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S. Alfonso Maria de Liguori Rifless. sulla Passione di Gesù Cristo IntraText CT - Lettura del testo |
CAPO X - Della pazienza che dobbiamo esercitare in compagnia di Gesù Cristo per acquistar la salute eterna
1. Il parlar di pazienza e di patire è un linguaggio che non si pratica e neppur s'intende dagli uomini amanti del mondo; s'intende solo e si usa dalle anime amanti di Dio. Signore, dicea S. Giovanni della Croce a Gesù Cristo, altro non ti domando che patire ed esser disprezzato per te.1 S. Teresa esclamava sovente: Gesù mio, o patire o morire.2 S. Maria Maddalena de' Pazzi dicea: Patire e non morire.3 Ecco come parlano i santi innamorati di Dio; parlan così perché ben intendono che non può un'anima dar pruova a Dio più certa del suo amore, che col patire volentieri per dargli gusto.
2. Questa è la pruova più grande che Gesù Cristo ha data a noi dell'amor che ci porta. Egli come Dio ci ha amato nel crearci, nel provvederci di tanti beni, nel chiamarci a godere la stessa gloria ch'esso gode; ma in niun'altra cosa ci ha meglio dimostrato quanto ci ama, che nel farsi uomo, ed abbracciare una vita penosa ed una morte piena di dolori ed ignominie per nostro amore. - E come noi dimostreremo poi il nostro amore a Gesù Cristo? forse col menare una vita piena di piaceri e delizie terrene? Non pensiamo già che Iddio goda del nostro patire, non è il Signore di genio cosi crudele che si compiaccia in veder patire e gemere noi sue creature. Egli è un Dio di bontà infinita, tutto inclinato a vederci appieno contenti e felici, ond'è tutto pieno di dolcezza, affabilità e compassione verso tutti coloro che a lui ricorrono: Quoniam tu, Domine, suavis et mitis et multae misericordiae omnibus invocantibus te (Ps. LXXXV, 5). Ma la condizione del nostro presente infelice stato di peccatori e la gratitudine che dobbiamo all'amore di Gesù Cristo, esigono che noi rinunziamo per amor suo ai diletti di questa terra ed abbracciamo con affetto la croce ch'egli ci dà a portare in questa vita, appresso di lui, che ci va innanzi con una croce molto più pesante delle nostre; e tutto a fine di condurci a godere dopo la nostra morte una vita beata, che non avrà più fine. Non ha dunque Iddio genio di vederci patire; ma, essendo egli somma giustizia, non può lasciare impunite le nostre colpe; onde, acciocché le colpe restino punite, e noi giungiamo un giorno all'eterna felicità, vuole che colla pazienza purghiamo le colpe, e cosi meritiamo di essere in eterno felici. Come poteva essere più bello e soave quest'ordine della divina provvidenza, per vedere nello stesso tempo la giustizia soddisfatta, e noi salvati e felici?
3. Tutte le nostre speranze dunque dobbiamo riporle ne' meriti di Gesù Cristo, e da lui sperare tutti gli aiuti per vivere santamente e salvarci; e non possiamo dubitare che questo è il suo desiderio, di vederci santi: Haec est... voluntas Dei, sanctificatio vestra (I Thess. IV, 3). Tutto è vero, ma non dobbiamo noi trascurare di metter la nostra parte per soddisfare a Dio le ingiurie che gli abbiamo fatte e per conseguire colle buone opere la vita eterna. Ciò dinotò l'Apostolo, quando disse: Adimpleo ea quae desunt passionum Christi in carne
mea (Coloss. I, 24): Adempio quel che manca alla Passione di Cristo. Dunque la Passione di Cristo non fu piena e non bastò ella sola a salvarci? No, ella fu pienissima in quanto al suo valore, e sufficientissima a salvar tutti gli uomini; nulladimeno, affinché i meriti della Passione sieno applicati a noi, dice S. Tommaso, noi dobbiamo adempir la nostra parte e soffrir con pazienza le croci che Dio ci manda, per uniformarci al nostro capo Gesù Cristo, secondo quel che scrisse lo stesso Apostolo a' Romani: Nam quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imaginis Filii sui, ut sit ipse primogenitus in multis fratribus (Rom. VIII, 29).4 Sempre nonperò avvertendo, come avverte lo stesso Angelico dottore, che
tutta la virtù che hanno le nostre opere, soddisfazioni e penitenze viene loro comunicata dalla soddisfazione di Gesù Cristo: Hominis satisfactio efficaciam habet a satisfactione Christi.5 E così si risponde a' protestanti che chiamano le nostre penitenze ingiuriose alla Passione di Gesù Cristo, come se ella non fosse stata bastante a soddisfare per le nostre colpe.
