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S. Alfonso Maria de Liguori
Pratica di amar Gesù Cristo

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CAPO XIV.

Caritas omnia suffert.

Chi ama Gesù Cristo soffre tutto per Gesù Cristo, e specialmente le infermità, la povertà e i disprezzi.

Parlammo nel capo V. della virtù della pazienza in generale. Qui tratteremo di alcune cose particolari circa le quali bisogna specialmente esercitar la pazienza.

Diceva il P. Baldassarre Alvarez che non pensasse un cristiano di aver fatto alcun profitto se non è giunto a tener fissi nel cuore i dolori, la povertà e i disprezzi di Gesù Cristo, per soffrir con

pazienza amorosa ogni dolore, ogni povertà ed ogni disprezzo per amor di Gesù Cristo.1


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Parliamo in primo luogo de' dolori e delle infermità del corpo, le quali fanno acquistarci una gran corona di meriti, quando le soffriamo con pazienza.

S. Vincenzo de' Paoli dicea: “Se conoscessimo il prezioso tesoro che si racchiude nelle infermità, le riceveressimo con quel giubilo con cui si ricevono i maggiori benefici.”2 E quindi il santo, essendo continuamente travagliato da tante infermità che spesso non lo lasciavano riposare né di giorno né di notte, le sopportava con tanta pace e serenità di volto, senza lamentarsene, che sembrava di non aver alcun male.3 Oh che bella edificazione un infermo che con volto tranquillo tollera le malattie, come facea S. Francesco di Sales! Egli, stando infermo, esponea semplicemente al medico il suo male, l'ubbidiva puntualmente nel prendere tutti i rimedi quantunque dispiacevoli che gli prescriveva, e poi se ne restava in pace senza lamentarsi di quel che pativa.4 A differenza di taluni


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che per ogni picciolo incomodo che soffrono non si saziano di lamentarsene con tutti, e vorrebbero che tutti, parenti ed amici, loro stessero d'intorno a compatire i lor mali. Ma S. Teresa esortava le sue religiose: “Sorelle, sappiate soffrir qualche cosa per amor del Signore senza che tutti la sappiano.”5 Il Ven. P. Luigi da Ponte in un venerdì santo fu regalato da Gesù Cristo con tanti dolori corporali che non vi era parte del corpo che non patisse il suo particolar tormento; egli narrò questo suo patimentoacerbo ad un amico, ma, dopo averlo detto, talmente se ne pentì che fece voto di non mai palesare più a verun altro i suoi patimenti.6


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Ho detto che fu regalato; sì, perché i santi stimano regali le infermità e i dolori che Dio lor manda. Un giorno S. Francesco d'Assisi stava sul letto molto cruciato da dolori; gli disse un compagno che l'assisteva: “Padre, pregate Dio che vi alleggerisca questo travaglio, e non calchi tanto la mano sovra di voi.” In udire ciò il santo subito sbalzò dal letto e, inginocchiato a terra, si pose a ringraziare Iddio di quei dolori; e poi rivolto al compagno: “Sentite, gli disse, se non sapessi che voi avete parlato per semplicità, io non vorrei vedervi più.”7

Dirà quell'infermo: A me non tanto dispiace il patire questa infermità, quanto mi dispiace che non posso andare alla chiesa a far le mie divozioni, a comunicarmi, a sentir la Messa; non posso andare al coro a dir l'officio co' miei fratelli, non posso celebrare, non posso neppure fare orazione, perché tengo la testa tutta addolorata e svanita. Ma ditemi, di grazia:


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Voi perché volete andare alla chiesa, o al coro? perché volete comunicarvi e dire o sentire la Messa? per dar gusto a Dio? Ma il gusto di Dio ora non è che voi diciate l'officio, vi comunichiate o udiate la Messa; ma che con pazienza vi tratteniate in questo letto e sopportiate le pene di questa infermità. Ma questo mio parlare a voi non piace; dunque voi non cercate di fare quel che piace a Dio, ma quel che piace a voi. Il Ven. P. Maestro d'Avila scrisse (Epist. II) ad un sacerdote che appunto di ciò si lagnava: “Amico, non istate a fare il conto di quel che fareste essendo sano, ma contentatevi di stare infermo per quanto a Dio piacerà. Se voi cercate la volontà di Dio, che cosa più v'importa lo star sano che infermo?”8

Dite che non potete neppur far orazione perché la testa non vi regge. Sì, signore, non potete meditare; ma perché non potete far atti di uniformità alla volontà di Dio? E se fate questi atti, questa è la più bella orazione che mai potete fare, abbracciando con amore i dolori che vi affliggono. Così faceva S. Vincenzo de' Paoli; quando egli stava gravemente infermo, si metteva dolcemente alla presenza di Dio senza far violenza di applicar la mente a qualche punto particolare; e solamente


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si esercitava in fare qualche atto da quando in quando or di amore, or di confidenza, or di ringraziamento, e più spesso poi di rassegnazione sempre che incalzavano i dolori.9 Dicea S. Francesco di Sales: “Le tribulazioni considerate in se stesse sono spaventose; ma considerate nella volontà di Dio sono amore e delizie.”10 Non potete fare orazione? E che più bella orazione che andar rimirando il Crocifisso da quando in quando, ed offerirgli le pene che soffrite, unendo quel poco che voi patite ai dolori immensi che patì Gesù Cristo sulla croce?

Stando in letto una santa donna travagliata da molti mali, una sua domestica le diede in mano un Crocifisso, e poi le disse che 'l pregasse a liberarla da quelle pene. Rispose l'inferma: “Ma come volete ch'io cerchi di scendere dalla croce, mentre tengo nelle mani un Dio crocifisso? Iddio me ne guardi. Voglio patir per colui che ha voluto patire per me dolori molto più grandi de' miei.” E questo appunto disse


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Gesù medesimo a S. Teresa, mentr'ella stava inferma e molto travagliata; egli le apparve tutto impiagato, e poi così le disse: “Mira, figlia, l'acerbità delle mie pene, e considera se le tue posson paragonarsi colle mie.”11 Quindi la santa solea poi dire, allorché era afflitta dalle infermità: “Quando io penso in quanti modi patì il Signore essendo affatto innocente, non so

dov'io mi abbia il cervello in lamentarmi de' miei patimenti.”12 - S. Liduvina per 38 anni patì continuamente molti


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mali, febbre, podagra, chiragra, schiranzia e piaghe per tutta la vita; e, perché tenea sempre davanti gli occhi i dolori di Gesù Cristo, sempre se ne stava nel suo letto allegra e gioviale.13 Parimente S. Giuseppe da Leonessa cappuccino, dovendo il cerusico dargli un gran taglio e volendo i frati ligarlo colle funi, acciocché non facesse moto per la veemenza del dolore, egli prese in mano il Crocifisso e disse: “Che funi, che funi! Ecco chi mi lega a soffrire con pace ogni dolore per amor suo;” e così soffrì il taglio senza lagnarsi.14 S. Giona martire, essendo stato una notte dentro il ghiaccio per ordine del tiranno, disse la mattina di non avere avuta notte più tranquilla di quella, perché si avea rappresentato Gesù pendente in croce, e così i suoi dolori, a paragone di quelli di Cristo, gli erano sembrati più tosto carezze che tormenti.15


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Oh quanti meriti si possono acquistare col solo soffrir con pazienza le infermità! Al P. Baldassarre Alvarez fu data a vedere la gran gloria che Dio avea preparata ad una divota religiosa per un'infermità da lei sofferta con gran pazienza; e disse ch'ella aveva meritato più in otto mesi di quell'infermità che alcune altre religiose divote in più anni.16 - Col patire pazientemente i dolori delle nostre infermità si compisce una gran parte e forse la maggior parte della corona che Dio ci apparecchia in paradiso. Ciò appunto fu rivelato a S. Liduvina. Ella dopo aver patito tante infermità così dolorose, come di sopra si disse, desiderava di morir martire per Gesù Cristo; or mentre un giorno stava sospirando questo martirio, vide una bella corona, ma non ancor finita, ed intese che quella per lei si preparava: onde la santa, anelando che si compisse, pregò il Signore ad accrescerle i dolori. Il Signore la esaudì, mentre le mandò alcuni soldati che non solo con ingiurie, ma anche con bastonate molto la maltrattarono. Indi le apparve un angiolo colla corona già compita, e le disse che quegli ultimi strapazzi vi avean poste le gemme che vi mancavano, e poco appresso se ne morì.17


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Ah che all'anime che ardentemente amano Gesù Cristo, son troppo graditi e soavi i dolori e l'ignominie! E perciò con tanta allegrezza andavano i santi martiri ad incontrare gli eculei, le unghie di ferro, le piastre infuocate e le mannaie. S. Procopio martire, mentre il tiranno lo tormentava, gli disse: “Tormentami quanto vuoi, ma sappi, che a chi ama Gesù Cristo non vi è cosa più cara che il patire per suo amore.”18 Similmente S. Gordiano anche martire disse al tiranno che gli minacciava la morte: “Tu mi minacci la morte, ma a me dispiace che non posso morire più d'una volta per Gesù Cristo mio.”19 Ma che forse, dimando, questi santi parlavano così perché erano insensibili a' tormenti o erano stupidi di mente? No, risponde S. Bernardo: Hoc non fecit stupor, sed amor.20 Non erano già stupidi, ben sentivano essi i dolori de' tormenti che loro davano; ma, perché amavano Dio, stimavano gran guadagno il patir tutto e 'l perder tutto, sin anche la vita, per amore di Dio.


