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S. Alfonso Maria de Liguori Rifless. sulla Passione di Gesù Cristo IntraText CT - Lettura del testo |
CAPO VI - Riflessioni sui prodigi avvenuti nella morte di Gesù Cristo
1. Si porta, come scrive Cornelio a Lapide in S. Matteo (c. XXVII, v. 45),1 che S. Dionigi Areopagita stando in Eliopoli di Egitto disse un giorno nel tempo della morte di Gesù Cristo: Aut Deus naturae auctor patitur, aut mundi machina dissolvitur. Ma altri, come Michele Sincello2 ed il Suida,3
portano ciò altrimenti: dicono aver detto: Deus ignotus in carne patitur, ideoque universum hisce tenebris obscuratur. Ed Eusebio (Praepar. evang. lib. V, cap. 9) scrive da Plutarco,4 che nell'isola di Praxas s'intese una voce che disse: Magnus Pan mortuus est. Ed in seguito a tal voce, si udì un grido di molti che piangeano. Eusebio interpretò la parola Pan per Lucifero che per la morte di Cristo restava quasi morto in vedersi spogliato dell'imperio che tenea sovra degli uomini; ma il Barrada l'intende per la stessa persona di Cristo, mentre nel greco la voce Pan e lo stesso che il tutto, qual'è appunto Gesù Cristo Figlio di Dio: il tutto, cioè ogni bene.
2. Quel che abbiamo dal Vangelo è che nel giorno della morte del Salvatore, dall'ora di sesta sino a nona, tutta la terra fu coverta di tenebre: A sexta autem hora tenebrae factae sunt super universam terram usque ad horam nonam (Matth. XXVII, 45). E nel punto che Gesù spirò, squarciossi per mezzo il velo del tempio, e sopravvenne un tremuoto universale che fracassò più montagne: Et ecce velum templi scissum est in duas partes a summo usque deorsum; et terra mota est et petrae scissae sunt (Matth. XXVII, 51).
3. Parlando delle tenebre, riflette S. Girolamo (In cap. 8, Amos) che questa oscurità ben fu prenunziata dal riferito profeta con quelle parole: Erit in die illa, dicit Dominus Deus: Occidet sol in meridie et tenebrescere faciam terram in die luminis (Amos VIII, 9).5 Onde S. Girolamo così poi commentò questo testo, dicendo che allora sembrò avere il sole ritirata
la sua luce, affinché non ne godessero i nemici di Gesù Cristo: Videtur sol retraxisse radios suos, ne impii sua luce fruerentur.6 Aggiunge nello stesso luogo che il sole si nascose, come non ardisse di mirare il Signore appeso in croce: Retraxit radios suos, pendentem in crucem Dominum spectare non ausus.7 Ma più propriamente scrive S. Leone che allora vollero tutte le creature dimostrare a lor modo il loro dolore nella morte del comun Creatore: Pendente in patibulo Creatore, universa creatura congemuit (S. Leo, De Pass.).8 All'istesso sentimento si unisce Tertulliano che, parlando specialmente delle tenebre, dice che il mondo con quell'oscurità volle quasi celebrare l'esequie del nostro Redentore: A sexta ora contenebratus orbis lugubre Domino fecit officium (Tert., De ieiun. c. 3).9
4. Avvertono S. Atanasio, S. Grisostomo e S. Tommaso10 che questa oscurità fu tutta prodigiosa, poiché in quel giorno non poteva accadere per l'ecclisse della luna interposta tra la terra ed il sole: mentre questo ecclisse, come parlano gli astronomi, doveva accadere nel novilunio, non già nel plenilunio
qual era in quel giorno. Di più essendo il sole molto più grande della luna, non potea la luna occupar la luce del sole; ma, come dice il vangelo, le tenebre furono sparse allora per tutta la terra. In oltre, ancorché la luna avesse potuto occupare la luce del sole, noi sappiamo che il corso del sole è molto veloce, onde l'oscurità appena sarebbe durata pochi minuti; ma afferma il Vangelo che l'oscurità durò per tre ore continue dalla sesta sino alla nona. Questo prodigio delle tenebre espose appunto Tertulliano nella sua Apologia (al capo 21) a' gentili, dicendo loro che negli stessi loro archivi stava notato questo gran prodigio dell'oscuramento del sole: Eodem momento (in cui Cristo spirò) diei, medium orbem signante sole, lux subducta est. Eum mundi casum relatum in archiviis