4. Ma noi diciamo che a fine di poter esser partecipi de' meriti di Gesù Cristo, è necessario che ci affatichiamo per adempire i divini precetti, ben anche con farci violenza per non cedere alle tentazioni dell'inferno. E questo ci significò il Signore, allorché disse: Regnum caelorum vim patitur, et violenti rapiunt illud (Matth. XI, 12). Bisogna, quando occorre, che ci facciamo forza colla continenza, colla negazione de' pravi appetiti e colla mortificazione de' sensi, per non restar vinti da' nemici. E se ci troviamo rei per le colpe commesse, dice S. Ambrogio, noi dobbiamo far forza al Signore colle lagrime per ottenerne il perdono: Vim facimus Domino non compellendo, sed lacrymis exorando (S. Amb., Serm. 5). E poi soggiunge il santo per consolarci: O beata violentia, quae non indignatione percutitur, sed misericordia condonatur! O felice violenza, che non vien punita con ira da Dio, ma gradita e rimunerata con misericordia! Siegue a dire che chi fa maggior violenza di questa sorta a Gesù Cristo, egli lo terrà più caro: Quisquis enim violentior Christo fuerit, religiosior habebitur a Christo. E poi conclude: Prius enim ipsi regnare debemus in nobis, ut regnum possimus diripere Salvatoris: Prima dobbiam regnare in noi con vincer le passioni, acciocché possiamo un giorno rapire il cielo che ci ha meritato il nostro Salvatore.6 E perciò bisogna farsi violenza
per soffrire le traversie e le persecuzioni, e per vincere le tentazioni e le passioni, le quali senza violenza non si vincono.
5. Il Signore ci fa sapere che noi per non perdere l'anima, quando bisogna, dobbiamo stare apparecchiati a patire agonie di morte ed anche a morire; ma nello stesso tempo ci dice che per colui che sta a ciò preparato, egli combatterà ed abbatterà i suoi nemici: Pro iustitia agonizare pro anima tua et usque ad mortem certa pro iustitia; et Deus expugnabit pro te inimicos tuos (Eccli. IV, 33). S. Giovanni vide avanti al trono di Dio una gran moltitudine di santi vestiti di vesti bianche, perché nel cielo non vi entra cosa macchiata, e vide che ognuno di essi teneva in mano la palma, segno de' martiri: Post haec vidi turbam magnam... stantes ante thronum et in conspectu Agni, amicti stolis albis et palmae in manibus eorum (Apoc. VII, 9). Come? tutti i santi son martiri? Sì signore, tutti gli adulti che si salvano, o hanno da esser martiri di sangue o martiri di pazienza in vincer gli assalti dell'inferno e gli appetiti disordinati della carne. I piaceri carnali mandano innumerevoli anime all'inferno, e pertanto bisogna risolversi a disprezzarli con fortezza. Persuadiamoci che o l'anima si ha da mettere sotto i piedi il corpo o il corpo si metterà sotto i piedi l'anima.
6. Bisogna dunque, replico, farsi forza per salvarsi. Ma questa forza è quella, dirà alcuno, che non posso farmi io, se Dio non me la dona per sua grazia. A costui risponde S. Ambrogio:
Si te respicis nihil poteris; sed si in Domino confidis, dabitur tibi fortitudo.7 Dice bene, se guardi le tue forze, tu non puoi niente, ma se confidi in Dio e lo preghi a darti aiuto, egli ti darà la forza di resistere a tutti i nemici del mondo e dell'inferno. Ma in far ciò bisogna patire, non v'è rimedio: se vogliamo entrare nella gloria de' beati, dice la Scrittura, bisogna prima soffrir con pazienza molte tribulazioni: Per multas tribulationes oportet nos intrare in regnum Dei (Act. XIV, 21). Onde S. Giovanni, guardando in cielo la gloria de' santi, intese dirsi: Hi sunt qui venerunt de tribulatione magna et laverunt stolas suas, et dealbaverunt eas in sanguine Agni (Apoc. VII, 14). È vero ch'essi erano in cielo per essere stati lavati nel sangue dell'Agnello, ma tutti eran venuti dopo aver sofferta una gran tribulazione.