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Sovra tutto in tempo d'infermità dobbiamo esser pronti ad accettar la morte, e quella morte che piace a Dio. Si ha da morire, e nell'ultima infermità ha da finir la nostra vita, e non sappiamo quale sarà l'ultima infermità per noi. Onde bisogna che in ogni malattia ci apparecchiamo ad abbracciar la morte che da Dio ci sta determinata. - Dice quell'infermo: Ma io ho fatti tanti peccati e niente di penitenza. Vorrei vivere non per vivere, ma per rendere a Dio qualche soddisfazione prima di morire. Ma ditemi, fratello mio, come sapete voi che vivendo farete penitenza, e non farete peggio di prima? Ora ben potete sperare che Dio v'abbia perdonato; che più bella penitenza è questa che accettar con rassegnazione la morte, se Dio così vuole? S. Luigi Gonzaga, morendo giovine di 23 anni, con questo pensiero abbracciò allegramente la morte: “Ora, disse, io mi trovo, come spero, in grazia di Dio. Appresso non so che ne sarebbe di me; onde contento io muoio, se ora piace a Dio di chiamarmi all'altra vita.”21 Era sentimento


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del P. Giovanni d'Avila che ognuno il quale si ritrova con buona disposizione, ancorché mediocre, dee desiderar la morte per uscir dal pericolo in cui viviamo sempre su questa terra di poter peccare e perdere la grazia di Dio.22

Inoltre in questo mondo non si può vivere, per la nostra natural fragilità, senza commettere peccati almeno veniali; onde almeno a questo riguardo, per non offendere più Dio, dobbiamo abbracciare con allegrezza la morte. Di più, se noi veramente amiamo Dio, dobbiamo ardentemente sospirare di andare a vederlo e ad amarlo con tutte le forze in paradiso, il che niuno può farlo perfettamente in questa vita: ma se la morte non ci apre la porta, non possiamo entrare in quella beata patria d'amore. Perciò esclamava l'innamorato di Dio S. Agostino: Eia moriar, Domine, ut te videam:23 Signore, fatemi morire, perché se non muoio non posso venire a vedervi e ad amarvi da faccia a faccia.

In secondo luogo bisogna esercitar la pazienza nel soffrire la povertà.

È certo che bisogna molto esercitar la pazienza allorché ci mancano i beni temporali. Dice S. Agostino: “Chi non ha Dio ha niente; chi ha Dio ha tutto.”24 Chi ha Dio e sta unito colla divina volontà, in Dio trova ogni bene. Ecco un S. Francesco, scalzo, vestito di un sacco, e povero di tutto, che in dire


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Deus meus et omnia,25 si trova più ricco che tutti i monarchi della terra. Povero si chiama chi desidera quei beni che non ha; ma chi non desidera alcuna cosa e si contenta della sua povertà è ricco appieno. Di costoro dice S. Paolo: Nihil habentes et omnia possidentes (II Cor. VI, 10). Niente hanno ed hanno tutto i veri amanti di Dio; perché, quando mancan loro i beni temporali, dicono: Gesù mio, tu solo mi basti, e così restano contenti.

I santi non solo hanno avuta pazienza nella loro povertà, ma han cercato di spogliarsi di tutto per vivere distaccati da tutto ed uniti solamente a Dio. Se noi non abbiamo lo spirito di rinunziare a tutti i beni di questa terra, almeno contentiamoci di quello stato in cui ci vuole il Signore; e la nostra sollecitudine non sia per le ricchezze terrene, ma per quelle del paradiso che sono immensamente più grandi e sono eterne; e persuadiamoci di ciò che dice S. Teresa: “Quanto meno avremo di qua, tanto più godremo di .”26

Dicea S. Bonaventura che l'abbondanza de' beni temporali non è altro che un vischio all'anima, che l'impedisce di volare a Dio.27 E così all'incontro scrisse S. Giovan Climaco che la povertà è una via di camminare a Dio senza impedimento.28 - Disse il Signore: Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est regnum caelorum (Matt. V, 3). Alle altre beatitudini, de' mansueti, de' mondi di cuore, sta promesso il cielo in futuro; ma ai poveri sta promesso il cielo, cioè il gaudio celeste, anche in questa vita, ipsorum est regnum caelorum; sì, perché anche in questa vita i poveri godono un paradiso anticipato. Poveri di spirito, viene a dire che non solo son poveri di beni terreni, ma che neppure li desiderano; ed avendo quanto loro basta per alimentarsi e vestirsi, come esorta l'Apostolo, vivono contenti: Habentes autem alimenta et quibus tegamur, his contenti simus (I Tim. VI, 8).


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“O beata povertà, esclamava S. Lorenzo Giustiniani, che niente possiede e niente paventa! Ella è sempre allegra e sempre abbondante, mentre ogni incomodo che prova lo fa servire al profitto dell'anima.”29 Scrive S. Bernardo: Avarus terrena esurit ut mendicus, pauper contemnit ut dominus (Serm. 2 in Cant.):30 l'avaro sempre sta famelico qual mendico, perché non mai arriva a saziarsi de' beni desiderati; il povero all'incontro, qual signore del tutto, li disprezza, perché niente desidera.

Disse un giorno Gesù Cristo alla B. Angela da Foligno: “Se la povertà non fosse un gran bene, io non l'avrei eletta per me né l'avrei lasciata per porzione a' miei eletti.”31 Ed infatti i santi vedendo Gesù povero, perciò hanno tanto amata la povertà. Dice S. Paolo che il desiderio di farsi ricco è un


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laccio del demonio col quale ha fatti perdere più uomini: Qui volunt divites fieri, incidunt... in laqueum diaboli, et desideria... nociva, quae mergunt homines in interitum et perditionem (I Tim. VI, 9). Infelici, che per li miseri beni di questo mondo perdono un infinito bene ch'è Dio!

Ben dunque ebbe ragione S. Basilio martire, quando Licinio imperatore gli fe' proporre che se lasciava Gesù Cristo lo faceva principe de' suoi sacerdoti, ebbe ragione, dico, di rispondergli: “Dite all'imperatore che se volesse darmi tutto il suo imperio non mi potrebbe dar tanto quanto mi toglierebbe, facendomi perdere Dio.”32 Ci basti dunque Iddio, e ci bastino quei beni che ci , rallegrandoci di vederci poveri allorché ci manca quel che vorressimo e non l'abbiamo: poiché qui sta il merito. Non paupertas, dice S. Bernardo, virtus reputatur, sed paupertatis amor (Epist. ad Duc. Conrad.).33 Molti son poveri, ma, perché non amano la loro povertà, niente meritano; perciò dice S. Bernardo che la virtù della povertà non consiste nell'esser povero, ma nell'amare la povertà.

E quest'amore alla povertà debbono specialmente averlo le persone religiose che han fatto voto di povertà. Molti


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religiosi, dice il medesimo S. Bernardo: Pauperes esse volunt, eo tamen pacto ut nihil eis desit (Serm. de adv. Dom.):34 vogliono esser poveri, ma non vogliono che lor manchi niente. Sicché, dice S. Francesco di Sales, “vogliono l'onore della povertà, ma non gl'incomodi della povertà.”35 Per costoro vale quel che dicea la B. Solomea monaca di S. Chiara: “Sarà burlata dagli angeli e dagli uomini quella monaca che vuol esser povera e poi si lamenta quando le manca qualche cosa.”36 Non fanno così le buone religiose: amano la loro


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povertà più d'ogni ricchezza. La figlia dell'imperator Massimiliano II, monaca scalza di S. Chiara, chiamata Suor Margarita della Croce, comparendo all'arciduca Alberto suo fratello con un abito rappezzato, quegli se ne ammirò come di cosa sconvenevole alla di lei nobiltà; ma ella gli rispose: “Fratello, io sto più contenta con questo straccio che tutti i monarchi colle loro porpore.”37 Dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi: “Oh fortunati i religiosi che, staccati da tutto per mezzo della santa povertà, possono dire: Dominus pars hereditatis meae! (Ps. XV, 5): Dio mio, tu sei la mia parte, ed ogni mio bene!38 - S. Teresa,


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avendo ricevute più limosine da un mercante, gli mandò a dire che il suo nome stava scritto nel libro della vita, e per segno di ciò le cose di questa terra gli sarebbero mancate; ed in fatti il mercante fallì e fu povero sino alla morte.39 Dicea S. Luigi Gonzaga che non vi è segno più certo per uno che sia del numero degli eletti, quanto in vederlo timorato


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di Dio e nel tempo stesso esercitato con travagli e desolazioni in questo mondo.40

Si appartiene ancora in qualche modo alla santa povertà l'esser privato in questa vita de' parenti e degli amici colla morte; ed in ciò parimente bisogna molto esercitar la pazienza. Taluni perdendo un parente, un amico, non sanno darsi pace, si chiudono in una camera a piangere, ed, abbandonandosi alla mestizia, diventano talmente impazienti che si rendono impraticabili. Vorrei saper da costoro, con affliggersi essi in tal modo e spargere immoderatamente tante lagrime, a chi danno gusto? A Dio? A Dio no, perché Dio vuol che ci rassegniamo alla sua volontà. A quell'anima trapassata? Neppure. Quell'anima, se mai si è perduta, odia voi e le vostre lagrime; se si è salvata e già sta in cielo, desidera che ringraziate Dio per lei; se poi sta al purgatorio, desidera che la soccorriate colle vostre orazioni, e che voi vi uniformiate al divino volere e vi facciate santo, acciocché un giorno vi abbia per compagno in paradiso. E così quel tanto piangere a che giova? Il Ven. P. Giuseppe Caracciolo teatino, essendogli morto un fratello e stando un giorno cogli altri suoi parenti che non cessavano di piangere, disse loro: “Eh via, serbiamo queste lagrime per migliore oggetto, per piangere la morte di Gesù Cristo che ci è stato padre, fratello e sposo, ed è morto per nostro amore.”41 - In tali occasioni bisogna fare come fece


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Giobbe che ricevendo la notizia d'essergli stati uccisi i figli, egli tutto uniformato al voler divino disse: Dominus dedit, Dominus abstulit: Iddio mi ha dati questi figli e Dio me l'ha tolti: Sicut Domino placuit, ita factum est: sit nomen Domini benedictum (Iob. I, 21): quel che è avvenuto è piaciuto a Dio, e così piace ancor a me: ond'egli sempre sia da me benedetto.