vestris habetis (Tert. Apol. capo 21).11 Eusebio, in conferma di ciò, nella sua cronaca riferisce le parole di Flegonte, liberto di Augusto,12 autore di quel tempo, il quale avea scritto in questo modo: Quarto anno Olympiadis 202 factum est deliquium solis, omnibus cognitis maius, et nox facta est hora diei sexta, ita ut stellae in caelo conspicerentur.13
5. Dicesi di più nel Vangelo di S. Matteo: Et ecce velum templi scissum est in duas partes a summo usque deorsum (Matth. XXVII, 51). Scrive poi l'Apostolo14 che così nel tabernacolo come nel tempio, vi era il Sancta Sanctorum, dov'era l'arca del Testamento che contenea la manna, la verga di Aronne, e le tavole del testamento; e quest'arca era il propiziatorio. Nel primo tabernacolo, che stava davanti del Sancta
Sanctorum ed era coverto dal primo velo, entravano i soli sacerdoti a fare i loro sacrifici, e 'l sacerdote che ivi sagrificava, intingendo il dito nel sangue della vittima offerta, ne spruzzava sette volte il velo.15 Ma nel secondo tabernacolo del Sancta Sanctorum, che stava sempre chiuso e coverto dal secondo velo, entrava solamente il sommo sacerdote e vi entrava una sola volta l'anno, portando del sangue della vittima che per se stesso offeriva.16 Tutto era misterio: il santuario sempre chiuso dinotava la separazione degli uomini dalla divina grazia, che non avrebbero mai ricevuta se non per mezzo del gran sagrificio che Gesù Cristo doveva un giorno offerir di se stesso, figurato già in tutti gli antichi sagrifici e perciò chiamato da S. Paolo pontefice de' beni futuri, che per un tabernacolo più perfetto, cioè per lo suo corpo sagrosanto assunto, doveva entrar nel Sancta Sanctorum del cospetto divino qual mediatore fra Dio e gli uomini, offerendo il sangue, non già degl'irci e de' vitelli, ma il suo proprio sangue, col quale doveva consumar l'opera dell'umana Redenzione e così aprire a noi l'ingresso nel cielo.
6. Ma udiamo le proprie parole dell'Apostolo: Christus autem assistens pontifex futurorum bonorum per amplius et perfectius tabernaculum, non manufactum id est non huius creationis, neque per sanguinem hircorum aut vitulorum, sed per proprium sanguinem introivit semel in sancta, aeterna redemptione inventa (Hebr. IX, 11). Si dice ivi, pontifex futurorum bonorum, a differenza de' pontefici di Aronne che impetravano beni presenti e terreni; ma Gesù Cristo avea da ottenerci i beni futuri che sono celesti ed eterni. Dicesi per amplius et perfectius tabernaculum, quale fu la santa umanità
del Salvatore, che fu già tabernacolo del Verbo divino; non manufactum, perché il corpo di Gesù non fu formato per opera d'uomo, ma dello Spirito Santo. Dicesi, neque per sanguinem hircorum aut vitulorum, sed per proprium sanguinem, poiché il sangue degl'irci e de' vitelli ottenea solamente la purificazione della carne, ma il sangue di Gesù Cristo ottiene la purificazione dell'anima colla remissione de' peccati. Dicesi, introivit semel in sancta, aeterna redemptione inventa. Questa parola inventa dinota che tal Redenzione non poteva essere da noi né pretesa né aspettata prima delle divine promesse, ma solamente fu ritrovata dalla divina bontà; e dicesi aeterna, perché il sommo sacerdote degli Ebrei una sola volta l'anno entrava nel Sancta, ma Gesù Cristo, consumando una sola volta il sagrificio colla sua morte, ha meritata a noi una Redenzione eterna che basterà per sempre, ad espiare tutti i nostri peccati, come scrive lo stesso Apostolo: Una enim oblatione consummavit in sempiternum sanctificatos (Hebr. X, 14).