7. Stiate sicuri, scrivea S. Paolo a' suoi discepoli, che Dio non permetterà mai che voi siate tentati sopra le vostre forze: Fidelis... Deus est, qui non patietur vos tentari supra id quod potestis (I Cor. X, 13). Iddio è fedele, dicea l'Apostolo, egli ha promesso di darci il suo aiuto bastante a vincere ogni tentazione, se noi glie lo domandiamo: Petite et dabitur vobis: quaerite et invenietis (Matth. VII, 7). Onde non può mancare alla sua promessa. È un errore marcio degli eretici il dire che Iddio comanda cose impossibili ad osservarsi da noi; no, Deus impossibilia non iubet, sed iubendo monet et facere quod possis et petere quod non possis et adiuvat ut possis: così parla il sacro concilio di Trento (Sess. VI, c. 11).8 Dio non
comanda cose impossibili, quando comanda ci ammonisce a fare quel che possiamo, e quel che non possiamo a domandar l'aiuto per farlo, ed egli ci aiuta ad eseguirlo. Scrive S. Efrem che se gli uomini non usano la crudeltà coi loro giumenti d'imporre loro maggior peso di quel che possono portare, tanto meno Iddio che molto ama gli uomini permetterà che soffrano tali tentazioni che non possano a quelle resistere: Si homines suis iumentis non plus oneris imponunt quam ferre possint, multo minus hominibus plus tentationum imponet Deus quam ferre queant (S. Ephraem, Tract. de patientia).9
8. Scrive il de Kempis: Crux ubique te exspectat, necesse est te ubique tenere patientiam, si vis habere pacem. Si libenter crucem portas, ipsa portabit te ad desideratum finem.10 Ciascuno in questo mondo va trovando la pace e vorrebbe trovarla senza patire; ma ciò non è possibile nello stato presente: bisogna patire, le croci ci aspettano in ogni luogo ove ci portiamo. Ma come abbiamo da trovare la pace in mezzo a queste croci? Colla pazienza, con abbracciar la croce che ci si presenta. Dice S. Teresa che sente il peso della croce, ancorché sia picciola, chi la strascina di mala voglia: ma chi
l'abbraccia volentieri, ancorché sia quella più grande, non la sente.11 E soggiunge il de Kempis che chi porta la croce con rassegnazione, la stessa croce lo condurrà al fine desiderato che deve avere ogni cristiano, di dar gusto a Dio in questa vita e di amarlo eternamente nell'altra: Si libenter crucem portas, ipsa portabit te ad desideratum finem.12
9. Siegue a dire lo stesso autore Quis sanctorum sine cruce? Tota vita Christi crux fuit et martyrium, et tu quaeris gaudium?13 Qual santo è stato ammesso in cielo senza l'insegna della croce? Ma come poteano i santi entrar nel cielo senza croce, se la vita di Gesù Cristo nostro capo e Redentore è stata una continua croce e martirio? Gesù dunque innocente, santo, Figlio di Dio, ha voluto patire in tutta la sua vita, e noi andiamo cercando piaceri e sollazzi? E per dare a noi esempio di pazienza ha voluto eleggersi una vita piena d'ignominie e di dolori esterni ed interni, e noi vogliamo salvarci senza patire o patendo senza pazienza: il che è doppio patire, ma senza frutto e coll'aggiunta del gastigo. Ma come possiamo pensare di essere amanti di Gesù Cristo, se non vogliamo patire per amore di Gesù Cristo che ha tanto patito per nostro amore? Come potrà gloriarsi di esser seguace del Crocifisso chi rifiuta o riceve di mala voglia i frutti della croce, quali sono i patimenti, i disprezzi, la povertà, i dolori, le infermità e tutte le cose contrarie al nostro amor proprio?
