura del sagramento, il quale non solamente è giudizio, ma è medicinasalutare.

67. Diversi poi sono questi segni, come insegnano i dd. (6, 460): I. Maggior dolore manifestato per lagrime (purché siano di vera compunzione) o per parole ch'escano dal cuore, le quali alle volte ben possono essere segni più certi che le lagrime17. II. Il numero diminuito de' peccati (s'intende quando il penitente si è trovato nelle stesse occasioni e tentazioni di peccare); o pure se 'l penitente dopo l'ultima


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confessione si è mantenuto in grazia molto tempo, per esempio 20 in 30 giorni, dove prima solea cadere più volte la settimana, o pure se fosse caduto dopo un gran contrasto colla tentazione o pure se prima di venire al confessarsi, per lungo tempo si fosse astenuto dal peccato mortale abituato.

III. La diligenza usata per l'emenda, come sarebbe se 'l penitente ha fuggita l'occasione, se ha adempiuti i mezzi prescritti dal confessore; ovvero ha fatti digiuni, limosine, orazioni, ha fatto dir Messe per farsi una buona confessione18. IV. Se egli cerca allora rimedi o nuovi mezzi per emendarsi, o se promette di adempire i mezzi che allora gli il confessore, massimamente se non è stato mai avvertito dagli altri a prenderli; ma a queste promesse di rado può aversi tanta fede che basti, se non vi è qualche


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altro segno, mentre i penitenti, per aver l'assoluzione, facilmente promettono, ma difficilmente poi l'attendono.

V. La confessione spontanea, cioè se 'l penitente viene, non già a soddisfare al precetto pasquale, né per certo pio uso di confessarsi in alcune feste, come di Natale, della Beata Vergine e simili; né viene spinto da' genitori o dal padrone o dal maestro, ma viene affatto volontariamente e veramente inspirato da lume divino a solo fine di ricevere la divina grazia; specialmente se per confessarsi ha fatto un lungo viaggio o si è astenuto da un lucro notabile o ha sopportato un grande incomodo o ha superato un gran contrasto interno o esterno.

VI. S'è venuto spinto da qualche straordinario impulso, come per aver udita la predica o la morte di qualche paesano o per timore di qualche flagello imminente, terremoto, peste, ecc.19.


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VII. Se si confessa di peccati gravi lasciati per vergogna nelle altre confessioni.

VIII. Se per l'ammonizione del confessore manifesta di avere appresa una nuova cognizione ed orrore del suo peccato o del pericolo di sua dannazione.

IX. Se il penitente prima di confessarsi avesse restituita la roba o fama tolta.

Altri aggiungono altri segni: come se 'l penitente accetta volentieri una gran penitenza; se asserisce essersi subito pentito dopo aver fatto il peccato; se si protesta di voler morire piuttosto che peccare. Ma questi segni non so se possono bastare soli; piuttosto dico che potrebbero servire ad aiutare altri segni i quali soli non basterebbero.


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68. In somma, sempreché v'è qualche segno per cui possa prudentemente giudicarsi che la volontà del penitente siasi mutata, ben può essere assolto: poiché sebbene il confessore per assolverlo dev'essere moralmente certo della sua disposizione, tuttavia si ha da avvertire che negli altri sagramenti, dove la materia è fisica, fisica dev'essere anche la certezza; ma in questo sagramento della penitenza, essendo la materia morale, come sono gli atti del penitente, basta la certezza morale o sia rispettiva, come si è provato, cioè basta che 'l confessore abbia una prudente probabilità della disposizione del penitente senz'alcun prudente sospetto in contrario20; altrimenti difficilmente mai potrebbesi alcun peccatore assolvere, poiché tutti i segni de' penitenti altro non fondano che una probabilità della loro disposizione.

Non ricercasi altro (dice l'Autore dell'Istruz. per li nov. conf.)21per amministrare la Penitenza, che un giudizio prudente e probabile della disposizione del penitente… onde… se le circostanze… non fondano un dubbio prudente ch'egli non sia sufficientemente disposto, non deve il confessore inquietare se stesso né il penitente per averne l'evidenza che non è possibile (part. I, n. 360).

Si avverta circa la mal'abitudine che più facilmente possono assolversi i recidivi nelle bestemmie che negli altri peccati di odi, disonestà e furti, a' quali l'abitudine più radicalmente si attacca per ragione della maggior concupiscenza che vi interviene.