In terzo luogo dobbiam esercitar la pazienza e dimostrare il nostro amore a Dio nel soffrire con pace i disprezzi che riceviamo dagli uomini.

Quando un'anima si tutta a Dio, Dio stesso fa o permette che sia dagli uomini vilipesa e perseguitata. Un giorno apparve un angelo al B. Errico Susone, e gli disseErrico, sinora ti sei mortificato a modo tuo, da oggi avanti sarai mortificato come piacerà agli altri.” E nel giorno seguente il beato, affacciandosi ad una finestra, vide un cane che teneva uno straccio in bocca e l'andava tutto lacerando; allora udì una voce che gli disse: “Così tu hai da essere lacerato dalle bocche degli uomini.” Allora il B. Errico calò giù e si prese quello straccio conservandolo per suo conforto nel tempo de' travagli che gli erano stati prenunziati.42

Gli affronti e le ingiurie sono le delizie bramate e cercate da' santi. S. Filippo Neri, perché nella casa di S. Geronimo in Roma da 30 anni vi pativa molti maltrattamenti da alcuni, non volle lasciarla e passare al nuovo oratorio della Chiesa Nuova da lui fondata, dove già abitavano i suoi diletti figli che l'invitavano a ritirarsi con essi, finché non si vide obbligato a passarvi per comando espresso del Papa.43 S. Giovanni della Croce dovendo mutar aria per causa di un'infermità


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che poi lo portò alla morte, pospose un convento più comodo in cui trovavasi un priore suo affezionato e si elesse un convento povero ove presiedea un priore suo nemico, il quale in fatti poi per molto tempo e quasi persino alla di lui morte lo vilipese e maltrattò in molti modi, proibendo ancora agli religiosi che l'andassero a visitare.44 Ecco come i santi giungono sino ad andar cercando di esser vilipesi. S. Teresa scrisse questa memorabil massima: “Chi aspira alla perfezione si ha da guardar bene di dire: Mi fecero ciò senza ragione. Se tu non vuoi portar croce, se non quella che sta appoggiata alla ragione, la perfezione non fa per te.”45 È celebre la risposta ch'ebbe dal Crocifisso S. Pietro martire, mentr'egli lamentavasi che a torto stava carcerato senza aver fatto male; il Signore gli rispose: “Ed io che male ho fatto che ho avuto a star su questa croce a patire e morire per gli uomini?”46


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Oh come i santi allorché sono ingiuriati si consolano colle ignominie che patì per noi Gesù Cristo! S. Eleazaro richiesto dalla sua sposa, come facesse a soffrir con tanta pazienza le tante ingiurie che ricevea per fin da' suoi medesimi servi, rispose: “Io mi rivolgo a considerare Gesù disprezzato, e vedo che i miei affronti son niente a rispetto di quelli ch'egli ha sofferti per me, e così Dio mi forza a soffrir tutto con pace.”47 In somma gli affronti, la povertà, i dolori e tutte le tribulazioni, cadendo sovra di un'anima che non ama Dio le sono occasioni di più allontanarsi da Dio; ma cadendo sovra di un'anima amante di Dio le son motivi di più stringersi con Dio e di più amarlo. Aquae multae non potuerunt exstinguere caritatem (Cant. VIII, 7). I travagli per quanto sieno molti e gravi non solo non ispegnono, ma di più aumentano le fiamme della carità in un cuore che non ama altro che Dio.

Ma perché Iddio ci carica di tante croci e gode in 


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vederci tribulati, vilipesi, perseguitati e maltrattati dal mondo? Che forse egli è un tiranno, di genio così crudele che si compiace di veder ci patire? No, non è tiranno Dio né è di genio crudele; egli è tutto pietà ed amore verso di noi; basta dire che ci ha amati sino a morire per noi. Gode sì in vederci patire, ma per nostro bene, acciocché patendo qui, restiam liberati dalle pene che dovressimo patire nell'altra vita per li debiti da noi contratti colla divina giustizia; ne gode acciocché non ci attacchiamo a' piaceri sensibili di questa terra: la madre quando vuole slattare il fanciullo mette fiele alle poppe, affinché il figlio vi prenda abborrimento; ne gode acciocché col patire con pazienza e rassegnazione gli diamo qualche prova del nostro amore; ne gode finalmente acciocché col patire acquistiamo gloria maggiore in paradiso. Per questi fini, che son tutti fini di pietà e d'amore, gode il Signore di vederci patire.

Concludiamo questo capo. Affin di ben esercitare la santa pazienza in tutte le tribulazioni che ci occorrono, bisogna persuaderci che ogni travaglio viene dalle mani di Dio o direttamente o indirettamente per mezzo degli uomini; e perciò quando ci vediamo tribulati bisogna ringraziarne il Signore, ed accettar con animo allegro quanto egli dispone per noi di prospero o di avverso, perché tutto lo dispone per nostro bene: Diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum (Rom. VIII, 28). Di più, quando ci affligge qualche travaglio, giova dare un'occhiata all'inferno un tempo da noi meritato, poiché ogni pena a confronto dell'inferno sarà sempre immensamente minore. Ma per soffrire con pazienza ogni dolore, ogni obbrobrio ed ogni cosa contraria, più d'ogni considerazione giova la preghiera: l'aiuto divino che ci sarà dato dopo la preghiera, ci darà quella forza che noi non abbiamo. Così han fatto i santi, si son raccomandati a Dio ed han superati tutti i tormenti e le persecuzioni.




1 «Solea (il P. Alvarez) ripetere ad ora ad ora nelle sue ordinarie esortazioni: «Non pensiamo d' aver mai fatto alcuna cosa di rilievo, se non giungiamo a portar sempre nei nostri cuori Gesù crocifisso.»... Ciò che meditava con ispecial sentimento e con fervore in Cristo crocifisso, erano i tre compagni che lo seguirono fin dal presepio per tutto il tempo di sua vita, e con più rigore nella sua Passione e nella sua morte, cioé povertà, disprezzo e dolore, ruminando e ben ben masticando le cose particolari che ciascuno include... Ed in questa considerazione non solo s' inteneriva, ma si animava pur anche a rintracciar la povertà, ad amare i dispregi, ad abbracciare i dolori, come il fece in tutta la sua vita, avendo sempre in grandissima stima la croce spirituale, che di queste tre cose si compone: giacché in ciò consiste la perfetta imitazione di Cristo crocifisso.» Ven. Ludovico DA PONTE, S. I., Vita, cap. 3, § 2.



2 Vedi Appendice, 95.



3 «Ce fut en ce dernier choc (des maladies) que ce saint homme (S. Vincent de Paul) fit èclater davantage sa vertu, supportant cette dure épreuve, non seulement avec patience, mais même avec une parfaite soumission au bon plaisir de Dieu, auquel il rendait des bénédictions et des louanges avec d' autant plus d' affection, que ses douleurs étaient plus sensibles et ses peines plus violentes... Ce saint homme, par une conduite particulièere de la Providence, a presque toujours été dans l' exercice des infirmités... Néanmoins, quelques maladies dont il fût atteint, et quelques douleurs qu' il ressentît, il conservait toujours une paix et une liberté d' esprit si grande, qu' on n' eût pas dit qu' il eût souffert aucun mal, si l' abattement de son corps n' eût fait voir le contraire... «Plus il avançait en âge, dit un très vertueux ecclésiastique qui l' a particulièrement connu, et plus son corps s' appesantissait et ses incommodités augmentaient... Et toutefois, parmi ses souffrances, il voyait et recevait toutes sortes de personnes du dehors et du dedans: il donnait ordre aux affaires de sa maison et de sa Congregation, répondant à tous venants avec autant de grâce et de sérénité d' esprit que s' il n' eût ressenti aucun mal, la même affabilité et douceur ayant toujours paru sur son visage jusqu' à sa mort. » ABELLY, Vie, liv. 3, ch. 23.