7. Soggiunge l'Apostolo: Et ideo novi testamenti mediator est (Hebr. IX, 15). Mosè fu mediatore dell'antico Testamento, cioè dell'antica alleanza, la quale non avea virtù di ottenere agli uomini la riconciliazione con Dio e la salute: poiché, come spiega S. Paolo in altro luogo, la vecchia legge nihil... ad perfectum adduxit (Hebr. VII, 19): ma Gesù Cristo, nella nuova alleanza, pienamente soddisfacendo la divina giustizia per li peccati degli uomini, ottenne loro per li suoi meriti il perdono e la divina grazia. Si offendeano i Giudei in sentire che il Messia con una morte così obbrobriosa avesse operata l'umana Redenzione; dicendo aver imparato dalla legge che il Messia non dovea morire, ma sempre vivere: Audivimus ex lege, quia Christus manet in aeternum (Io. XII, 34). Ma affatto erravano, poiché la morte fu il mezzo per cui Gesù Cristo si rendé mediatore e salvatore degli uomini; giacché per la morte di Gesù Cristo fu fatta la promessa dell'eterna eredità a coloro che vi son chiamati: Et ideo novi testamenti mediator est, ut morte intercedente in redemptionem earum praevaricationum quae erant sub priori testamento, repromissionem accipiant, qui vocati sunt, aeternae haereditatis (Hebr. IX, 15). Quindi S. Paolo ci anima a riporre tutte le nostre speranze nei meriti della morte di Gesù Cristo: Habentes itaque, fratres, fiduciam in introitu sanctorum in sanguine Christi, quam initiavit nobis
viam novam et viventem per velamen, id est carnem suam ( Hebr. X, 19, 20). Noi, dice, abbiamo un gran fondamento di sperare la vita eterna nel sangue di Gesù Cristo, che ci ha aperta la via nuova del paradiso. Si dice nuova, perché prima da niun altro era stata calcata; ma Gesù calcandola l'ha aperta a noi per mezzo della sua carne sagrificata nella croce, della quale fu figura il velo: perché, siccome scrive S. Gio. Grisostomo, col velo scisso nella Passione del Signore restò aperto il Sancta Sanctorum, così la carne di Cristo, squarciata nella Passione, aprì a noi il cielo che stava chiuso.17 Ci esorta pertanto lo stesso Apostolo ad andare con confidenza al trono della grazia a ricever la divina misericordia: Adeamus ergo cum fiducia ad thronum gratiae, ut misericordiam consequamur et gratiam inveniamus in auxilio opportuno (Hebr. IV, 16). Questo trono di grazie è appunto Gesù Cristo, a cui ricorrendo noi miseri peccatori in mezzo a tanti pericoli ne' quali stiamo di perderci, ritroveremo quella misericordia che noi non meritiamo.
8. Ritorniamo al testo citato di S. Matteo (cap. XXVII, 50 et 51): Iesus autem iterum clamans voce magna emisit spiritum; et ecce velum. templi scissum est in duas partes, a summo usque deorsum. Or questo intiero squarciamento dall'alto sino al basso, avvenuto nel momento della morte di Gesù Cristo, che fu noto a tutti i sacerdoti ed al popolo, non poté avvenire senza un prodigio soprannaturale; poiché il velo non avrebbe potuto senza prodigio, per lo solo tremuoto, squarciarsi intieramente dall'alto al basso. Ma ciò avvenne per significare che Dio non volea più questo santuario chiuso, ordinato dalla legge: ma ch'egli stesso d'allora innanzi voleva essere il santuario aperto a tutti per mezzo di Gesù Cristo. Scrive S. Leone (Serm. X, de Pass. cap. 5) che il Signore con tale squarciamento dimostrò chiaramente che finiva l'antico sacerdozio e cominciava il sacerdozio eterno di Gesù Cristo: e che restavano
aboliti i sagrifici antichi e costituita una nuova legge, secondo quel che scrisse l'Apostolo: Translato enim sacerdotio, necesse est ut et legis translatio fiat (Hebr. VII, 12).18 E con ciò noi siamo stati fatti certi che Gesù Cristo è il fondatore cosi della prima, che della seconda legge; e che la legge antica, il tabernacolo, il sacerdozio e gli antichi sagrifici, non miravano che il sagrificio della croce che dovea operare la Redenzione umana. E cosi tutto quel che prima nella legge, ne' sagrifici, nelle feste e nelle promesse, era oscuro e misterioso, divenne chiaro nella morte del Salvatore. In somma dice Eutimio che il velo diviso dinotò esser già tolto il muro che frapponeasi tra il cielo e la terra, sicché restava aperta agli uomini la via per andare al cielo senza impedimento: Scissum velum significavit divisum iam esse parietem inter caelum et terram, qui inter Deum erat et homines, et factum esse hominibus caelum pervium.19