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S'è detto che 'l confessore può dar l'assoluzione allo abituato e recidivo quando è disposto col segno straordinario; ma non si dice che sia obbligato, perché può ancora differirgliela, quando lo stima conveniente, come comunemente s'insegna (6, 462); poiché sebbene il penitente ha jus all'assoluzione dopo la confessione fatta de' suoi peccati, tuttavia non ha jus di essere subito assolto, mentre il confessore come medico ben può, anzi alle volte è tenuto a differir l'assoluzione, quando giudica esser tal rimedio necessariamente utile alla salvezza del suo penitente22. Se poi sia conveniente di usare ordinariamente questo rimedio o no, senza il consenso del penitente, è certo che no quando la dilazione può apportare più danno che profitto; e lo stesso dicesi da' dd. quando dalla dilazione il penitente avesse a patirne qualche nota o pericolo d'infamia (6, 463). Fuori poi di questi casi, alcuni vogliono esser meglio di differir l'assoluzione a tali recidivi, altri più comunemente che ciò di rado sia conveniente; e di tal sentimento è stato anche il gran missionario de' nostri tempi il p. Leonardo da Porto Maurizio nel suo bel Discorso mistico e morale, dato alle stampe in Roma23. Meglio però è il dire che in tal punto non può stabilirsi regola certa, ma il confessore deve regolarsi secondo le circostanze occorrenti. Egli si raccomandi a Dio, e secondo si sente ispirato, così faccia. Il mio sentimento è questo: Dico colla sentenza comunissima de' dd. (Ibid. v. Ut


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autem) che se il penitente è ricaduto per fragilità intrinseca, (come accade ne' peccati d'ira, d'odio, di bestemmie, di polluzioni o dilettazioni morose), stimo che di rado giovi il differir l'assoluzione al recidivo quand'è disposto, poiché deve sperarsi che più giovi a costui la grazia del sagramento che la dilazione dell'assoluzione.

69. Dico; per fragilità intrinseca, perché altrimenti devesi praticare con chi è ricaduto per occasione estrinseca, benché necessaria: essendoché l'occasione eccita pensieri assai più vivaci, e la presenza dell'oggetto24 commuove molto più i sensi e rende più intenso l'affetto al peccato che non fa la mal'abitudine intrinseca; e perciò il penitente ha da farsi una gran forza non solo per vincer la tentazione, ma anche per allontanarsi dalla familiarità e presenza dell'oggetto25 affinché il pericolo da prossimo rendasi rimoto. E tanto più ciò corre se l'occasione è volontaria e deve affatto togliersi; perché allora chi riceve l'assoluzione prima di toglier l'occasione, come abbiam dimostrato nel capitolo precedente al n. 64, sta in gran pericolo di rompere il proposito di rimoverla.


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Nell'abituato, al contrario, per cagione intrinseca è più rimoto il pericolo di violare il proposito, mentre da una parte non v'è l'oggetto estrinseco che sì violentemente lo spinga al peccato, e dall'altra a lui non è volontario il ritenere la sua mal'abitudine26, com'è volontario il non toglier l'occasione27; onde al mal'abituato in tal bisogno Dio maggiormente soccorre, e perciò più che dal differirgli l'assoluzione può sperarsi l'emenda dalla grazia del sagramento, che lo renderà più forte e renderà più efficaci i mezzi ch'egli adoprerà per estirpare la mal'abitudine.

E perché mai, dicono giustamente i Salmaticesi (p. 5, q. 86, a. 5, ed. I)28 si deve maggiormente sperare che ad un peccatore il quale non ha la grazia giovi la dilazione dell'assoluzione che non giovi ad un amico di Dio l'assoluzione per cui riceve la grazia? E 'l cardinal Toledo29, parlando precisamente del peccato di mollizie,


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stima egli che per tal vizio non vi è rimedio più efficace che lo esso fortificarsi col sagramento della penitenza; e soggiunge che questo sagramento è il freno più grande a chi commette tal peccato; e chi non l'usa, dice che non si prometta l'emenda se non per miracolo. Ed in fatti san Filippo Neri, come si legge nella sua vita, massimamente di questo mezzo della frequente confessione servivasi a pro' de' recidivi in tal vizio30. A ciò ben anche conferisce quel che dice il Rituale Romano, trattando della Penitenza: In peccata facile recidentibus utilissimum erit consulere ut saepeconfiteantur et, si expediat, communicent31. E, dicendo facile recidentibus, intende certamente parlare di coloro che non ancora hanno estirpato l'abitudine32. Alcuni autori, che per la sola via del rigore par che vogliano salvare l'anime, dicono che tutt'i recidivi si fanno peggiori quando sono assolti prima d'emendarsi. Ma io vorrei sapere da questi miei maestri se tutti i recidivi, quando son licenziati senza l'assoluzione, privi della grazia del sagramento, tutti diventano più forti e tutti si emendano. Quanti io ne ho conosciuti nel corso delle missioni ch'essendo loro stata negata l'assoluzione, si sono