10. Non ci perdiamo d'animo, guardiamo sempre le piaghe del Crocifisso, perché da quelle trarremo la forza di soffrire i mali di questa vita, non solo con pazienza, ma ben anche con gaudio ed allegrezza, come han fatto i santi: Haurietis
aquas in gaudio de fontibus Salvatoris (Is. XII, 3). Commenta san Bonaventura: De fontibus Salvatoris, hoc est de vulneribus Iesu Christi.14 Quindi ci esorta il santo a tener sempre fissi gli occhi a Gesù moribondo sulla croce, se vogliamo vivere sempre uniti con Dio: Semper oculis cordis sui Christum in cruce morientem videat qui devotionem in se vult conservare.15 La divozione consiste, come spiega S. Tommaso, nell'esser pronti ad eseguire in noi tutto quel che Dio da noi domanda.16
11. Ecco la bella istruzione che ci dà S. Paolo per vivere sempre uniti con Dio, e sopportar con pazienza le tribulazioni di questa vita: Recogitate enim eum qui talem sustinuit a peccatoribus adversum semetipsum contradictionem ut ne fatigemini, animis vestris deficientes (Hebr. XII, 3). Dice recogitate: per soffrir con rassegnazione e pace le pene presenti, non basta pensare alla sfuggita e poche volte l'anno alla Passione di Gesù Cristo, bisogna pensarci spesso, anzi ogni giorno dare un'occhiata alle pene che patì il Signore per nostro amore. E quali pene patì? Dice l'apostolo: Talem sustinuit contradictionem, fu tale la contraddizione ch'ebbe Gesù Cristo da' suoi nemici che lo fecero diventare, quale appunto avealo predetto il profeta, l'uomo più vile di tutti e l'uomo de' dolori: Novissimum virorum, virum dolorum; sino a farlo morire di puro dolore e sazio di obbrobri, sovra di un patibolo destinato ai più scellerati. E perché volle Gesù Cristo abbracciare questo fascio di dolori e vituperi? Ne fatigemini, animis vestris deficientes, acciocché noi, vedendo quanto un Dio ha voluto patire per darci esempio di pazienza, non ci perdiamo d'animo, ma soffriamo tutto per liberarci da' peccati.
12. Quindi l'Apostolo seguita ad animarci dicendo: Nondum enim usque ad sanguinem restitistis adversus peccatum repugnantes (Hebr. XII, 4). Pensate, dice, che Cristo ha sparso per voi tutto il suo sangue nella sua Passione a forza di tormenti, e che i santi martiri, ad esempio del loro re, han sofferte con fortezza le piastre di fuoco, le unghie di ferro che hanno lacerate loro anche le viscere; ma voi per Gesù Cristo non avete ancora sparsa una goccia di sangue; quando che noi dobbiamo stare apparecchiati anche a dar la vita per non offendere Dio, come dicea S. Edmondo: Malo insilire in rogum ardentem, quam peccatum admittere in Deum meum.17 E come diceva S. Anselmo, vescovo di Cantuaria: «Se io dovessi patire tutti i dolori corporali dell'inferno o commettere un peccato, più presto che commetterlo, eleggerei l'inferno».18
13. Il leone infernale non lascia in tutta la nostra vita di andarci attorno per divorarci; perciò dice S. Pietro: Noi col pensiero della Passione di Cristo dobbiamo armarci contra i suoi assalti: Christo igitur passo in carne et vos eadem cogitatione armamini (I Petr. IV, 1). S. Tommaso dice che la sola memoria della Passione è una gran difesa contra tutte le tentazioni dell'inferno: Armamini, quia memoria Passionis contra tentationes munit et roborat.19 E S. Ambrogio o
altro santo, scrive: Si aliquid melius saluti hominum quam pati fuisset, Christus utique verbo et exemplo ostendisset.20 Se il Signore avesse conosciuto che per noi vi fosse altra via migliore per salvarci, fuori di quella del patire, ben ce l'avrebbe fatta sapere; ma andandoci esso avanti colla croce sulle spalle, ci ha dimostrato che non vi è mezzo più atto a procurarci la salute che 'l patire con pazienza e rassegnazione, ed ha voluto darcene egli stesso l'esempio nella sua persona.
