Copertina | Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
S. Alfonso Maria de Liguori
Riflessioni Devote sopra diversi punti...

IntraText CT - Lettura del testo
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

- 291 -


§. 29. La pena di aver perduto Dio è quella che fa l'inferno.

 

La gravità della pena dee corrispondere alla gravità del delitto. Il peccato mortale si definisce da' teologi con due parole: Aversio a Deo, una voltata di spalle che si fa a Dio. Ed in ciò consiste la malizia del peccato mortale, consiste nel disprezzare la divina grazia e spontaneamente voler perdere Iddio sommo bene; onde giustamente nell'inferno la massima pena del peccatore è la pena di aver perduto Dio.

 

Son grandi ancora le altre pene dell'inferno, il fuoco che divora, le tenebre che accecano, le grida de' dannati che assordano, la puzza che basterebbe a far morire quei miserabili se potessero morire, la strettezza che opprime e impedisce il respiro; ma tutte queste pene son niente a rispetto della perdita di Dio. Nell'inferno si


- 292 -


piange eternamente da' reprobi ed il soggetto più amaro del loro pianto è il pensar che per colpa propria han perduto Dio.

 

Oh Dio, e qual bene han perduto! In questa vita gli oggetti presenti, le passioni, le occupazioni temporali, i piaceri sensibili e gli avvenimenti avversi c'impediscono di considerare la infinita bellezza e bontà di Dio; ma uscita che è l'anima dal carcere del corpo, non vede subito Dio qual è, perché se lo vedesse sarebbe subito beata; ma conosce che Iddio è un bene infinito, infinitamente bello e degno d'infinito amore; onde essendo creata per vedere ed amare questo Dio vorrebbe subito andare ad unirsi con lui; ma stando ella in peccato trova un muro impenetrabile, qual è appunto il peccato che le chiude la via per sempre di andare a Dio. Signore, vi ringrazio che questa via non è ancora chiusa per me come ho meritato, posso ancora venire a voi. Ne proiicias me a facie tua, deh non mi discacciate.

 

L'anima ch'è creata per amare il suo Creatore, dall'amor naturale non può non sentirsi spinta ad amare il suo ultimo fine ch'è Dio: in questa vita le tenebre del peccato e gli affetti terreni tengono sopita questa inclinazione ch'ella ha di unirsi con Dio, e perciò non l'affligge molto il vedersene separata; ma quando lascia il corpo ed è liberata dai sensi, allora intende con chiara luce che solo Dio può contentarla. Onde allorch'ella è sciolta dal corpo subito si slancia per abbracciarsi col suo sommo bene, ma trovandosi in peccato si vedrà come respinta da Dio. Ma benché respinta non cesserà di sentirsi sempre tirata ad unirsi a Dio, e questo sarà il suo inferno, vedersi sempre tirata a Dio e sempre da lui discacciata.

 

Almeno la misera, se ha perduto Dio e non può più vederlo, potesse consolarsi con amarlo; ma no, perché essendo stata ella abbandonata dalla grazia e fatta schiava del suo peccato, le si è pervertita la volontà; onde da una parte si vedrà sempre tirata ad amar Dio e dall'altra si sentirà costretta ad odiarlo. Sicché nello stesso tempo che conosce Dio degno d'un amore e lode infinita, ella l'odia e lo maledice!

 

Potesse almeno in quella carcere di tormenti rassegnarsi alla divina volontà come fanno le anime sante del purgatorio, e benedir la mano di quel Dio che giustamente la flagella! Non può rassegnarsi, perché a far ciò le è necessario l'aiuto della grazia; ma questa (come si è detto) l'ha abbandonata; ond'ella non può unir la sua volontà a quella di Dio, poiché la sua è tutta contraria alla divina.

 

Ciò fa poi che l'infelice rivolga tutto l'odio contro se stessa, e così vivrà sempre lacerata da diversi affetti; vorrebbe vivere, vorrebbe morire: vuol vivere da una parte, per sempre odiare Iddio ch'è l'oggetto del suo maggior odio; dall'altra parte vorrebbe morire per non sentire la pena che prova in averlo perduto, ma vede che non può più morire. Onde vivrà per sempre in una continua agonia di morte. Preghiamo Dio per li meriti di Gesù Cristo a liberarci dall'inferno: e specialmente dee pregarlo chi si trova in sua vita di aver perduto Dio con qualche peccato grave.

 

Signore (dica) salvatemi, e perciò legatemi sempre più a voi col vostro s. amore: raddoppiate queste s. e dolci catene di salute che sempre più mi


- 293 -


stringano con voi. Misero me, che disprezzando la vostra grazia mi ho meritato di star sempre diviso da voi mio sommo bene e di odiarvi per sempre! Vi ringrazio di avermi sopportato quand'io stava in disgrazia vostra: che ne sarebbe di me se allora fossi morto? Ma giacché mi avete prolungata la vita, fate che questa non mi serva per più disgustarvi, ma solo per amarvi e piangere i disgusti che vi ho dati. Gesù mio, da oggi avanti voi sarete l'unico mio amore, e l'unico mio timore non sarà altro che di offendervi e dividermi da voi. Ma io, se non mi soccorrete non posso niente; nel vostro sangue spero che mi darete l'aiuto di esser tutto vostro, mio Redentore, mio amore, mio tutto, Deus meus et omnia. O grande avvocata de' peccatori Maria, aiutate un peccatore che a voi si raccomanda ed in voi confida.

 

Se vogliamo assicurarci di non perdere Dio diamoci da vero tutti a Dio. Chi non si tutto a Dio sta sempre in pericolo di voltargli le spalle e perderlo; ma un'anima che risolutamente si stacca da tutto e si tutta a Dio non lo perde più; perché Dio stesso non permetterà che un'anima che di cuore gli si è data tutta gli volti poi le spalle e lo perda. Quindi diceva un gran servo di Dio che quando si leggono le cadute di taluni che prima avean dimostrato di fare una vita santa, bisogna giudicare che quelli non si erano dati tutti a Dio.

 




Precedente - Successivo

Copertina | Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

IntraText® (V89) © 1996-2006 EuloTech