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abbandonati alla mala vita ed alla disperazione e per molti anni non si sono più confessati?

Del resto, torno a dire, ognuno deve guidarsi in ciò secondo il lume che il Signore gli concede. Questo è certo che in tal materia tanto errano quelli che più del giusto son facili, che quelli che son difficili ad assolvere. Molti per la troppa facilità son cagione che tante anime si perdano: e non può negarsi che questi siano in maggior numero e facciano maggior danno, poiché a costoro si accostano in maggior numero i mali abituati. Ma altri per lo troppo rigore anche sono di gran danno. E non so se un confessore si debba fare solamente scrupolo quando assolve gl'indisposti, e non anche quando licenzia i disposti senza assolverli.

Conchiudo qui col dire il mio sentimento in tal punto. Dico in primo luogo e non nego che qualche volta ben può giovare anche al recidivo disposto il differirgli l'assoluzione. Dico in secondo che sempre gioverà che 'l confessore l'atterrisca col fargli mostra come non potesse assolverlo. Dico per ultimo che, ordinariamente parlando, a' recidivi per fragilità intrinseca e disposti per qualche segno straordinario, più gioverà il beneficio dell'assoluzione che la dilazione.

Volesse Dio che i confessori assolvessero i recidivi solamente allora che portano segni straordinari! Il mal'è che la maggior parte, per non dire la massima, de' confessori universalmente assolvono i recidivi senza distinzione, senza segno straordinario, senza ammonirli e senza dar loro almeno qualche rimedio per emendarsi; e da ciò veramente nasce (non già da assolvere i disposti), la ruina universale di tante anime.


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70. Ciò però che si è detto parlando comunemente per gli abituati e recidivi non corre già per gli ordinandi abituati in qualche vizio (specialmente nel peccato d'impurità) che vogliono ascendere a qualche ordine sacro33; poiché per costoro corre altra ragione.

Il secolare abituato può essere assolto sempre ch'è disposto per ricevere il sagramento della penitenza: ma l'ordinando abituato, se egli vuole prender l'ordine sacro, non basta che sia disposto per lo sagramento della penitenza, ma bisogna che sia anche disposto per ricevere il sagramento dell'ordine, altrimenti non sarà disposto né per l'uno né per l'altro, mentr'essendo indegno di salir sull'altare colui che appena esce dallo stato di peccato e non ha la bontà positiva necessaria all'altezza dello stato in cui vuol porsi, egli pecca, se senza questa vuol prendere l'ordine sacro, sebbene si metta in grazia. Onde allora il confessore non può assolverlo, se non promette di astenersi dal prender l'ordine, al quale non potrà ascendere se non dopo la prova di molto tempo, almeno di più mesi34.


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Ciò sta pienamente provato nella dissertazione posta nel Libro (6, 63 - 77) colla comune sentenza de' dd. ivi riferiti, i quali dicono che per ascendere agli ordini sagri non basta la bontà comune, cioè l'essere semplicemente esente da peccato grave, ma vi bisogna una bontà speciale, per cui sia il soggetto depurato dalle mal'abitudini, come


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insegna s. Tommaso: Sacri ordines praeexigunt sanctitatem… unde pondus ordinum imponendum est parietibus iam per sanctitatem desiccatis… id est… ab humore vitiorum (2 - 2, q. 189, a. 1, ad 3)35. E la ragione si è, perché, se l'ordinando non ha questa bontà speciale, è indegno d'esser costituito sopra la plebe ad esercitare gli altissimi ministeri dell'altare: Sicut illi (parla lo stesso santo Dottore) qui Ordinem suscipiunt super plebem constituuntur gradu ordinis, ita et superiores sint merito sanctitatis36 (Suppl. q. 35, a. 1, ad 3). Ed in altro luogo più espressamente assegna la suddetta ragione: Quia per sacrum ordinem aliquis deputatur ad dignissima ministeria, quibus ipsi Christo servitur in sacramento Altaris, ad quod requiritur major sanctitas interior quam requirat etiam religionis status37 (2 - 2, q. 184, a. 8, c.).