14. Dice S. Bernardo che guardando noi le grandi afflizioni del Crocifisso, ci diverranno leggiere le nostre: Videntes angustias Domini levius vestras portabitis (Serm. XLIII, in Cant.).21 Ed in altro luogo scrive: Quid tibi durum esse poterit, cum tibi collegeris amaritudines Domini tui? (Serm. de quadr. deb.).22 S. Eleazaro interrogato un giorno dalla buona sposa Delfina, come soffriva tante ingiurie con animo così tranquillo; rispose: «Quand'io mi vedo ingiuriato, penso alle ingiurie del mio Salvator crocifisso, e non lascio di vista tal pensiero, se non mi vedo affatto rasserenato».23 Grata ignominia crucis ei qui Crucifixo ingratus non est, dice S. Bernardo (Serm. XXV, in Cant.).24 All'anime che vogliono esser grate a Gesù Cristo, non sono dispiacenti ma graditi i disprezzi
che ricevono. Chi non abbraccerà con gradimento gli obbrobri ed i maltrattamenti, considerando i soli maltrattamenti che patì Gesù ne' principi della Passione, quando nella casa di Caifas fu in quella notte percosso con pugni e schiaffi, sputato in faccia e con un panno postogli davanti gli occhi deriso da falso profeta, come narra S. Matteo (c. XXVI, v. 67, 68): Tunc exspuerunt in faciem eius et colaphis eum ceciderunt, alii autem palmas in faciem eius dederunt, dicentes: Prophetiza nobis, Christe, quis est qui te percussit?
15. E come mai avveniva che i martiri soffrivano con tanta pazienza i tormenti de' carnefici? Erano essi lacerati con ferri, eran bruciati sulle craticole; forse non erano di carne o avevano perduti i sensi? No; ma dice Pietro Blessense che non attendeano essi a mirar le loro piaghe, ma le piaghe del Redentore, e così poco sentivano i propri dolori; i tormenti non lasciavano di affliggerli, ma essi, per amore di Gesù Cristo, li disprezzavano: Martyr videns sanguinem suum, non sua, sed Redemptoris vulnera attendit, dolores non sentit; nec deest dolor sed pro Christo contemnitur.25 Non vi è dolor così grande, siegue a dire, che volentieri non si sopporti, a vista di Gesù morto in croce: Nihil enim tam amarum ad mortem est quod morte Christi non sanetur.26 Scrive
l'Apostolo che noi per li meriti di Gesù Cristo siamo stati fatti ricchi di ogni bene: In omnibus divites facti estis in illo (I Cor. I, 5). Ma vuole Gesù Cristo che per ottenere tutte le grazie che desideriamo, sempre ricorriamo a Dio colla preghiera, e lo preghiamo che per li meriti del Figlio ci esaudisca; e Gesù stesso ci promette che, facendo così, il Padre ci darà quanto gli domandiamo: Amen, amen dico vobis, si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis (Io. XVI, 23). Così faceano i martiri quando il dolore de' tormenti era molto acerbo ed acuto, ricorreano a Dio e Dio somministrava loro la pazienza di soffrirlo. Il martire S. Teodoto, fra tante crudeltà che gli usarono, sentendo una volta un gran dolore nel tormento datogli dal tiranno in fargli metter più cocci infocati di creta rotta sulle piaghe che gli avevano fatte, pregò Gesù che gli desse forza di soffrirlo, e così restò vincitore, terminando la vita ne' tormenti.27
16. Non ci spaventino dunque tutti i combattimenti che dovremo soffrire dal mondo e dall'inferno; se saremo attenti a ricorrere sempre a Gesù Cristo colle preghiere, egli ci otterrà ogni bene, egli ci otterrà la pazienza in tutti i travagli, egli ci darà la perseveranza, egli finalmente ci darà una buona morte. Grandi sono le amarezze che si patiscono in punto di morte: solo Gesù Cristo può donarci la costanza in soffrirle con pazienza e con merito. Grandi specialmente sono allora le tentazioni dell'inferno che maggiormente in quel tempo si
affatica a farci perdere, vedendoci prossimi al nostro fine. Narra il Rinaldo che S. Eleazaro in punto di morte patì orribili battaglie da' demoni dopo aver menata una vita sì santa, talmente che poi disse: Grandi sono le tentazioni infernali in quel punto; ma Gesù Cristo col merito della sua Passione abbatte le loro forze.28 Perciò S. Francesco volle che in morte gli fosse letta la Passione;29 e parimente S. Carlo Borromeo, vedendosi vicino alla morte, si fé collocare dintorno più immagini della Passione ed, a vista di quelle, spirar volle l'anima sua benedetta.30