9. Dicesi inoltre nel Vangelo: Et terra mota est et petrae scissae sunt (Matth. XXVII, 51). È fama che nella morte di Gesù Cristo vi fu un tremuoto grande ed universale, in modo che fu scosso tutto il globo della terra, come scrive Orosio (Lib. VII, cap. 4).20 E Didimo (Catena graec. in Iob, c. 9) scrive che la terra fu allora smossa fin dal suo centro.21 Di più Flegonte,
liberto di Adriano imperatore, citato da Origene e da Eusebio all'anno di Cristo 33, scrive che con questo tremuoto accadde una gran ruina di edifici in Nicea di Bitinia.22 Di più Plinio (Lib. III, cap. 84)23 che visse al tempo di Tiberio, sotto cui morì Cristo, e Svetonio (In Tiber. cap. 84) attestano che nell'Asia in questo tempo, per lo gran tremuoto che vi fu, caddero dodici città; e con ciò vogliono gli eruditi che si adempisse la profezia di Aggeo: Adhuc unum modicum est, et ego commovebo caelum et terram (Aggaei, II, 7). Onde scrisse poi S. Paolino che Gesù Cristo, benché trafitto in croce, per dimostrare qual egli era, anche dalla croce atterrì il mondo: In cruce fixus, e cruce terruit orbem.24
10. Agricomio poi (In descript. Ierus., n. 152) porta che di questo tremuoto sino ad oggi vedonsi i segni nello stesso
monte Calvario,25 dalla parte sinistra, scorgendosi ivi una fissura larga quanto può capire un corpo umano, e così profonda, che non si è potuto investigarne il fondo. Il Baronio all'anno di Cristo 34 (Num. 107)26 narra che in molte altre parti, per lo stesso tremuoto, si videro aperti i monti: specialmente nel promontorio di Gaeta vedesi oggidì una montagna di pietra viva, della quale è fama che nella morte del Signore ella si aprì per mezzo dalla cima sino al fondo, ed apparisce chiaramente che l'apertura fu prodigiosa; poiché quest'apertura è sì grande che vi passa il mare per mezzo, e quel che si vede mancante in una parte, vedesi a proporzione cresciuto nell'altra. La stessa tradizione vi è per lo monte Colombo vicino a Rieti, per lo Monserrato in Ispagna, e per più altri
monti aperti in Sardegna dintorno alla città di Cagliari; ma più ammirabile è quel che si vede nel monte Alvernia in Toscana, dove S. Francesco ricevé il dono delle sagre stimmate, e dove si mirano molti massi smisurati di pietra rovinati l'un sopra l'altro: e si scrive essere stato rivelato a S. Francesco da un angelo che appunto fu quello uno de' monti che caddero nella morte di Gesù Cristo, come porta il Vaddingo (Annal. Minor., an. 1215, n. 15).27 Scrisse S. Ambrogio (Lib. X in Luc.): O duriora saxis pectora Iudaeorum! finduntur petrae, sed horum corda durantur!28
11. Seguita S. Matteo a descrivere i prodigi accaduti nella morte di Cristo, e dice: Et monumenta aperta sunt, et multa corpora sanctorum qui dormierant surrexerunt; et exeuntes de monumentis post resurrectionem eius venerunt in sanctam civitatem, et apparuerunt multis (Matth. XXVII, 52 et 53). Scrive su di ciò S. Ambrogio (L. X in Luc.): Monumentorum reseratio quid aliud, nisi, claustris mortis effractis, resurrectionem significat mortuorum?29 Sicché l'apertura de' sepolcri significò la sconfitta data alla morte e la vita restituita agli uomini col lor risorgimento. Avvertono poi S. Girolamo, il Ven. Beda e S. Tommaso30 che quantunque nella morte di Cristo si aprissero i sepolcri, nondimeno i morti non risorsero se non dopo la risurrezione del Signore, come specialmente scrive S. Girolamo: Tamen cum monumenta aperta sunt, non antea resurrexerunt, quam Dominus resurgeret, ut esset primogenitus resurrectionis ex mortuis.31 E ciò è secondo quel che dice l'Apostolo (Coloss. I, 18), dove Gesù Cristo è chiamato primogenito de' morti e 'l primo de' risorgenti: Principium, primogenitus ex mortuis, ut sit in omnibus ipse primatum tenens (Loc. cit.): poiché non era conveniente che altr'uomo risorgesse prima di colui che avea trionfato della morte.