Non per tanto se n'eccettua il caso quando il Signore desse a taluno una compunzionestraordinaria che lo guarisse dalla sua primiera debolezza; poiché, come dice il medesimo Angelico: Quandoque tanta commotione converti


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(Deus) cor hominis ut subito perfecte consequatur sanctitatem spiritualem38 (3, q. 86, a. 5, ad 1).

È vero che tali conversioni son rare, e specialmente negli ordinandi, sebbene vengano a far gli esercizi chiusi in qualche casa religiosa, perché questi per lo più vengono a forza; ma quando veramente alcuno ricevesse una tal grazia da Dio (le cui misericordie sono ammirabili) che lo rendesse talmente mutato che sebbene sentisse ancora qualche moto pravo ne' sensi, tuttavia si ritrovasse con un grande orrore al peccato e si sentisse già notabilmente diminuito l'ardore della concupiscenza, sì che, avvalorato dalla grazia, facilmente già resistesse alle tentazioni, e da altra parte stesse fermamente risoluto per l'avvenire non solo di fuggire i peccati e le occasioni, ma anche di prendere i mezzi più opportuni per vivere da buon sacerdote e già avesse cominciato ad aiutarsi con pregare istantemente il Signore per la perseveranza, con una grande e tal confidenza in Dio che lo rendesse moralmente sicuro d'una gran mutazione di vita; in tal caso ben potrebbe assolverlo il confessore, sebbene volesse prender l'ordine sagro subito dopo la confessione39.


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Con tutto ciò, ben anche in tal caso che 'l penitente sia molto compunto, il confessore deve far quanto può per indurlo a differire la sua ordinazione, affinché così meglio si purghi dalla sua mal'abitudine, e meglio eseguisca i propositi fatti. Anzi a quest'effetto, se egli non vuol differire di ordinarsi, può ancora il confessore, come medico, per maggior profitto di esso, differirgli l'assoluzione, affinché il penitente differisca d'ordinarsi; purché da una tal dilazione non vi fosse pericolo di patirne infamia, perché allora (come si è notato al n. 60) il penitente ha jus d'esser subito assolto.

Del resto, debbono i confessori esser restii quanto si può in assolvere tal sorta d'ordinandi, che ordinariamente poi fanno pessima riuscita e sono la ruina de' popoli e della Chiesa.




1 Vedi la nota 5 nel Capitolo I, e la VIII Aggiunta.



2 "Il recidivo... è chi dopo la confessione è ricaduto nello stesso o quasi stesso modo nel peccato abituato". — S. Alfonso, Conf. Diretto, c. 15, n. 13. —A. M.

3 La proposizione condannata con decr. S. C. S. OFF., 4 mart 1679, almeno come scandalosa e praticamente dannosa è la seguente: Poenitenti habenti consuetudinem peccandi contra legem Dei naturae aut Ecclesiae, etsi emendationis spes nulla appareat, nec est neganda, nec differenda absolutio: dummodo ore proferat, se dolere, et proponere emendationem (Al penitente che ha l'abitudine di peccare contro la legge di Dio, della natura, o della Chiesa, benché non appaia speranza di emendamento, non si deve negare né rinviare l'assoluzione, purché egli dichiari oralmente che si duole e propone di correggersi). —Fontes, 754; D—S 2160. Nella Th. M. (6, 459) S. Alfonso giudica che in questa prop. 60 condannata da Inn. XI "non è escluso assolutamente ogni genere di abituato, ma sono esclusi coloro che non danno nessuna speranza di emendamento. Quindi... l'abituato che dà qualche speranza di emendamento, purché sia solida e fondata, può essere assolto". Cfr. VIII Aggiunta, specialmente nota 4 (A. M.).

4 Le parole: "né bastando... opinione d'alcuni" furono omesse nell'Istruzione e pratica (c. ult. 9), perché il s. D. dopo la prima edizione della Pratica cambiò parere, come può rilevarsi dalla Th. M.6, 449, p. 453, Dicunt autem.