17. Scrive S. Paolo che Gesù Cristo volle patir la morte: Ut per mortem destrueret eum qui habebat mortis imperium, id est diabolum, et liberaret eos qui timore mortis per totam vitam obnoxii erant servituti (Hebr. II, 14, 15). Sicché Gesù volle morire per distrugger, colla sua morte, le forze del demonio che prima avea l'imperio della morte, e così liberarci dalla servitù di Lucifero, e per conseguenza dal timore della morte eterna. E soggiunge: Unde debuit per omnia fratribus similari ut misericors fieret... In eo enim in quo passus est
ipse et tentatus, potens est et eis qui tentantur auxiliari (Ibid. 17 et 18). Volle pertanto prender tutte le condizioni e le passioni della natura umana, fuori nonperò dell'ignoranza, della concupiscenza e del peccato; ed a qual fine? ut misericors fieret, acciocché, sperimentando sovra di sé le nostre miserie, si rendesse verso di noi più compassionevole; giacché molto più si conoscono le miserie col provarle che col solo considerarle; e così poi divenisse più facile a soccorrerci, quando siamo tentati in vita e specialmente in punto di morte. Al che allude quella sentenza di S. Agostino, addotta già nel c. VII [leggi cap. Vi che dice: Si imminente morte turbaris, non te existimes reprobum, nec desperationi te abiicias, ideo enim Christus turbatus est in conspectu suae mortis (Lib. pronost.).31 Dice che Gesù Cristo, approssimandosi alla morte, volle sentir la pena di esserne turbato, affinché noi, se mai in morte ci troviamo turbati, non ci abbandoniamo alla diffidenza, giacch'egli ancora si turbò a vista della sua morte.
18. L'inferno dunque nella nostra morte porrà tutte le sue industrie per farci diffidare della divina misericordia, con metterci dinanzi agli occhi tutti i peccati della vita; ma la memoria della morte di Gesù Cristo ci darà animo a confidare ne' suoi meriti ed a non temere la morte. Scrive S. Tommaso sovra il testo di San Paolo (Hebr. II, 14) e dice: Christus per mortem suam abstulit timorem mortis; quando enim considerat homo quod Filius Dei mori voluit, non timet mori.32 Quando consideriamo che 'l Figlio di Dio ha voluto soffrir la morte per ottenerci il perdono de' peccati, allora fugge, il timore e ci viene il desiderio di morire. La morte per
li gentili è l'oggetto di maggiore spavento, pensando che colla morte per essi finisce ogni bene; ma la morte di Gesù Cristo ci dà una ferma speranza che, morendo noi in grazia di Dio, passeremo dalla morte alla vita eterna. Di questa speranza S. Paolo ci dà un argomento sicuro, dicendo che l'Eterno Padre ha dato per tutti noi il proprio Figlio alla morte, per farci ricchi d'ogni bene: Proprio Filio suo non pepercit, sed pro nobis omnibus tradidit illum; quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit? (Rom. VIII, 32). Dice: omnia nobis donavit; dunque donandoci Gesù Cristo ci dona il perdono, la perseveranza finale, il suo amore, la buona morte, la vita eterna ed ogni bene.
19. Sicché quando il demonio ci spaventa in vita o in morte, con rappresentarci i peccati della nostra gioventù, rispondiamogli con S. Bernardo: Quod ex me mihi deest, usurpo mihi ex visceribus Domini mei (Serm. 61 in Cant.).33 Quel merito che manca a me per entrare nel paradiso, io me l'usurpo da' meriti di Gesù Cristo, il quale ha voluto patire e morire appunto per acquistarmi quella gloria eterna ch'io non meritata. Scrive S. Paolo: Deus est qui iustificat, quis est qui condemnet? Christus Iesus qui mortuus est, immo qui et resurrexit, qui est ad dexteram Dei, qui etiam interpellat pro nobis (Rom. VIII, 33 et 34).34 Son di molta consolazione per noi peccatori queste parole dell'Apostolo: Deus est, egli dice, qui iustificat, quis est qui condemnet? Iddio è quegli che perdona noi peccatori e ci giustifica colla sua grazia; or se Dio ci rende giusti, chi potrà condannarci come rei? Quis est qui condemnet? Christus Iesus qui mortuus est, etc. Forse ci ha da condannar Gesù Cristo il quale, per non condannarci, dedit semetipsum pro peccatis nostris ut eriperet nos de praesenti saeculo nequam? (Gal. I, 4).