4 S. Jeanne de CHANTAL, Déposition pour la Béatification et Canonisation de S. François de Sales (Procès d' Annecy, 1627), article 31: « Quant à la patience de ce Bienheureux en ses maladies, elle était incroyable. (Dopo commemorate le molte e lunghe malattie del Santo, e le gravi incomodità di cui abitualmente soffriva, aggiunge:) En ses dernières années, toutes ses incommodités redoublèrent... lesquelles toutes il couvrait tant qu' il pouvait, ne changeant point de vie, de façon, ni de visage; l' on connaissait seulement à sa couleur quand il se trouvait mal; car il ne prenait point le lit pour toutes telles incommodités, ains seulement pour les grosses maladies. - L' on n' a jamais oui dire ni vu, à ce que ses domestiques assurent - et moi-même en ai eu la même connaissance avant que je fusse religieuse - qu' il ait donné en toutes ses maladies le moindre signe d' impatience; il était toujours doux, paisible et patient, méme gracieux à ceux qui le servaient; jamais il ne se plaignait, ne faisait mine ni grimace, ains il supportait son mal et recevait les remèdes, les viandes et les services qu' on lui faisait, sans témoigner aucun désagrément ni chagrin; il estimait fort peu ce qu' il souffrait, et prenait son mal fort en gré pour l' amour de Notre-Seigneur... Tandis qu' il était dans le lit pour le repos corporel, il s' occupait avec plus de soin... à l' avancement de son âme à l' union avec Dieu, et disait qu' on servait Dieu plus saintement en souffrant qu' en agissant... Sitôt que ce Bienheureux était entre les mains des médicins, il leus obéissait exactement, disant que Notre-Seigneur le voulait ainsi. Jamais il ne censurait leurs ordonnances, et s' y soumettait, bien que quelquefois il sût que d' autres remèdes lui eussent été meilleurs... Quand on lui demandait son mal, il l' avouait franchement sans aucune exagération, et disait que ce n' était que des moyens que Dieu donne pour se préparer à plus grandes souffrances et à la mort. Quand on le pressait, devant qu' il fût alité, de prendre des remèdes, il repondait: «Aussi bien faut-il mourir; dix ans de plus ou moins, ce n' est rien,» et disait que rien ne le mettait en peine, que le soin que les autres avaient de lui.» Vie et Œuvres de la Sainte, tom. 3, Paris, 1876, 164-167. - Cf. CAMUS, Esprit de S. François de Sales (éd. abrégée Collet), partie 5, ch. 9; partie 17, ch. 5.



5 «Acordaos tambien de muchas casadas; yo sé que las hay y personas de suerte, que con graves males, por no dar enfado a sus maridos, no se osan quejar, y con graves trabajos. Pues pecadora de mi! si, que no venimos aqui a ser màs regaladas que ellas. Oh, que estàis libres de graves trabajos del mundo! sabed sufrir un poquito por amor de Dios sin que lo sepan todos. Pues es una mujer muy mal casada, y porque no sepa su marido lo dice y se queja, pasa mucha mala ventura sin descansar con nadie, y no paseremos algo entre Dios y nosotras de los males que nos da por nuestros pecados?» S. TERESA, Camino de perfecciòn, cap. 11. Obras, III, pag. 56.



6 «Contentissimo di far la divina volontà, benediceva Iddio e la sua infinita misericordia, per averlo ammesso a parte della sua croce. La si tenne poi così cara, che mai ammetter non volle conforto alcuno. Tra più diversi proponimenti, che trovaronsi scritti di suo pugno, uno fu questo di mai non comunicar con alcuno, se non per comando dell' ubbidienza, i suoi interni dolori.» LONGARO DEGLI ODDI, Vita, lib. 2, cap. 1, n. 15. - «Trovavasi il sant' uomo in Villagarzia, allorché in un Venerdì Santo assalito fu da una gotta artetica nelle mani, nelle ginocchia, ne' piedi, con dolori sì acuti, che non reggendosi in su la vita, era costretto a portarla sospesa in aria raccomandata a due grucce. Infermità penosissima, e che mai lo abbandonò per fin che visse, e che di tanto in tanto l' inchiodava per più mesi in letto, senza poter mutar sito, né voltarsi dall' uno sull' altro lato.» La stessa opera, lib 2, c. 1, n. 13. - «Egli stesso ebbe a dire al P. Ministro, che l' interrogava de' suoi mali: «O mio caro Padre, veda come Iddio affligge questo peccatore. Salvo la testa, non trovo altra parte che non patisca il suo mal proprio: negli occhi ho come alcuni panni; i denti, con ogni sorte di cibo e di bevanda, calda o fredda, mi dolgono; una mascella mi brugia; lo stomaco mi tormenta, inquietato da qualsivoglia cosa che mangi, costretto dopo cinque o sei ore a ributtarla, convertito in umor acido come un forte aceto; dal lato sinistro, non posso giacere, per rendermi molto penosa la respirazione; dal destro e sulle spalle molto meno; il fegato mi arde; ne' piedi e nelle mani mi strazia la gotta.» PATRIGNANI, Menologio d. C. d. G., 16 febbraio 1624.



7 «Cum autem semel gravius solito dolorum urgeretur aculeis, quidam Frater simplex dixit ad eum: «Frater, ora Dominum ut mitius tecum agat: manum enim suam plus debito super te gravare videtur.» Quo audito, vir sanctus cum eiulatu exclamans ait: «Nisi nossem in te simplicem puritatem, tuum ex nunc abborrerem consortium, qui ausus fueris circa me divina iudicia reprehensibilia iudicare.» Et licet totus esset attritus gravis prolixitate languoris, proiiciens se in terram, ossa debilia duro casu collisit. Et deosculans humum: «Gratias, inquit, tibi ago, Domine Deus, de omnibus his doloribus meis, teque, mi Domine, rogo ut centuplum, si tibi placuerit, addas; quia hoc erit mihi acceptissimum ut affligens me dolore non parcas, cum tuae sanctae voluntatis adimpletio sit mihi consolatio superplena.» S. BONAVENTURA, Legenda S. Francisci, cap. 14, n. 2. Opera, tom. 8, ad Claras Aquas, 1898, pag. 546.



8 «Non vi lasciate turbare il giudizio dalla infermità che vi ha mandata il Signore per gloria sua, e per provar qual sia l' obbedienza vostra; la quale piace più a Sua Divina Maestà che non fanno le vittime ed i sacrifici, siccome fu detto al disobbediente re Saul (I Reg. XV); però non andate di grazia fantasticando sopra quel che avreste fatto stando voi sano; ma piuttosto quanto piacerete al Signore, contentandovi di star, come state, infermo. E se cercate, come credo, la volontà di Dio puramente, che importa a voi lo star più infermo che sano? poiché dalla volontà sua pende ogni nostro bene. Considerate che la infermità vostra è infermità del corpo; però avvertite molto bene che non passi all' anima; poiché per sanarci di dentro, ci tribula Dio di fuora, ed allora non passa all' anima quando ella non si conturba, né ha per male che il corpo suo patisca; anzi si rimette al voler di Dio, cavando la salute sua di tale infermità: crediatemi, Padre mio, che Dio va allevando così i suoi figliuoli, cioé levando loro in sul bello il boccone di bocca, acciocché imparino in tutto e per tutto a spogliarsi di loro medesimi, e stare apparecchiati a gir quà e là, e far tutto quello che piace a Dio. E sebben duole assai quando vogliamo staccarci da queste nostre affezioni. Dio però non guarda a quello che più ci gusta, ma a quello che più a noi giova: ed a questo modo va egli cavando i figliuoli suoi dalle fasce, come si suol dire, perché fin tanto che alcuno non si spoglia in tutto di se medesimo, rivestendosi dal capo al pié del voler di Dio, si troverà sempre un putto, e come putto si adira, e si rallegra, e piange, e ride, e teme, e spera, secondo quello che ad ogni passo gli occorre.» B. Giovanni AVILA, Lettere spirituali, parte I, A un sacerdote infermo (Brescia, 1728, pag. 135, 136; Firenze, 1601, pag. 347, 348; Roma, 1669, lettera 48, pag. 234.)



9 Che così facesse il Santo, può almeno argomentarsi dai consigli che suggeriva agli altri sul modo di fare orazione, specialmente nelle malattie o infermità. Scrive a Giacomo Pesnelle, Superiore a Genova ( Lettre 2920, 25 juillet 1659: S. VINCENT DE PAUL, Correspondance, Entretiens, Documents, Paris, 1920-1925, VIII, pag. 47): «Quant au jeune homme de Chiavari qui se plaint de la tête et de l' estomac, il faut lui faire cesser les applications de l' esprit, même de l' oraison; ou, s' il en fait, que ce soit passivement, recevant ce que Dieu lui donnera, sans qu' il cherche des pensées pour s' exciter aux affections. Il pourra faire quelque acte de foi et quelque préparation simple au commencement, et puis se tenir là, parce que Dieu le veut, comme incapable de méditer et indigne de converser avec Sa divine Majesté, sans autre soin que d' éviter de bander la tête. Il lui pourra arriver beaucoup de distractions, mais n' importe, il ne les ira pas chercher, et, Dieu aidant, il ne s' entretiendra en aucune volontairement. Si le mal était grand, il le faudrait même dispenser de l' oraison quelque temps. Et ce que je dis de lui, je le dis des autres qui pourront tomber dans la même incommodité, à quoi le directeur du séminaire doit prendre garde, recommandant souvent aux séminaristes et leur enseignant de se rendre intérieurs sans contention d' esprit, de jeter en Dieu de simples regards, sans se concilier sa peésence par des efforts sensibles, de s' abandonner à lui sans raisonnement, et de s' affectionner aux vertus sans les vouloir pénétrer par la connaissance ou l' imagination.»



10 «Les peines, considérées en ellesmêmes, ne peuvent certes être aimées; mais regardées en leur origine, c' est-à-dire en la providence et volonté divine qui les ordonne, elles sont infiniment aimables. Voyez la verge de Moise en terre, c' est un serpent effroyable; voyezla en la main de Moise, c' est une baguette de merveilles (Exod. VII): voyez les tribulations en elles-mêmes, elles sont affrenses; voyez-les en la volonté de Dieu, elles sont des amours et des délices.» S. FRANÇOIS DE SALES, Traité de l' amour de Dieu, liv. 9, ch. 2.