5 "Il S. Dottore sosteneva ciò nella prima edizione della Th. M., col. 717; ma nella seconda edizione scrive: ‘Queste due opinioni sembra si possano facilmente conciliare, poiché è impossibile pentirsi di una grande quantità (di peccati) e non pentirsi almeno dei più recenti che formano il cumulo della grande quantità’ ". (Traduzione di una nota di Gaudé-Blanc in Praxis, 71). (A. M.).

6 Praxis, 71, aggiunge: absque numero (senza il numero).



7 G. Juenin, Commentarius historicus et dogmaticus de Sacramentis, Venetiis, Dorigoni, 1761, diss. 6, qu. 7, c. 4, art. 7, p. 365 (Parla dei peccati mortali).



8 Giordanini, o. cit. 1, 215, p. 147.



9 Jorio, o. cit. 1, 4, pp. 15-16.



10 L. Habert, Praxis sacramenti poenitentiae, Bassani, Remondini, 1770, 4, p. 249.



11 Benedictus XIV, ep. encycl. Apostolica constitutio, 16 iun 1749, n. 22, in Fontes, 400.

12 Li invitino a ritornare quanto prima... affinché, presentatisi nuovamente al confessionale, ricevano il dono dell'assoluzione. — Praxis, 72, aggiunge: "nota verba quantocius et donentur" (bada alle parole quanto prima e ricevano).



13 La scomunica esistente in parecchie diocesi contro chi non si accostava alla comunione a Pasqua.

14 Iddio nella conversione del peccatore non bada tanto alla lunghezza del tempo, quanto alla intensità del dolore. —Decreto dei Vescovi del Belgio, Istruzione pastorale... per l'esecuzione del recente Breve di Sua Santità Innocenzo XII relativa all'amministrazione dei sacramenti, ecc. 12 aprile 1697.

15 Giordanini, o. cit. 1, 356, p. 238.



16 Id. o. cit. 1, 213, p. 145.



17 Nella Th. M, 6, 460, il S. Dottore descrive questo primo segno più lungamente (tradotto così dal latino): "Il maggior dolore manifestato con lacrime, sospiri, o parole di cuore.. Dice però Genettus che non spesso bisogna credere alle lacrime dei peccatori infatti spesso le lacrime provengono da affezione umana. Questo autore invece di non spesso avrebbe detto meglio non sempre; infatti davvero,... specialmente nelle donne e nei rozzi, non sempre sono segni di vera penitenza; a volte infatti provengono da qualche passione che i penitenti espongono; o per la negazione dell'assoluzione, o per un danno subìto o imminente. Del resto le lacrime dei penitenti per lo più vengono dalla compunzione del cuore, specialmente se scorrono dopo aver udito un discorso o un'ammonizione del confessore che offre loro qualche motivo di compunzione o di dolore. Perciò S. Leone così insegna: Nel dispensare i doni di Dio non dobbiamo essere difficili né dobbiamo trascurare le lacrime e i gemiti dei penitenti, perché dobbiamo credere che questa commozione sia per ispirazione di Dio. Si noti l'espressione perché dobbiamo credere, perciò ordinariamente si deve credere che il penitente pianga per ispirazione di Dio se non si comprende il contrario". - A. M.



18 Praxis, 74: ad vitium extirpandum (ad estirpare il vizio).

19 Quando il confessore vuole differire l'assoluzione, ma il penitente dice: "Ma se nel frattempo mi viene la morte? ", questa obiezione è un segno straordinario? Ecco il s. Dottore come parla in una predica:

"Il confessore ti dice che torni fra otto o quindici giorni per l'assoluzione, e frattanto levi l'occasione, ti raccomandi a Dio, stii forte a non ricadere ed usi gli altri rimedi ch'egli ti assegna. Ubbidisci, e così ti libererai dal peccato; non vedi che per il passato, essendo stato sempre subito assolto, appena passati pochi giorni sei ritornato al vomito? Ma se frattanto mi viene la morte? Ma Dio non ti ha fatto morire per tanto tempo che sei stato in peccato, e non pensavi di emendarti; ed ora che vuoi emendarti, ora Dio vuol farti morire? Ma può essere, che fra questo tempo mi venga la morte. E se ciò può essere, fra questo tempo fa' continuamente atti di (perfetta) contrizione. Già lo spiegai... che chi ha intenzione di confessarsi e fa un atto di (perfetta) contrizione, resta subito perdonato da Dio. Che ti serve il ricever subito quell'assoluzione, sempre che vai a confessarti, quando non levi il peccato? Tutte quelle assoluzioni ti saranno più fuoco all'inferno. Senti questo fatto. Un certo cavaliere teneva un peccato abituale, e si era procurato un confessore, che sempre l'assolveva, ma egli sempre ricadeva. Morì questo cavaliere, e fu veduto dannato sopra le spalle di un altro dannato che lo portava. Gli fu domandato, chi era quegli che lo portava? Rispose: Questi è il mio confessore, che, con l'assolvermi sempre ch'io mi confessavo, mi ha portato all'inferno; io mi son dannato, e si è dannato lui ancora, che all'inferno mi ha portato E così, fratello mio, non ti sdegnare quando il confessore ti differisce l'assoluzione, e vuol vedere come frattanto ti porti. Se tu sempre ricadi nello stesso peccato, con tutto che te l'hai confessato il confessore non ti può assolvere, senza qualche segno straordinario e manifesto della tua disposizione: e se ti assolve, sei dannato tu e il confessore. E perciò ubbidisci allora, fa' quello ch'egli ti dice; perché quando tornerai ed avrai fatto quel che ti ha imposto, egli ti assolverà senza dubbio, e così potrai liberarti dal peccato". —Istruzione al popolo, parte 2, c. 5, nn. 54-55 (Opere, vol. 9, p. 968-Torino, Marietti, 1855). S. Leonardo da Porto Maurizio narra lo stesso episodio del cavaliere in maniera più particolareggiata. - Discorso mistico e morale, 32 (Opere complete, vol. 1, p. 425-Venezia, 1868) (A. M.).



20 Vedere VIII Aggiunta, B e IX Aggiunta.



21 Giordanini, o. cit 1. 360, pp. 240-241.

22 Vedere la nota 2 al n. 5 e la VIII Aggiunta, C.



23 S. Leonardo da Porto Maurizio, Discorso mistico e morale, 9, in opere sacro-morali, Modena, Camerale, 1823, p. 58.

24 Praxis, 77, ha: complicis (del complice).



25 Praxis, 77 ha ancora: complicis. Parlando di recidivi che abbiano almeno la imperfetta contrizione manifestata con segni straordinari, i quali non abbiano uno speciale bisogno di ricevere l'assoluzione immediata, come può essere il pericolo della morte, o altra grave ragione, S. Alfonso dice: "Se è ricaduto ex occasione extrinseca (cioè, a causa di un allettamento fuori di se stesso, come una donna o una casa di divertimento) dico che l'assoluzione certamente deve essere differita finché l'occasione non sia tolta, se sia volontaria, ma se è necessaria, finché il pericolo di ricadere non si cambi da prossimo a remoto. E per questo, parlando ordinariamente, certamente non basta un rinvio di dieci o di quindici giorni".

Tradotto da Th. M., 6, 463.) Nella sua Selva (II, 4, n. 16), il Santo aggiunge: "Benché nell'occasione necessaria, parlando secondo le regole della morale, può essere assolto il penitente quando è disposto, tuttavia quando l'occasione è di senso, sempre sarà spediente (conveniente), ordinariamente parlando, che gli si differisca l'assoluzione sin tanto che non si vede colla sperienza conveniente di qualche tempo notabile, come di venti o trenta giorni, che il penitente siasi portato fedelmente nel praticare i mezzi e non sia più ricaduto". Quanto al modo di differire l'assoluzione per un mese è preferibile spostarla di quindicina in quindicina, anziché un mese, come si è detto nell'ultimo capoverso del n. 65. —(A. M.).



26 Abito qui vuol dire l'inclinazione alla quale il penitente deve resistere, non la cattiva volontà. Cfr. Th. M., 6, 459 (A. M.).



27 Praxis, 77, aggiunge: cum possit (quand'è possibile).



28 Salmanticenses, o. cit.



29 F. Toletus, Instructio sacerdotum, Venetiis, Guariscus 1619 5, 13, 6. Non è del Toledo la terza asserzione a lui attribuita da S. Alfonso dietro citazione di P. Sporer, Theologia moralis Venetiis, Pezzana 1731, 3, 333.



30 G. Bacci, Vita di S. Filippo Neri Venezia, Fracasso, 1794, 2, 6, 2, vol. 2, pp. 184-185.



31 A coloro che con facilità ricadono nei peccati sarà molto utile consigliare che... si confessino spesso e, se è opportuno, si comunichino. — Rituale Romano, Tit. 3, 1, 20.



