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S. Alfonso Maria de Liguori
Rifless. sulla Passione di Gesù Cristo

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§ 3 - Della speranza che abbiamo in Gesù Cristo di giungere un giorno alla beatitudine del paradiso

28. Et ideo novi testamenti mediator est ut morte intercedente... repromissionem accipiant, qui vocati sunt, aeternae haereditatis (Hebr. IX, 15). Qui S. Paolo parla del nuovo testamento non come patto, ma come promessa o sia disposizione di ultima volontà, per cui Gesù Cristo ci lasciò eredi del regno del cielo. E perché il testamento non è valido se non dopo la morte del testatore, perciò fu necessario che Gesù Cristo morisse, acciocché noi potessimo, come suoi eredi, entrare nel possesso del paradiso. Onde soggiunge l'Apostolo: Ubi enim testamentum est, mors necesse est intercedat testatoris; testamentum enim in mortuis confirmatum est, alioquin nondum valet, dum vivit qui testatus est (Hebr. Ibid. 16 et 17).

29. Noi, per li meriti di Gesù Cristo nostro mediatore, abbiamo ricevuta la grazia col battesimo di esser fatti figli di Dio: a differenza degli Ebrei che nell'antico testamento, quantunque fossero il popolo eletto, nondimeno tutti erano servi. Onde scrisse l'Apostolo: Haec enim sunt duo testamenta, unum quidem in monte Sina in servitutem generans (Gal. IV, 24). Nel monte Sina da Mosè fu fatta la prima mediazione, allorché Iddio per mezzo di Mosè promise agli Ebrei l'abbondanza de' beni temporali, se avessero osservata la legge che loro diede; ma questa mediazione, dice S. Paolo, non generava che servi, a differenza della mediazione operata da Gesù Cristo che genera figli: Nos autem, fratres, secundum Isaac promissionis filii sumus (Ibid. vers. 28). Se dunque noi Cristiani


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siamo figli di Dio, per conseguenza, dice lo stesso Apostolo, siamo anche eredi; a tutti i figli spetta la porzione dell'eredità paterna, e questa è l'eredità della gloria eterna del paradiso che Gesù Cristo ci ha meritata colla sua morte: si filii et heredes; heredes quidem Dei, coheredes autem Christi (Rom. VIII, 17).

30. Soggiunge nonperò S. Paolo nello stesso luogo e dice: Si tamen compatimur, ut et conglorificemur (vers. cit. 17). È vero che noi, per la figliuolanza di Dio che Gesù Cristo ci ha ottenuta colla sua morte, abbiamo acquistato diritto al paradiso, ma ciò s'intende, se noi siamo fedeli colle buone opere e specialmente colla santa pazienza a corrispondere alla divina grazia. Quindi dice l'Apostolo che noi per ottener la gloria eterna, come l'ha ottenuta Gesù Cristo, dobbiamo patire su questa terra come ha patito Gesù Cristo. Egli va innanzi qual capitano colla croce; sotto questa bandiera dobbiamo noi seguirlo, ciascuno portando la sua croce, come ci ammonì il medesimo Signore quando disse: Qui vult post me venire, abneget semetipsum, et tollat crucem suam et sequatur me (Matth. XVI, 24).

31. Siegue poi S. Paolo ad animarci a patire con fortezza, avvalorati dalla speranza del paradiso, avvisandoci che la gloria che ci sarà donata nell'altra vita sarà immensamente più grande del merito di tutti i nostri patimenti, se li soffriremo quaggiù di buona voglia per adempire la divina volontà: Existimo enim, quod non sunt condignae passiones huius temporis ad futuram gloriam quae revelabitur in nobis (Rom. VIII, 18). Qual povero sarebbe così stolto che non darebbe allegramente tutte le sue straccie che possiede per guadagnarsi un gran regno? Questa gloria al presente non la godiamo, perché non siamo ancora salvi, non avendo ancora terminata la vita in grazia di Dio; ma la speranza nei meriti di Gesù Cristo, dice S. Paolo, e quella che ci rende salvi: Spe enim salvi facti sumus (Ibid. vers. 24). Giacch'egli non lascerà di darci tutto l'aiuto a salvarci, se noi gli saremo fedeli e saremo perseveranti a pregarlo, attesa la promessa di Gesù Cristo di esaudire ognun che lo prega: Omnis... qui petit accipit (Matth. VII, X). Ma dirà alcuno: Io temo non di Dio che neghi di esaudirmi se io lo prego, ma temo di me che non saprò pregarlo come si dee. No, dice S. Paolo, neppur temere di ciò, perché quando noi preghiamo, Dio stesso aiuta la nostra debolezza


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e ci fa pregare in modo che siamo esauditi: Spiritus adiuvat infirmitatem nostram et postulat pro nobis (Rom. VIII, 26).31 Postulat, id est, spiega S. Agostino, postulare facit.32