11 «Esto me dijo el Senor otro dia: «Piensas, hija, que està el merezer en gozar? No està sino en obrar y en padecer y en amar. No habràs oido que San Pablo estuviese gozando de los gozos celestiales màs de una vez, y muchas que padeciò, y ves mi vida toda llena de padecer, y sòlo en el monte Tabor habràs oido mi gozo... Cree, hija, que a quien mi Padre màs ama, da mayores trabajos, y a éstos responde el amor. En qué te le puedo màs mostrar que querer para ti lo que quise para Mi? Mira estas llagas, que nunca llegarà, aqui tus dolores. Este es el camino de la verdad. Ansi me ayudaràs a llorar la perdiciòn que train los del mundo, entendiendo tù esto, que todos sus deseos, y cuidados y pensamientos se emplean en còmo tener  lo contrario.» Cuando empecé a tener oraciòn, estaba con tan gran mal de cabeza, que me parecia casi imposible poderla tener. Dijome el Senor: «Por qui veràs el premio de el padecer, que como no estabas tù con salud para hablar conmigo, he Yo hablado contigo y regalàdote.» Y es ansi cierto, que seria como hora y media, poco menos, el tiempo que estuve recogida. En él me dijo las palabras dichas y todo lo demàs. Ni yo me divertia ni sé adonde estaba, y con tan gran contento, que no sé decirlo, y quedòme buena la cabeza, que me ha espantado, y harto deseo de padecer.» S. TERESA, Mercedes de Dios, XXXVI (probabilmente nel Monastero della Incarnazione, 1572). Obras II, pag. 64, 65.



12 «Oh Senor mio! cuando pienso por qué de maneras padecistes, y còmo por ninguna lo mereciades, no sé qué me diga de mì, ni donde tuve el seso, cuando no desaba padecer, ni adònde estoy cuando me disculpo.» S. TERESA, Camino de perféccion, cap. 15. Obras, IV, 70. - Parla qui la Santa Madre del patire in genere, e più specialmente dei disprezzi. - Vedi pure, nella stessa opera, cap. 26, Obras, III, 121, 122, come, colla considerazione della Passione di Gesù, la Santa animi se stessa e le figlie a soffrire generosamente ogni travaglio. - Parlando più particolarmente delle malattie ed infermità, che ebbe lunghe, frequenti o piuttosto continue, e durissime, così dice (Moradas sextas, cap. 1: Obras, IV, 102): «También suele dar el Senor enfermedades grandisimas. Este es muy major trabajo, en especial cuando son dolores agudos, que en parte, si ellos son recios, me parece el mayor que hay en la tierra -digo exterior- aunque entren cuantos quisieren: si es de los muy recios dolores, digo. Porque descompone lo interior y exterior de manera, que aprieta un alma que no sabe qué hacer de sì: y de muy buena gana tomaria cualquier martirio de presto, que estos dolores; aunque en grandisimo extremo no duran tanto - que, en fin, no da Dios màs de lo que se puede sufrir, y da Su Maiestad primero la paciencia - mas de otros grandes en lo ordinario y enfermedades de muchas maneras. - Yo conozco una persona (habla de sì misma), que desde que comenzò el Senor a hacerla esta merced que queda decha (de la uniòn), que ha cuarenta anos, no puede decir con verdad que ha estado dia sin tener dolores, y otras maneras de padecer: de falta de salud corporal, digo, sin otros grandes trabajos. Verdad es que habìa sido muy ruin, y para el infierno que merecìa todo se le hace poco. Otras, que no hayan ofendido tanto a Nuestro Senor, las llevarà por otro camino; mas yo siempre  escogerìa el del padecer, siquiera por imitar a Nuestro Senor Jesucristo, aunque no hubiese otra ganancia, en especial, que hay muchas.»



13 Vedi Appendice, 96.



14 «Andava ogni giorno incrudelendo vie più la cancrena, la quale, per essere in parti così delicate, lo riduceva ancora a gran pericolo di morte... Tentato dai medici... ogni altro rimedio, determinarono di venire al taglio... Si fece la prima incisione un giorno di giovedì... nella quale... mostrò tanta costanza, che, trattando il cerusico di legarlo acciocché per la veemenza del dolore non si sconcertasse, preso nelle mani il suo Crocifisso, disse: «Non fa mestieri d' altri legami, che di quelli della carità mostrataci dal Figlio di Dio in questa croce:» e con tanta fortezza d' animo soffrì quell' incisione, che non gli uscì  mai dalla bocca un sol sospiro o voce di lamento, ma replicava solamente l' orazione Sancta Maria succurre miseris. E perché il primo taglio non fu dato intieramente, si venne al secondo il giorno seguente, quale sopportò con l' istessa pazienza.» Zaccaria BOVERIO, O. M. Cap., Annali dell' Ordine dei FF. MM. Cappuccini, anno 1612. - Cf. Angelo M. DE' ROSSI, O. M. C., Vita, Genova, lib. 4, cap. 2.



15 «Magorum principes... iusserunt ut lege Persica vinciretur. Traiecta igitur virga inter manus et crura, iners humi iacebat vir sanctus tamquam lapis. Ministri autem eum virgis e malo punica sponosis verberabant, nec prius destiterunt quam eius lacerata sunt latera... Magorum principes iusserunt ut pes eius funiculo vinciretur, atque ita in pruinam et glaciem extraheretur, ibique totam noctem iaceret - erat enim hiems - observareturque quid frigoris causa faceret... Imperarunt ut beatus Ionas iterum ad conspectum suum adduceretur. Quo quidem adducto: «Quomodo, inquiunt, se habet corpus tuum, et quomodo noctem illam totam glaciei et frigori expositus transegisti?» Respondit beatus Ionas, et «Nullam, inquit, mihi credite, regii Principes, Deus meus, in quo animus meus conquiescit, noctem umquam mihi aeque tranquillam largitus est, ex quo me peperit mater mea; nec memini umquam, ex quo scire potui quid sensus sit, ullam omnino noctem ita mihi quiescenti suavem exstitisse. Consolatio enim mihi praesto fuit ex sancto illo ligno cui afflixus fuit Dominus meus Iesus Christus.» Laur. SURIUS, Ord. Carthus., De probatis sanctorum historiis, die 29 martii: SS. Ionae et Barachisii martyrium, auctore ESAIA, equite regis Saborii, auditore et spectatore eorum quae flebant. Habetur apud Simeonem Metaphrasten.



16 «Essendo molestato da una febbre terzana... fatto chiamare da una monaca Carmelitana scalza che era in extremis... il santo Padre Baldassarre (Alvarez), come che vedesse il pericolo al quale si esponeva, si tolse di letto per andare a consolarla... Stando per tanto confessando la monaca... si svenne... Nel ritornare a casa, molto travagliò, onde se gli raddoppiò la terzana, e dicendogli l' infermiere: «Ben il predissi a V. R. che n' avrebbe riportato danno da questa mossa, «Ed egli con gran pace: «Tutto è nulla, disse, per consolare un' anima.» Né posso passare in silenzio quello che raccontò la Madre Anna di Gesù, figliuola dilettissima della Madre S. Teresa di Gesù, priora di quel monastero, la quale con altre monache entrarono allora nella cella dell' inferma, e con molto fondamento intesero che quello che pareva svenimento era più veramente un rapimento di spirito... non solo perché  loro parea un serafino nel sembiante e loro cagionava consolazione in mirarlo, ma molto più perché, in ritornando ai sentimenti, disse loro «ch' era singolare la gloria ch' era apparecchiata per quella inferma, e che di lì a pochi giorni la goderebbe, perché in otto mesi ch' era giaciuta ammalata, s' era più perfezionata che altra molto buona religiosa benestante in molti anni.» Molto credibil è che questo fosse rapimento, come altri simili che contammo... volendo Nostro Signore premiare al suo servo il servizio che gli fece, essendo infermo, in dar questa delizia al suo spirito, quantunque il corpo ne patisse.» Ven. Lod. DA PONTE, Vita, cap. 18, §, § 1.



17 Vedi Appendice, 96, f.



18 «Libere (Procopius) coepit eum (Flavianum Praesidem) insequi maledictis: «Omnis iniquitatis, dicens, operarie, et ignis aeterni nutrimentum, tu valde peccans in veritatem dicis me puniri tamquam insipientem: non advertis autem te ea mihi largiri quae sunt iucundissima et maxime optanda. Quid enim ei, qui Christum amat, iucundius esse potest quam pati propter Christum? aut quid maius afferri lucrum quam pro eo labores suscipere? adeo ut verear, ne forte cum sciveris quantam mihi afferas utilitatem, a me puniendo abstineas, ut qui per ignorantiam inimico gratificeris.» Surius, die 8 Iulii: Vita et martyrium sancti et praeclari martyris Procopii, ex SIMEONE METAPHRASTE.



19 «Interea igitur, miti voce ac leni, quis et unde esset interrogabatur (Gordius a Praeside). Ubi autem dixit patriam, genus, gradum obtentae dignitatis, causam fugae, reditum: «Adsum, inquit, mandatorum vestrorum contemptum simul et fidem in Deum, in quo spem reposui, factis ostensurus; audivi enim, inquit, te multos crudelitate superare: quamobrem id tempus explendo meo voto idoneum elegi.» His verbis praesidis ira instar ignis accensa, totum viri furorem in semet concitavit. «Iam, inquit, voca lictores. Ubi laminae plumbeae? ubi flagra? Extendatur in rota, torqueatur in equuleo, afferantur suppliciorum instrumenta, bestiae, ignis, gladius, crux, fossa paretur. At enim, inquit, quid habet lucri scelestus ille, cum semel tantum moriatur?» «Imo, respondit statim Gordius, quantum damnum patior, quod saepe pro Christo mori non possim!» S. BASILIUS MAGNUS, Homilia 18, in Gordium martyrem, n. 4. MG 31-499.