32 Cfr. nota 26.

33 Le fasi attraverso le quali s. A. giunse a questa certezza sono indicate in Berthe, 485 e De Meulem 18.



34 "Più mesi" qui vuol dire "molti mesi" nella versione latina ("plurium mensium", Praxis, 78) approvata dal Santo e nella versione spagnola ("muchos meses", Prontuario, p. 576) edita da S. Antonio Claret, il quale esige (El colegial, Parte I, sec. 2, c. 36, a. 4, nota) "che almeno da un anno non pecchi contro la castità". L'unico trattato lungo e dettagliato di S. Alfonso su questo tema (che si trova in Th. M, 6, 63-77) non dice se ci vogliono mesi o anni per la prova, non parla di mesi o di anni. Non è più specifico che quando cita Tournely-Collet che una prova esige 18 o 20 mesi, e quando cita S. Gregorio Magno, che esige una prova di alcuni anni. Anche due istruzioni della Santa Sede esigono una prova di "almeno un anno" (vedere II Aggiunta.) Un anno dunque è una delle prove necessarie di una permanente conversione, la quale deve essere certa. Se, nonostante tutti i documenti e le testimonianze (lettere testimoniali, lettere dimissorie, ecc.) "il vescovo per precise ragioni dubita che il candidato sia idoneo a ricevere gli ordini, non lo promuova" (Can. 1052. 3).

"Siccome il vescovo non può ordinare alcuno, se prima non è ben provato nella castità, così parimente il confessore non può permettere l'ordinarsi al suo penitente incontinente, se prima non si assicura moralmente che quegli sia libero dal mal abito contratto ed abbia acquistato l'abito della virtù della continenza". Così S. Alfonso in Selva, parte I cap. 10, n. 10.

Parlando della durata della prova, notate che un anno è il minimo. "Una prova di più mesi (complurium mensium) per uno che ha l'abitudine impura (il caso discusso da S. Alfonso in Th. M., 6, 63 sgg.) certamente non basta per un seminarista che da più anni è stato sottoposto invano a tali prove, perché per timore di essere escluso dagli ordini, rimarrebbe casto per alcuni mesi comunque. La rieducazione di tali candidati, se è possibile, esige più anni. Lo stesso S. Alfonso dapprima ebbe una diversa opinione. Tuttavia dall'anno 1751 definì improbabilissima la sua precedente sentenza...". (Tradotto dal latino di A-D-V, IV, 54).

Il Santo aggiunge nella Selva (loc. cit.): "... prescrisse s. Gregorio: Nullus debet ad ministerium altaris accedere, nisi cuius castitas ante susceptum ministerium fuerit approbata (cioè: Nessuno si deve avvicinare al ministero dell'altare senza che la sua castità sia stata provata prima di ricevere il ministero. —Lib. 1, epist. 42.) E questa prova volle il pontefice che si avesse per più anni (Ne unquam ii qui ordinati sunt pereant, prius aspiciatur si vita eorum continens ab annis plurimis fuit. Cioè: Perché mai periscano coloro che sono ordinati, si veda prima se la loro vita era da molti anni pura. —Lib. 3, epist 26)" (A. M.).



35 Gli ordini sacri preesigono la santità... quindi il peso degli ordini si deve imporre a pareti già rese asciutte dalla santità... cioè... dall'umore dei vizi.



36 Coloro che ricevono l'ordine, come diventano superiori al popolo per grado di ordine, cosi debbono essere superiori per il merito della loro santità.



37 Perché per l'ordine sacro uno è destinato ad altissimi ministeri per i quali si serve a Cristo stesso nel Sacramento dell'altare, al quale si richiede maggior santità interiore di quella voluta anche dallo stato religioso.

38 Talora (Dio) converte il cuore dell'uomo con tale trasformazione che immediatamente raggiunga la santità spirituale.



39 Mentre gli uomini sono naturalmente scettici circa i miracoli morali, S. Alfonso pensa che non dobbiamo chiudere la mente alla possibilità di rari casi e che bisogna essere preparati a riconoscerli. Il Santo chiama "rara" questa rapida eliminazione de "le scorie del peccato" (Th. M, 6, 70-71), e ammonisce che il confessore non deve precipitosamente presumere che avvenga questo miracolo, come alcuni confessori hanno fatto, con rovinose conseguenze (o. cit. 6, 77) (A. M.).




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