32. Aggiunge l'Apostolo per aumentarci la confidenza, e dice: Scimus autem quoniam diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum (Ibid. vers. 28). Con ciò vuol farc'intendere che non sono già disgrazie, come stimano gli uomini del mondo, le infamie, i morbi, la povertà, le persecuzioni; poiché Dio tutte le convertirà in bene e gloria di coloro che le soffriranno con pazienza. Conclude finalmente l'Apostolo con dire: Nam quos praescivit, et praedestinavit conformes fieri imaginis Filii sui (Ibid. vers. 29). Colle quali parole vuole persuaderci che se ci vogliamo salvare, bisogna che ci risolviamo a patire ogni cosa per non perdere la divina grazia; perché niuno può essere ammesso alla gloria de' beati, se nel giorno del suo giudizio la vita sua non si trova conforme alla vita di Gesù Cristo.

33. Ma acciocché poi i peccatori per questa sentenza non si abbandonino alla disperazione per ragion delle colpe commesse, S. Paolo loro animo a sperare il perdono, soggiungendo che l'Eterno Padre a questo fine non ha voluto perdonare al proprio Figlio, che si era offerto a soddisfare per li nostri peccati, e l'ha dato alla morte, per poter perdonare noi peccatori: Qui etiam proprio Filio suo non pepercit, sed pro nobis omnibus tradidit illum (Ibid. vers. 32). Aggiunge di più, per accrescere la speranza del perdono a' peccatori pentiti, e dice: Quis est qui condemnet? Christus Iesus qui mortuus est. Come dicesse: Peccatori, voi che detestate i peccati commessi,


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perché temete di esser condannati all'inferno? Ditemi, chi è il vostro giudice che ha da condannarvi? non è Gesù Cristo? e come potete temere che abbia a condannarvi alla morte eterna quel Redentore amoroso, che per non condannarvi ha voluto condannare se stesso a morir giustiziato sull'infame patibolo della croce? Ma ben s'intende ciò di quei peccatori che contriti han lavate le anime loro nel sangue dell'Agnello, secondo quel che scrive S. Giovanni: Hi sunt, qui... laverunt stolas suas et dealbaverunt eas in sanguine agni (Apoc. VII, 14).

34. Gesù mio, se io guardo i miei peccati mi vergogno di cercarvi il paradiso, dopo che tante volte ve l'ho rinunziato in faccia per gusti brevi e miserabili; ma guardando voi appeso a questa croce, non posso lasciar di sperare il paradiso, sapendo che voi avete voluto morire su questo legno, per pagare i miei peccati ed ottenermi questo paradiso da me disprezzato. Ah mio dolce Redentore, io spero ai meriti della vostra morte che già m'abbiate perdonate le offese che vi ho fatte, delle quali già mi son pentito ed ora vorrei morirne di dolore; ma oh Dio, penso che quantunque voi m'abbiate perdonato, sempre sarà vero ch'io ingrato ho avuto l'animo di dar tanti disgusti gravi a voi che tanto mi avete amato. Ma il fatto e fatto; almeno, Signor mio, per questo tempo che mi resta di vita, io voglio amarvi con tutte le mie forze, voglio vivere solo a voi, voglio esser tutto vostro, tutto, tutto, tutto. E ciò voi l'avete da fare. Staccatemi da ogni cosa di terra, e datemi luce e forza di non cercare altro che voi, unico mio bene, mio amore, mio tutto.

O Maria, o speranza de' peccatori, voi mi avete da aiutare colle vostre preghiere. Pregate, pregate per me, e non lasciate di pregare, se non mi vedete tutto di Dio.




31 Spiritus adiuvat infirmitatem nostram: nam quid oremus, sicut oportet, nescimus: sed ipse Spiritus postulat pro nobis gemitibus inenarrabilibus. Rom. VIII, 26.



32 «Quid enim oremus, ait Doctor gentium, sicut oportet, nescimus; sed ipse Spiritus interpellat pro nobis gemitibus inenarrabilibus. Quid est autem, interpellat, nisi, interpellare nos facit? Indigentis enim certissimum indicium est interpellare gemitibus. Nullius autem rei esse indigentem fas est credere Spiritum Sanctum. Sed ita dictum est, interpellat, quia interpellare nos facit, nobisque interpellandi et gemendi inspirat affectum; sicut illud in Evangelio: Non enim vos estis qui loquimini, sed Spiritus Patris vestri qui loquitur in vobis (Matt. X, 20). Neque enim et hoc ita fit de nobis tamquam nihil facientibus nobis. Adiutorium igitur Spiritus Sancti sic expressum est, ut ipse facere diceretur quod ut faciamus facit.» S. AUGUSTINUS, Epistola, 194 (al. 105), ad Sixtum Romanum presbyterum (et postea Pontificem), cap. 4, n. 16. ML 33-879, 880.






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