20 «Vult ergo videri (Christus), vult benignus dux devoti militis (nempe martyris) in sua sustolli vulnera, ut illius ex hoc animum erigat, et exemplo sui reddat ad tolerandum fortiorem. Enimvero non sentiet sua, dum illius vulnera intuebitur. Stat martyr tripudians et triumphans, toto licet lacero corpore; et rimante latera ferro, non modo fortiter, sed et alacriter sacrum e carne sua circumspicit ebullire cruorem. Ubi ergo tunc anima martyris? Nempe in tuto, nempe in petra, nempe in visceribus Iesu, vulneribus nimirum patentibus ad introeundum. Si in suis esset visceribus, scrutans ea ferrum profecto sentiret; dolorem non ferret, succumberet, et negaret. Nunc autem in petra habitans, quid mirum si in modum petrae duruerit? Sed neque hoc mirum, si exsul a corpore, dolores non sentiat corporis. Neque hoc facit stupor, sed amor. Submittitur enim sensus, non amittitur. Nec deest dolor, sed superatur, sed contemnitur. Ergo ex petra martyris fortitudo, inde plane potens ab bibendum calicem Domini. Et calix hic inebrians quam praeclarus est (Ps. XXII, 5)! Praeclarus, inquam, atque iucundus non minus Imperatori spectanti, quam militi triumphanti. Gaudium etenim Domini, fortitudo nostra (II Esdr. VIII. 10).» S. BERNARDUS, In Cantica, sermo 61, nn. 7 et 8. ML 183-1074.



21 «Era l' anno 1591 travagliatissimo da una mortalità universale per tutta l' Italia... Volle Luigi andare in persona a servire gli infermi nell' ospedale... e vi andò più volte insieme con altri compagni. Ad uno di questi, per nome detto Tiberio Bondi, fu da non so chi avvisato che mirasse bene ciò che faceva, perché v' era pericolo di contagione, ed egli rispose « che avendo innanzi agli occhi l' esempio di Luigi che vi andava con tanta carità, non avrebbe mai saputo né voluto ritirarsi per qualsivoglia pericolo, benché di morte.» ... Essendo il male contagioso, si attaccò a molti di questi compagni di Luigi, ed il primo a scoprirsi infermo fu il... Tiberio Bondi, che presto ne morì, non senza una santa invidia di Luigi, il quale, vedendo questo suo compagno già moribondo, disse ad un Padre suo condiscepolo: «O quanto volentieri cambierei con Tiberio, e morirei in luogo suo, se Dio Nostro Signore me ne volesse far grazia.» E facendogli detto Padre non so che replica, Luigi rispose: «Dico questo, perché adesso ho qualche probabilità d' essere in grazia di Dio, ma non so poi quel che sarà per l' avvenire, e però morirei volentieri.» V. CEPARI, S. I., Vita, parte 2, cap. 26. - «Pochi mesi prima che si ammalasse l' ultima volta, si sentiva rapire dal desiderio della celeste patria, e ragionava spesso e volentieri della morte. Fra le altre cose soleva dire, che, quanto più egli viveva, tanto più gli cresceva il dubbio della sua salute, e che più fosse vivuto, e coll' età maggiore gli fossero sopragiunti maggiori negozi, e fosse stato fatto sacerdote, molto più incerto sarebbe stato della salute sua. Rendeva di ciò la ragione, perché i sacerdoti, e per l' Ufficio che recitano, e per la Messa che dicono, hanno da rendere gran conto a Dio, e molto più quei che maneggiano le anime....; ma in quello stato nel quale allora si trovava, non avendo ancora gli ordini sacri, avea qualche maggior sicurezza di doversi salvare... Perciò diceva che volentieri avrebbe accettata la morte in quella età, se a Dio fosse piaciuto di tirarlo a se.» CEPARI, Vita, parte 2, cap. 25.



22 «R. P. M. Avila dicebat, ei etiam qui nonnisi mediocrem dispositionem haberet, mortem tamen potius desiderandam videri quam vitam; idque ob assiduum, in quo degimus, peccandi periculum, quod omne per mortem tollitur.» RODERICIUS, S. I., Exercitium perfectionis, pars 1, tract. 8, cap. 20, n. 8.



23 Soliloquiorum animae ad Deum liber unus, cap. 1. Inter Opera S. Augustini, ML 40-865. -Vedi Appendice, 117.



24 «Fur tibi tollit aurum: quis tollit tibi Deum? Quid habet dives, si Deum non habet? Quid non habet pauper, si Deum habet? Non ergo sperare in divitiis, ait (Apostolus); sed in Deo vivo, qui praestat nobis abundanter omnia ad fruendum (I Tim. VI, 17); cum quibus omnibus et se ipsum.» S. AUGUSTINUS, Sermo 85, (al. de Tempore, 205), cap. 3, n. 3. ML 38-521.



25 Opera S. FRANCISCI (Pedeponti, 1739), tom. 1, p. 20. - BARTH. DE PISIS, Liber conformitatum  (Mediolani, 1513), fol. 41. - Vedi Appendice, 76.



26 «Mientra menos tuviéremos acà, màs gozaremos en aquella eternidad, adonde son las moradas conforme al amor con que hemos imitado la  vida de nuestro buen Jesùs.» S. TERESA DE JESUS, Las Fundaciones, cap. 14. Obras, V, pag. 109.



27 Vedi Appendice, 97.



28 «Religiosa paupertas est curarum abdicatio, libera a curis vitae, viatrix expedita, observatio praeceptorum, ab omni molestia aliena.» S. IOANNES CLIMACUS, Scola Paradisi, Gradus 17: De paupertate ad caelum properante.



29 «O beata paupertas voluntaria, nihil in hoc saeculo possidens, nihil formidans, quoniam omnem thesaurum suum recondit in caelo. Non irruentes piratas, non insidiantes latrones, non terrae sterilitatem, non aeris tempestates pavescit. Quidquid infortunii, quidquid novi eveniat, secura est; semper hilaris, semper abundans est; et quum nihil habeat, omnia sibi communia facit, omne incommodum suo facit profectui deservire. In facie laeta, iucundiorque in corde, Deum ubique reperit provisorem: hominum facultates renuens, in solo divino innititur suffragio. Tamquam viator vacuus, et peregrinus in hoc saeculo, semper gaudet qui hac fuerit ornatus. Margaritam quippe absconditam in agro invenit... Nemo certe nisi expertus percipere sufficit quam amabilia, quam dulcia, quamve pretiosa sint, quae largitur Deus iis qui, pro ipsius amore, suis sibique renuntiant.» S. LAURENTIUS IUSTINIANUS. De disciplina et perfectione monasticae conversationis, cap. 2. Opera, Lugduni, 1628, pag. 82, col. 2 AB.



30 «Avarus terrena esurit ut mendicus, fidelis contemnit ut dominus. Ille possidendo mendicat, iste contemnendo servat... Si vere tua sunt, expende ad lucra, et pro terrenis caelestia commutato. Si non vales, (quia domina avaritia non permittit), fatere te pecuniae tuae non dominum esse, sed servum; custodem, non possessorem. Denique et conformaris crumenae tuae, tamquam servus dominae suae, dum, quomodo ille illi necessario et congaudet gaudenti et dolenti condolet, tu quoque cum crescente marsupio tuo crescis pariter animo, et cum decrescente decrescis... Hoc ille. Nos vero Sponsae curemus aemulari libertatem atque constantiam, quae, sicut bene instructa in omnibus et erudita corde in sapientia, scit et abundare, scit et penuriam pati. Cum se rogat trahi ( Trahe me post te...) ostendit quid desit sibi non pecuniae, sed virtutis. Rursum, cum se nihilominus de spe rediturae gratiae consolatur, etsi deficere, non tamen diffidere se probat.» S. BERNARDUS, In Cantica, sermo 21, n. 8. ML 183-876.



31 «In locutione enim divina mihi a Deo facta audivi commendari paupertatem pro tanto documento et pro tanto bono, quod omnino excedit intellectum nostrum. Dixit enim mihi Deus: «Ego, inquit Deus, si paupertas non esset tantum bonum, ego non dilexissem eam tantum; et si non esset ita nobilis, ego non assupsissem eam.» - «Hanc enim paupertatem mundus odit, Christus autem diligit, et elegit pro se et pro suis, ipsamque beatissimam statuendo.» B. ANGELAE FULGINATIS Vita et opuscula, (edita a Ven. Fr. Arnaldo, eius confessario), lib. 2, pars 2, De libro vitae qui est Christus, cap. 2.



32 «Rex (Licinius) iussit ab eius aspectu episcopum amoveri: cui et per urbis tribunum significans: «Condonabo, inquit, tibi erratum hoc (nempe ut imperatoris libidini sanctam virginem Glaphyram subduxisset), et insuper honores maximos adiiciam, si mihi obtemperaveris, et deis meis sacrificia obtuleris: quin etiam et eorum sacerdotum, qui hic sunt, Pontificem te constituam.» Beatus vero ille Dei minister Basileus tribuno respondit: « Haec dices Regi: Licet totum regnum tuut mihi dare volueris, numquam tantum mihi dabis quantum auferre vis, cum a Deo vivente me separare studeas, et daemonibus animarum corruptoribus adiungere, atque ab infinita, sempiterna immortalique gloria abalienare...» Acta martyrii S. Balisei (qui fuit episcopus Amaseae in Cappadocia, martyr Nicomediae in Bithynia, circa annum 322), auctore IOANNE presbytero Nicomediensi, teste in pluribus oculato, n. 11: inter Acta Sanctorum Bollandiana, die 26 aprilis.