20. Egli si è caricato de' nostri peccati ed ha dato se stesso alla morte per liberarci da questo mondo maligno e condurci
seco nel suo regno dove, come siegue a dire S. Paolo, fa anche l'officio di avvocato ed intercede per noi presso del Padre: Qui etiam interpellat pro nobis. Spiega S. Tommaso queste parole, e dice che in cielo Gesù Cristo intercede per noi presentando al Padre le sue piaghe per nostro amore sofferte.35 E S. Gregorio non fa difficoltà di asserire, contra quel che taluno teme di concedere, che 'l Redentore come uomo propriamente, anche dopo la sua morte, prega per la Chiesa militante che siamo noi fedeli: Quotidie orat Christus pro ecclesia (In ps. poen. 5).36 E lo stesso disse prima il Nazianzeno: Interpellat, id est pro nobis mediationis ratione supplicat (Orat. 4 de theol.).37 E lo stesso scrisse S. Agostino nel salmo 29,38
dicendo che Gesù prega per noi in cielo, non già in quanto impetri ivi a noi qualche altra grazia, poich'egli in sua vita impetrò tutto ciò che poteva per noi impetrare, ma prega in quanto esige dal Padre, per li suoi meriti, la nostra salute già impetrata e promessa. E sebbene a Cristo fu dal Padre conferita tutta la potestà, nondimeno questa potestà egli, come uomo, non la tiene se non dipendentemente da Dio. Del resto la Chiesa non usa di pregarlo ad intercedere per noi, mentre riconosce in esso quel ch'è più degno, cioè la divinità, e perciò lo prega a dare come Dio ciò che gli domanda.
21. Ma ritorniamo al punto della confidenza che dobbiamo avere in Gesù Cristo per la nostra salute.
S. Agostino seguita ad animarci dicendo che quel Signore il quale ci ha liberati dalla morte, collo sborso di tutto il suo sangue, non vuole che ci perdiamo; e che se le nostre colpe ci separano da Dio e ci rendon meritevoli di esser disprezzati, il nostro Salvatore all'incontro non sa disprezzare il prezzo del sangue ch'egli ha sparso per noi: Qui nos tanto pretio redemit, non vult perire quos emit... Si peccata nostra separant nos, pretium suum non contemnit (S. Aug. Serm. 30 de temp.).39 Seguiamo dunque con fiducia il consiglio di S. Paolo che dice: Per patientiam curramus ad propositum nobis certamen, aspicientes in auctorem fidei et consummatorem Iesum, qui proposito sibi gaudio, sustinuit crucem, confusione contempta (Hebr. XII, 1 et 2). Dice per patientiam curramus ad propositum nobis certamen: poco ci gioverebbe il cominciare, se non seguiamo a combattere sino alla fine; perciò dice per patientiam curramus: la pazienza nel soffrire il travaglio
del combattere, ci otterrà la vittoria e la corona promessa a chi vince.