12. Dicesi in S. Matteo che molti santi risorsero allora ed, uscendo da' sepolcri, apparvero a molti. Questi risorti furon
già quei giusti che avean creduto e sperato in Gesù Cristo; e Dio volle così onorargli in premio della loro fede e confidenza nel futuro Messia, secondo la predizione di Zaccaria, nella quale il profeta parlando al futuro Messia disse: Tu quoque in sanguine testamenti tui emisisti vinctos tuos de lacu in quo non est aqua (Zach. IX, 11). Cioè: tu ancora, o Messia, per lo merito del tuo sangue scendesti nella carcere e liberasti quei santi carcerati da quel lago sotteraneo - cioè dal limbo de' padri in cui non vi era acqua di gaudio - e li portasti nella gloria eterna.
13. Siegue poi a dire S. Matteo che il centurione e gli altri soldati suoi sudditi, che furono i ministri della morte del Salvatore, non ostante che i Giudei seguissero ostinatamente ad approvar la morte ingiusta a lui data, essi nondimeno, mossi da quei prodigi delle tenebre e del tremuoto, lo riconobbero per vero Figlio di Dio: Centurio autem et qui cum eo erant custodientes Iesum, viso terrae motu et his quae fiebant, timuerunt valde dicentes: Vere Filius Dei erat iste (Matth. XXVII, 54). Questi soldati furon già le felici primizie de' gentili che abbracciaron la fede di Gesù Cristo dopo la di lui morte; mentre per li di lui meriti ebber la sorte di riconoscere il lor peccato e di sperarne il perdono.
14. Soggiunge S. Luca che tutti gli altri che si trovarono alla morte di Gesù Cristo ed ai prodigi narrati, se ne tornarono percotendosi il petto in segno del loro pentimento di aver cooperato o almeno applaudito alla morte del Salvatore: Et omnis turba eorum qui simul aderant ad spectaculum istud et videbant quae fiebant, percutientes pectora sua revertebantur (Luc. XXIII, 48). Ed indi, come abbiamo dagli Atti Apostolici, anche molti de' Giudei, essendosi compunti alle prediche di S. Pietro, gli dimandarono che cosa dovesser fare per salvarsi; e S. Pietro rispose loro che facessero penitenza e si battezzassero; il che già eseguirono sino al numero di tre mila persone: Qui ergo receperunt sermonem eius baptizati sunt, et appositae sunt in die illa animae circiter tria millia (Act. II, 41).