33 «Libenter accipio beneficium quod prosit danti... Et quidem nobis in hoc bene facitis, sed vobis melius: nisi forte excidit vobis illa sententia: Beatius est dare quam accipere (Act. XX, 35). Hoc plane decet episcopum... SI quem ministerium prohibet esse pauperem, administratio probet pauperum amatorem. Non enim paupertas virtus reputatur, sed paupertatis amor.» S. BERNARDUS, Epistola 100, ad episcopum quemdam. ML 182 - 235. - «Epistola ad ducem Conradum» dice S. Alfonso nella nota. Ora, a questo duca Corrado (duca di Zeringen) viene indirizzata la lettera 97 (ML 182-229) in cui il Santo cerca di distoglierlo dal pensiero di muover guerra. Ivi (l. c., n. 2, col. 230) questo solo si legge della povertà: «Haec pauper ego, pauperum permotus clamoribus, tuae Magnificentiae scribere volui, sciens tibi honorificentius humilibus consentire quam hostibus cedere.»



34 «Videmus autem pauperes aliquos, qui, si veram haberent paupertatem, non adeo pusillanimes invenirentur et tristes, utpote reges, et reges caeli. Sed hi sunt qui pauperes esse volunt, eo tamen pacto ut nihil eis desit, et sic diligunt paupertatem ut nullam inopiam patiantur.» S. BERNARDUS, De adventu Domini sermo 4, n. 5. ML 183-49.



35 «Ne vous plaignez donc pas, ma chère Philothée, de votre pauvreté; car on ne se plaint que de ce qui déplait, et si la pauvreté vous déplait, vous n' êtes plus pauvre d' esprit, ains riche d' affection. Ne vous désolez point de n' êntre pas si bien secourue qu' il serait requis; car en cela consiste l' excellence de la pauvreté. Vouloir être pauvre et n' en recevoir point d' incommodité, c' est une trop grande ambition; car c' est vouloir l' honneur de la pauvreté et la commodité des richesses.» S. FRANÇOIS DE SALES, Introduction à la vie dévote,  3éme partie, ch. 16. - «Ne vous disais-je pas, ma chère Fille, que ce serait une belle chose d' étre pauvre pour l' amour de Notre-Seigneur, pourvu qu' on n' en reçut aucune incommodité, et qu' on eût à souhait tout ce qui est requis pour toutes nos affaires, et encore pour nous faire estimer et être plus honorés du monde? Certes, ma chère Fille, ce serait une brave pauvreté, mais le mal serait qu' on ne vous la laisserait pas si elle était ainsi. Notre-Seigneur et Notre-Dame ont bien pratiqué une autre sorte de pauvreté: une pauvreté rejetée, méprisée, vilipendée, incommodée. Encore qu' étant de la race de David et Salomon selon la chair, il est néanmoins extrêmement rejeté en la ville de David et gît en une souveraine pauvreté en la crèche, et sa Mère ne trouve pas seulement qui daigne le loger. Il le faut pratiquer et imiter, et, avec sainte Paule, préférer l' étable de Bethléem à toutes les richesses de Rome. Ma chère Fille, Dieu nous fasse bien aimer la sainte abjection et savourer les délices de la sacrée pauvreté. Amen. » S. FRANÇOIS DE SALES, Lettres, n. 2091 (Fragments), à la Mère de Chantal,  1615-1620. Œuvres, XXI, 177.



36 La B. Salomea - detta da altri Salonica - figlia di Lescone, duca di Cracovia e di Sandomira; sorella di Boleslao il Pudico, re di Polonia; fu maritata a Colomanno, figlio del re di Ungheria Andrea. Nel matrimonio, i due coniugi conservarono con mutuo consenso la verginità. Morto Colomanno circa l' anno 1225, tutta si diede alle opere di pietà. Verso l' anno 1243, o certamente prima del 1254, ebbe la consacrazione delle vergini nell' Ordine di .S. Chiara. Piena di meriti, se ne volò al cielo nel 1268, e molti miracoli confermarono la sua fama di santità. Il suo culto immemorabile fu riconosciuto dalla Santa Sede nel 1673. Da molti venne chiamata regina di Galizia, perché, nei suoi dominii, ebbe autorità come di regina. Nella sua Vita scritta da Giuseppe GUARNIERI, Parroco de' SS. Quirico e Giulitta in Roma - Roma, 1689, lib. 2, cap. 9 - si legge: «Cercò sempre modo di non essere mai sufficientemente provveduta, facendosi sempre mancare alcuna cosa del necessario. E perché le suore, mosse a compassione del vivere suo sì stentato, l' esortavano a concedere alcuna cosa di più al suo debole corpo, rispondeva: «La povertà, considerata precisamente in sé, non essere né da lodarsi né da biasimarsi; ma l' amare, nella stessa povertà, la povertà con tutte le scomodità sue, ed abbracciarle per amore di Cristo povero: questo si meritare per premio, oltre le lodi degli uomini, un Dio eternamente beatificante.» Era solita ancora dire in simili occasioni, che: «Chi nella Religione professa povertà, e non ammette seco gli amici di essa, che sono le necessità e i disagi, l' uccide, poiché trasgredisce l' osservanza giurata a Dio: dal quale una tale religiosa non solamente ne sarà severamente punita, come sacrilega; ma ancora dagli uomini saggi solennemente burlata, come sciocca, credendosi di potere essere insieme povera, e godere delle comodità, mormorando quando ne è senza.»



37 « Fece il suo passaggio (l' Arciduca Alberto, dal Portogallo agli Stati della Fiandra, nel 1595) per la città di Madrid... Si consolò assai coll' Infanta (Margherita) sua sorella, amandosi strettamente tra di loro... Questo suo fratello... vedendola in quella forma di abito così umile ed abietto, e di più stracciato, e rappezzato in molti luoghi, le disse che non andasse vestita in quella foggia, perché essendo abbastanza la povertà di quel panno umile, non accadeva che volesse poi portare quei stracci e rappezzamenti, quali poteva dismettere se ella voleva. Sorrise dolcemente l' Infanta, e rispose... che questa era la sua più bella gala... «Crede Vostra Altezza fratello mio, così gli disse, che quello che è qua oscuro e orribile, non risplenda grandemente appresso Dio? Questa povertà nella vita temporale è ricchezza nell' eterna... Più contenta me ne sto io così stracciata e rappezzata, che non sono li Regi più poderosi con tutti gli splendori delli loro reali vestimenti... E' la povertà santa, fratello mio, un gran distaccamento di spirito, nella vita riposo del corpo, e gusto nell' anima... Quanto meno si possiede, più s' acquista, e quanto più si disprezza, più si può aspettare, perché il maggior tesoro di questa vita è trasportare il suo tesoro nell' altra.» Soleva poi raccontar minutamente l' Arciduca con grande edificazione queste parole che gli disse l' Infanta sua sorella... confessando il profitto grande che cavò da questo suo ragionamento» F. GIOVANNI DE PALMA, Vita, lib. 3, cap. 15.



38 «Veramente, fra le altre perfezioni religiose, teneva ella in pregio ed amava con particolarissimo affetto l' osservanza della santa povertà, e perciò, in trattando di quella, spessissimo prorompeva in affettuose esclamazioni... Onde talora così dicea: «O felici i religiosi, che sono stati tanto onorati da Dio che la lor parte vuol esser egli stesso, poiché per amor suo con voto solenne hanno lasciato tutte le altre cose! O ricca povertà che ne fai possessori del sommo bene!» Vinc. PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 4, cap. 30. - (La Santa parla, stando in estasi: ) «Felicissimi quelli che puramente vanno seguitando te, (o Verbo,) senza possedere cosa alcuna transitoria, sendo che avranno per premio te, che sei ricchezza d' ogni ricchezza, tesoro d' ogni tesoro, e la ricchezza infinita del paradiso! Ma chi comprerà il paradiso? ove si troverà danaio che questo agguagli? Che si può dare in prezzo di bene sì grande? E chi lo crederebbe! il nulla, il nulla, ma per Dio: non posseder nulla, non bramar nulla di questo mondo, non voler altro che Iddio. Dominus pars hereditatis meae. Dico più: anzi neppure volere Iddio, se non per Dio. O altissima, o ricchissima povertà! Di questa sorte hanno il prezzo in mano da comprare il cielo quelli che son poveri, perché questi tesori si comprano con una somma povertà; e quanto più l' anima è povera, tanto più Iddio infonde in lei i suoi tesori, coi quali può comprare il paradiso. O chi non amerà questa povertà, poiché è cagione che Dio ci dà tanto gran doni. Beati pauperes spiritu. Melius est mori cum iusto, quam super divitias peccatorum multas. Quam dilecta tabernacula tua, Domine virtutum! concupiscit et deficit anima mea, dirò, nel desiderio della possessione del cielo, o nel desiderio della possessione della povertà tua, che mi vale quanto il cielo, poiché con quella vuoi che io compri il cielo, ed è il prezzo bastevole per così gran regno!» Ibid., parte 3, Quinta Notte, pag. 124.



39 «Un facoltoso mercante di Siviglia... che per l' alta stima ed affezione che portava alle Scalze, oltre al beneficarle con abbondanti limosine, giungeva fino a scopar la chiesa loro, discorrendo un dì colla Priora, supplicolla a salutare la Santa Madre a di lui nome, e farle sapere che ei desiderava essere aiutato dalle orazioni di essa. Scrisse la Priora, e la Santa di lì a poco rispose al mercatante nella seguente maniera: «Signore, già qualche tempo ha che io aveva inteso da coteste sorelle (di Siviglia) quanto V. S. le aiuti; per la qual cosa frequentemente ho pregato il Signore che la salvi. Con più di fervore ho pregato posciaché intesi il di lei desiderio dalla lettera della M. Priora. Sappia pertanto V. S. che il Signore m' ha fatto conoscere che si salverà. E perché V. S. abbia un segno onde assicurarsi che le scrivo cosa degna di fede, avverta, che dopo aver ricevuta questa mia, non le accadrà più in questo mondo alcuna cosa prosperevole.» Quanto predisse, tanto avvenne. Di lì a poco le navi del mercatante ruppero in mare, ed ei fu costretto a dichiararsi fallito... Alcuni amici... somministrarongli danaro, onde nuovamente tentar la fortuna. Ma disgrazie a disgrazie succedettero... Povero, e spogliato dei suoi averi, ma assai contento di Dio, alfin morì.» FEDERICO di S. ANTONIO, Carm. Sc., Vita,  lib. 3, cap. 18. Nuova ediz., Roma, 1837. - Questo fatto, di cui non han traccia le prime Vite della Santa, vien riferito dal P. Lireo (Adrianus Lyraeus - Van Lyere, S. I., 1661. S. Ignatii de Loyola Apophtegmata sacra, Antwerpiae, 1662, Apoph. . 3, pag. 33 et 40). Nota il P. Federico (Vita, l. c.) che, nella Fiandra, ove fiorirono le due tanto intime confidenti della Santa, Anna di Gesù e Anna di S. Bartolomeo, chiarissima era la memoria dei fatti di Teresa. D' altronde, il Lireo dice: «Certis auctoribus accepi. »



40 «Dopo la morte di S. Luigi, il P. Bernardino Medici... mi scrisse in Milano in questa guisa: «Era desiderosissimo di patire tribolazioni, e mi disse che non trovava il più evidente contrassegno di santità di alcuno, che quando lo vedeva patire con buona coscienza; cioé, vedendolo buono, e vedendolo che Dio gli dava occasione di patire.» CEPARI, Vita, parte 2, cap. 23.



41 SILOS, Ch. Reg. (Historiarum Clericorum Regularium pars altera, Romae, 1666), nel libro 4, all' anno 1606 - in cui il Ven. P. Giuseppe Caracciolo entrò nell' Ordine - scrive (p. 184): «Ubi de mundi rerumque humanarum omnium contemptione agitur, nescio an religiosi quique, ac provectioris spiritus viri post diuturnam sensuum animique exercitationem eo devenerint, quo Joseph (ancora secolare ed ammogliato) in eo vitae melioris exordio pervenerat... Filios, fratres, quibus nihil carius, ceu nihil ad se pertinerent, intrepide defungi vita, ingenti cum suae domus incommodo, vidit... Exarmaverat nempe sensum quoddam iam humanorum fastidium: carebatque lacerando pectori dente ac unguibus dolor, quem non hominum peccata aut Christi Domini cruciatus excitarent. Hinc Carolo Caracciolo... interroganti cur ad Marchionis fratris, summae spei... iuvenis, obitum, quem nullus non prosecutus lacrimis fuerat, fletum ipse continuerit? - flexo ad hilaritatem vultu: «nihil tanti, inquit, sibi esse, ut fraternis exsequiis lacrimas persolveret: servandas opportuniori usui eas esse, ac flendum solummodo pro Redemptoris morte, qui pater et frater et sponsus est.» Quo quidem in funere, cum matrem sororemque lus nimio indulgere lacrimis ac dolori cerneret, hac praesertim animadversione temperare exundantem fuse luctum studuit: «Meminerint, videlicet, Salvatoris nostri cruciatus, ac funus peracerba ea comploratione dignum: mortalibus, aut nulla, aut brevi lacrima parentandum.»



42 Vita, cap. 22. -Vedi Appendice, 98.



43 BACCI, Vita, lib. 1, cap. 18. «La ragione di questa sua renitenza, che ai suoi pareva troppo dura, era perché non voleva esser domandato Fondatore di Congregazioni: nome molto alieno dal basso concetto che avea di se stesso; oltre che dicea non voler fuggire la croce, e quel luogo nel quale il Signore gli aveva dato tante occasioni di meritare; e finalmente, perché, essendo stato quivi per lo spazio di trentatré anni non poteva indursi a non conseguire il fine di così lunga perseveranza.» L. c., n. 2.



44 «Come si diportasse egli nella scelta della casa dove andava a curarsi, ne lo riferisca lo stesso P. Priore Diego della Concezione, che vi fu presente. « Essendo, egli dice, necessario di condurre il N. P. F. Giovanni della Croce ad un altro luogo, io, come Priore, trattavo che andasse al Collegio di Baeza, e non al Convento di Ubeda, per essere quella casa più a proposito, ed esservi Rettore il P. F. Angelo della Presentazione, grande amico del Santo: laddove Ubeda era una nuova fondazione, poco opportuna ad infermi, e la governava un Priore alquanto severo, e non molto amico di S. Giovanni. Nientedimeno, egli ricusò di andare a Baeza, appunto perché il Rettore era suo amico, ed egli, siccome fondatore di detto Collegio, assai conosciuto  in quella città: per la qual cosa elesse di portarsi ad Ubeda.» MARCO DI S. FRANCESCO, Carm. S., Vita di S. Giovanni della Croce, lib. 3. cap. 5.



45 «Muchas veces os lo digo, hermanas, y ahora lo quiero dejar escrito aquì porque no se os olvide, que en esta casa, y aun toda persona que quisiere ser perfeta, huya mil leguas de «razòn tuve», «hiciéronme sinrazòn», «no tuvo razòn quien esto hizo conmigo»: de malas razones nos libre Dios. Parece que habia razòn para que nuestro buen Jesùs sufriese tantas injurias, y se las hiciesen, y tantas sinrazones? La que no quisiere llevar cruz, sino la que le dieren muy puesta en razòn, no sé yo para qué esta en el monasterio; tòrnese al mundo adonde aun no le guardaràn esas razones. Por ventura podeis pasar tanto que no debàis màs? Qué razòn es ésta? Por cierto, yo no la entiendo.» S. TERESA, Camino de perfecciòn, cap. 13 (in principio). Obras, III, Burgos, 1916, p. 63.



46 «Virgines sanctae ex superna curia eum aliquando visitabant... Quidam Fratres... iuxta cellam ejus transeuntes... mulierum voces audientes... in Capitulo... accusaverunt eum... Interrogatur... nec exlicat... nec tamen fatetur... Iubet igitur Prior a conventu illo Fr. Petrum discedere... Paenitentiam humiliter suscipit... Quadam autem nocte... piam querelam faciens ad Crucifixum, dicebat: «Mi Domine, tu scis in causa illa innocentiam meam: cur permisisti me sic iudicari?» Et Crucifixi imago ad eum: «Et ego, Petre, quid feci mali, ut cum tantis opprobriis et contumeliis condemnarer ad crucem? Disce ergo exemplo meo omnia aequanimiter ferre.» THOMAS DE LENTINO (coaevus), O. P., Vita, cap. 1, n. 6: inter Acta Sanctorum Bollandiana, die 29 aprilis. - «Cum ob fidei constantiam et devotionem... multas persecutiones et molestias pateretur... quadam die apud Mediolanum ante Crucifixi imaginem... cum lacrimis... se prostravit, et... dixit: «Domine Iesu Christe.. tu scis me non egisse ea propter quae tantas susstinere merear angustias.» Cui protinus imago Crucifixi respondit: «Fr. Petre, et ego quid egi ut crucis supplicium sustinerem? Verumtamen confide, quia ego tecum sum et ad me cum corona honoris et gloriae venies.» Ibid., cap. 3, n. 24.



47 «Delphina sancta virgo (ambo enim consenserant de virginitate in matrimonio servanda)... admirans tam insignem in illo (qui vir praecipuus nobilitate erat, et comes Ariani) patientiam... intra conclave ait ad eum: «Quid hominis es tu, Elzeari, qui numquam erga illos, qui te iniuria afficiunt, commoveris? Videris esse trunci instar aut statuae, nihil sentientis. Et tamen patibilis es, et homo mundanus. Aut fortasse vel nescis vel non potes irasci. Et quid, obsecro, officeret malis, qui interdum iniuste te laedunt, si te quandoque iratum illis ostenderes? » Ad haec homo lenissimus respondit: «Ecquid vero, Delphina, prodest irasci? Nihil profecto: attamen explicabo ego tibi arcanum pectoris mei. Noveris me interdum sentire aliquam in animo adversus infestantes me indignationem; sed illico me converto ad cogitandas iniurias Christo illatas, eumque imitari cupiens, dico mihi ipsi: Etiamsi famuli tui barbam tuam convellerent et colaphos tibi infrinferent, nihil esset a Dominum tuum, qui maiora perpessus est. Certumque habeas, Delphina, me numquam cessare a commemorandis iniuriis Salvatoris mei, donec animus meus plane sit tranquillatus. Atque hanc fateor me a Domino habere peculiarem gratiam, ut eos qui mihi iniuriosi sunt, vel aeque ut ante, vel plus etiam amem, et pro eis specialiter orem; agnoscamque et confitear me maioribus et atrocioribus iniuriis dignum esse.» WADDINGUS, Annales Minorum, anno 1319, n. 5.






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