15. Vennero poi i soldati, e ruppero le gambe de' due ladroni; ma essendo venuti a Gesù e vedendolo già morto, si astennero di fargli lo stesso; ma uno di essi colla lancia gli aprì il costato, da cui subito uscì sangue ed acqua: Sed unus militum lancea latus eius aperuit, et continuo exivit sanguis et aqua
(Io. XIX, 34). Scrisse S. Cipriano che la lancia andò direttamente a ferire il Cuore di Gesù Cristo.32 E ciò fu anche rivelato a S. Brigida (Rev. l. 2. cap. 21): Lancea attigit costam, et ambae partes cordis fuerunt in lancea.33 Quindi si crede che intanto col sangue uscisse anche l'acqua dal lato del Signore, in quanto la lancia giungendo a ferire il Cuore di Cristo, dové prima rompere il pericardio che stava posto davanti il Cuore. Scrive di più S. Agostino (Serm. CXX, in Io.) che S. Giovanni intanto disse aperuit, perché allora si aprì nel Cuore del Signore la porta della vita, dalla quale uscirono i sagramenti, per mezzo dei quali si entra alla vita eterna: Ut illic quodammodo vitae ostium panderetur, unde sacramenta Ecclesiae manaverunt, sine quibus ad vitam non intratur.34 Pertanto dicesi poi che il sangue ed acqua usciti dal costato di Gesù Cristo furon figura de' sagramenti, perché l'acqua è simbolo del battesimo, ch'è il primo de' sagramenti, e 'l sangue si contiene nell'Eucaristia ch'è il massimo de' sagramenti. In oltre dice S. Bernardo che Gesù Cristo, con quella ferita visibile che accettò, volle farci intendere la ferita invisibile d'amore, del quale egli teneva il Cuore impiagato per noi: Propterea vulneratum est, ut per vulnus visibile, vulnus amoris invisibile videamus: carnale ergo vulnus, vulnus spirituale ostendit.35 E poi conchiude: Quis illud Cor tam vulneratum non diligat? (S. Bern.
Serm. 3 de Pass.).36 S. Agostino, parlando dell'Eucaristia, dice che il santo sagrificio della Messa oggi non è meno efficace davanti a Dio, di quel che furono il sangue e acqua che uscirono in quel giorno dal costato ferito di Gesù Cristo: Non minus hodie in conspectu Patris oblatio illa est efficax, quam die qua de saucio latere sanguis et aqua exivit (S. Aug. in Ps. 85).37
16. Terminiamo questo capo con far qualche riflessione sopra la sepoltura di Gesù Cristo.
Gesù venne al mondo non solo per redimerci, ma anche per insegnarci col suo esempio tutte le virtù, e specialmente l'umiltà e la santa povertà, compagna indivisibile dell'umiltà. E perciò volle nascer povero in una grotta, viver povero in una bottega per trent'anni, e finalmente volle morir povero e nudo su d'una croce, sino a vedersi dividere sotto gli occhi propri tra' soldati le sue proprie vesti prima di spirare; e dopo che fu morto, gli fu di bisogno ricever da altri un lenzuolo di limosina per esser seppellito. Si consolino i poveri mirando Gesù Cristo, re del cielo e della terra, vivere e morir così povero per render noi ricchi de' suoi meriti e de' suoi beni, come scrive l'Apostolo: Quoniam propter vos egenus factus est, cum esset dives, ut illius inopia vos divites essetis (II Cor. VIII, 9). A questo fine i santi, per rendersi simili a Gesù povero, han disprezzate tutte le ricchezze ed onori terreni, affin di andare un giorno a godere con Gesù Cristo le ricchezze e gli onori celesti apparecchiati da Dio a coloro che l'amano: de' quali beni parlando l'Apostolo scrisse: Quod oculus non vidit, nec auris audivit, nec in cor hominis ascendit quae praeparavit Deus iis qui diligunt illum (I Cor. II, 9).
17. Risorse poi Gesù Cristo colla gloria di possedere, non solo come Dio, ma anche come uomo, ogni potenza nel cielo e nella terra; onde tutti gli angeli ed uomini sono suoi sudditi. -Rallegriamoci noi intanto in veder così glorificato il nostro Salvatore, il nostro padre e 'l nostro migliore amico che abbiamo. E rallegriamoci con noi stessi, mentre la risurrezione di Gesù Cristo è per noi un pegno sicuro della risurrezione nostra e della gloria che speriamo un giorno di avere nel cielo, così nell'anima come nel corpo. Questa speranza diè vigore ai santi martiri di soffrir con allegrezza tutti i mali di questa terra ed i tormenti più crudeli de' tiranni. Ma bisogna persuadersi che non godrà con Gesù Cristo chi non vuol patire quaggiù con Gesù Cristo: né otterrà la corona chi non combatte come dee combattere: Et qui certat in agone non coronatur nisi legitime certaverit (II Tim. II, 5). Ma stiam persuasi ancora di quel che dice lo stesso Apostolo, che tutti i patimenti di questa vita son molto brevi e leggeri a rispetto de' beni immensi ed eterni che speriamo godere in paradiso: Quod in praesenti est momentaneum et leve tribulationis nostrae... aeternum gloriae pondus operatur in nobis (II Cor.
IV, 17).38 Attendiamo pertanto a star sempre in grazia di Dio ed a chiedergli continuamente la perseveranza nella sua grazia: altrimenti, senza la preghiera e perseverante preghiera, non otterremo questa perseveranza, e senza la perseveranza non conseguiremo la salute.
18. O dolce, o amabile mio Gesù, come avete potuto tanto amare gli uomini, che per dimostrare ad essi il vostro amore non avete ricusato di morire svenato e svergognato sovra d'un legno infame? Oh Dio, e come poi son tanto pochi tra gli uomini quei che v'amano di cuore? Ah caro mio Redentore, tra questi pochi voglio essere anch'io. Misero, per lo passato mi sono scordato del vostro amore, ed ho cambiata la vostra grazia per miseri diletti! Conosco il male che ho fatto; me ne dolgo con tutto il cuore; vorrei morirne di dolore. Ora, amato mio Redentore, io v'amo più di me stesso, e son pronto a morir mille volte, prima che perdere la vostra amicizia. Vi ringrazio della luce che mi date; Gesù mio, speranza mia, non mi lasciate in mano mia, seguite ad aiutarmi sino alla morte.
O Maria madre di Dio, pregate Gesù per me.
sapientes eius loci aditurus, unaque cum eo fuit Apollophanes rhetor.... Ac tempore salutaris Passionis ambo fuerunt una Heliopoli in Aegypto; cumque defectus solis contra naturam accidisset - neque enim interlunii tempus erat, sed admirabiliter luna in solem inciderat - ab hora sexta usque ad vesperam, in solis oppositum supra naturam eadem fuerat restituta... Quae res novae, naturaeque captum superantes, Apollophanem impulerunt ut quasi vaticinans diceret: «O praeclare Dionysi, vices sunt rerum divinarum.» Cui Dionysius respondet: «Aut Deus patitur, aut vicem patientis dolet.» SUIDAS, Historica, inerprete Hier. Wolfio, Basileae, 1564, verbo Dionysius.
«Multo.... mirabilius fuit haec accidisse cum ipse cruci affixus esset, quam si in terra tunc ambulasset. Neque in hoc solum res stupenda erat, sed signum illus, quod quaerebant, de caelo factum est, et in universa terra.... Et animadverte quandonam haec fiant. In meridie, ut omnes per orbem discerent... Quod utique ad illos convertendos sufficiebat, non magnitudine solum miraculi, sed quod haec opportune acciderent. Nam post illa omnia quae insane fecerant.... id accidit, quando furor remiserat.... quando iactis dicteriis exsatiati erant, et omnia pro lubito dixerant; tunc tenebras exhibuit, ut vel sic ira sedata, ex miraculo aliquid lucrarentur. Res enim tantas in cruce agere mirabilius erat, quam si de cruce descendisset. Nam sive illum haec fecisse putarent, credere oportebat et timere: sive non illum, sed Patrem, hinc etiam compungi par erat: nam tenebrae illae ex ira de facinoribus illis concepta proficiscebantur. Quod enim non esset eclypsis, sed ira et indignatio, non hinc solum manifestum erat, sed etiam a tempore: tribus enim horis permansit; eclypsis vero in momento temporis fit: quod non ignorant qui viderunt: nam nostra etiam aetate eclypsis contigit.» S. Io. CHRYSOSTOMUS, In Matthaeum, hom. 88 (al. 89), n. 1. MG. 58-775.
«Non fuit haec eclypsis naturalis, sed miraculosa... Consideraverunt (Dionysius Areopagita et socius eius Apollonius) quatuor miracula. Primum ex tempore, quia... luna erat quintadecima, ubi luna est in oppositione ad solem; sed naturalis eclypsis fit ex coniunctione lunae ad solem. Secundum miraculum fuit, quod quando sol in occidente est, luna debet esse in oriente; sed hic mutatus est cursus lunae. Item tertium signum est quod semper obscuratio incipit a parte occidentis.... Luna.... cum venit ad corpus solis, venit ab occidente; sed sic non fuit hic, quia ab oriente venit. Quartum miraculum fuit, quia ab eadem parte incipit obscuratio et redit ililuminatio: sed hoc tunc non fuit, quia illam partem quam primo occupavit, ultimo dimisit, quia luna ab oriente venit usque ad corpus solis, et tunc retrocessit, unde illa pars primo fuit illuminata. - Quintum miraculum, quod est maius.... est quod quando naturalis eclypsis est, parum durat: non enim sol patitur, sed fit obscuratio per interpositionem lunae; sed corpus lunae non est maius quam solis, ideo moram non habet; sed istud duravit tribus horis, ideo magnum fuit miraculum.» S. THOMAS, In Matthaeum (in cap. XXVII, 45). - Cf. Sum. Theol., III, qu. 44, art. 2, ad 2.
verum et qui ante et qui post Christum contigerunt, partem tantum aliquam terrae concusserunt; tempore autem Domini mei Iesu Christi, pars aliquam terrae mota non fuit, sed tota terra ab ipso centro conquassata est.» DIDYMUS, Fragmenta in Iob. (in Iob IX, 6). MG 35-1143.
«Scribit vero super is et Phlegon, qui olympiadum egregius supputator est, in tertio decimo libro ita dicens: «Quarto autem anno CCII olympiadis.... terrae motus in Bithynia Nicenae urbis multas aedes subvertit.» EUSEBIUS Caesariensis, Chronicorum lib. 2, anno Christi 33.
«Ne provincias quidem (Tiberius) ulla liberalitate sublevavit; excepta Asia, disiectis terrae motu civitatibus.» C. SUETONIUS Tranquillus, Tiberius, n. 42.
Bisogna avvertire che queste testimonianze di Plinio e di Svetonio diventano, la prima del tutto inefficace allo scopo, la seconda per lo meno dubbiamente efficace, essendo cosa evidente per Plinio, ed assai probabile per Svetonio, che questi autori non parlano di altro terremoto che di quello riferito da TACITO (Annalium lib. 2, n. 47): «Eodem anno, duodecim celebres Asiae urbes collapsae nocturno motu terrae.» Eodem anno, cioé nell' anno terzo di Tiberio Cesare, «C. Caelio (al. Caecilio) et L. Pompeio (al. Pomponio) Flacco consulibus».
Non vengono però indebolite le testimonianze riferite nella nota 22, considerate le precisioni date da Flegonte, «Olympiadum egregius supputator», riferite da Eusebio, anch' egli «egregius temporum supputator».
« Et multa corpora sanctorum, etc. Sanctorum corpora surrexerunt, ut Dominum ostenderent resurgentem; et tantum (lege: tamen) cum monumenta aperta sunt, non ante surrexerunt quam Dominus, ut esset primogenitus ex mortuis.» S. BEDA Venerabilis, In Matthaei Evangelicum expositio, lib. 4 (in Matt. XXVII, 52, 53). ML 92-125.
«Et exeuntes de monumentis post resurrectionem eius, etc. Et notandum quod licet istud dictum sit in morte Christi, tamen intelligendum est per anticipationem esse dictum, quia post resurrectionem actum est; quia Christus primogenitus mortuorum (Apoc. I, 5).» S. THOMAS, In Matthaeum Evangelistam expositio, cap. XXVII, 53.
spirituale ostendit.» Vitis mystica, seu Tractatus de Passione Domini, cap. 3, n. 10: inter Opera S. Bernardi, ML 184-643: tra quelle opere però che l' illustre editore Mabillon non riconosce come genuine. - Invece, gli ultimi editori di S. Bonaventura rivendicano questa opera per il Dottore Serafico. Così leggono il testo citato: «Propterea vulneratum est, ut per vulnus visibile vulnus amoris invisibile videamus. Qui enim ardenter amat, amore vulneratus est. Quomodi hic ardor melius posset ostendi, nisi quod non solum corpus, verum etiam ipsum cor lancea vulnerari permisist? Carnale ergo vulnus vulnus spirituale ostendit.» Vitis mystica, cap. 3, n. 5. Opera S. BONAVENTURAE, VIII, ad Claras Aquas, 1898. - La nota di S. Alfonso deve leggersi: Cap. 3 de Passione. - Vedi Appendice, 2, 9°.