22. Questa pazienza ben anche sarà la corazza che ci difenderà dalle spade de' nemici; ma come otterremo questa pazienza? Aspicientes, dice l'Apostolo, in auctorem fidei et consummatorem Iesum: l'otterremo col tenere gli occhi sempre fissi, nel tempo della nostra pugna, a Gesù crocifisso il quale, come scrive S. Agostino: Omnia bona terrena contempsit Christus, ut contemnenda esse monstraret; omnia terrena mala sustinuit, quae sustinenda praecipiebat, ut neque in illis quaereretur felicitas, neque in istis infelicitas timeretur (S. Aug. De catech. rud.).40 Dice il santo ché Gesù disprezzò tutti i beni di terra, per insegnarci a disprezzargli ed a non cercare in essi la nostra felicità; ed all'incontro volle patire tutti i mali terreni, per insegnarci a non temere le calamità di quaggiù, col sottoporsi egli stesso alle nostre miserie, alla povertà, alla fame, alla sete, alle debolezze, alle ignominie, ai dolori ed alla morte di croce. Indi, colla sua gloriosa risurrezione, volle animarci a non temere la morte, poiché se noi gli saremo fedeli sino alla morte, dopo quella otterremo la vita eterna, ch'è libera da ogni male e piena di ogni bene. Ciò significano quelle parole dell'Apostolo nel testo citato, auctorem fidei et consummatorem Iesum: mentre Gesù Cristo, siccome a noi è autor della fede coll'insegnarci quel che dobbiamo credere, e con darci insieme la grazia di crederlo; così anche egli è il consumator della fede col prometterci di farci godere un giorno quella vita beata che ora c'insegna a credere. Ed acciocché noi siamo sicuri dell'amor che ci porta questo nostro Salvatore e della volontà che ha di salvarci, soggiunge S. Paolo: Qui proposito sibi gaudio, sustinuit crucem. Spiega S. Giovanni Grisostomo queste parole, e dice che Gesù potea salvarci con fare una vita di gaudio in questa terra; ma egli, per renderci più certi dell'affetto che per noi conserva, si elesse una vita di pene ed una
morte di confusione, morendo condannato qual malfattore su d'una croce.41
23. Attendiamo dunque, o anime amanti del Crocifisso nella vita che ci resta, ad amare quanto possiamo questo nostro amabil Redentore ed a patire per lui, giacch'egli tanto ha voluto patire per nostro amore; e non cessiamo di pregarlo continuamente che ci conceda il dono del suo santo amore Beati noi se giungeremo ad avere un grande amore a Gesù Cristo! Il Ven. P. Vincenzo Carafa, gran servo di Dio, in una lettera che mandò ad alcuni giovani studiosi e divoti, scrisse così: «Per riformarci in tutta la vita, bisogna mettere tutto lo studio nell'esercizio del divino amore; la sola carità di Dio, quando entra in un cuore ed ottiene di possederlo, lo purifica da ogni amor disordinato e lo rende subito ubbidiente e puro. Dice S. Agostino: Cor purum est cor vacuum omni cupiditate. Il cuore vuoto di ogni affetto terreno egli è puro. E S. Bernardo scrisse: Qui amat, amat et aliud cupit nihil; volendo dire che chi ama Dio non desidera altro che amarlo e discaccia dal cuore ogni cosa che non è Dio. E quindi è che il cuore vacuo si rende anche cuor pieno, cioè pieno di Dio, il quale porta seco ogni bene; ed allora i beni terreni, non trovando luogo in quel cuore non han forza di tirarlo. Qual forza possono avere in noi i piaceri di terra, se godiamo le consolazioni divine? Qual forza l'ambizione de' vani onori e il desiderio delle ricchezze terrene, se abbiamo l'onore di essere amati da Dio e cominciamo a possedere in parte le ricchezze del paradiso? Per misurare dunque il profitto che abbiam fatto nella via di Dio, osserviamo qual profitto abbiam fatto in amarlo, se facciamo spesso nel giorno atti di
amore verso Dio, se spesso parliamo del divino amore, se procuriamo d'insinuarlo agli altri, se le nostre divozioni le facciamo solo per dar gusto a Dio, se soffriamo con piena rassegnazione, per dar gusto a Dio, tutte le avversità, le infermità, i dolori, la povertà, i disprezzi e le persecuzioni. Dicono i santi che un'anima che veramente ama Dio non dee meno amare che respirare; mentre la vita dell'anima, così nel tempo come nell'eternità, in ciò consiste, nell'amare il nostro sommo bene ch'è Dio.»42
24. Ma stiam persuasi che non mai giungeremo ad acquistare un grande amore verso Dio, se non per mezzo di Gesù Cristo e se non abbiamo una particolar divozione verso la sua Passione, colla quale egli ci ha procurata la divina grazia. Scrive l'Apostolo: Quoniam per ipsum habemus accessum... ad Patrem (Ephes. II, 18).43 Per noi peccatori sarebbe chiusa la via a domandargli grazie, se non fosse per Gesù Cristo; egli ci apre la porta, egli c'introduce al Padre, ed egli, per li meriti della sua Passione, ci ottiene dal Padre il perdono de' peccati e tutte le grazie che riceviamo da Dio. Miseri noi se non avessimo Gesù Cristo! E chi mai potrà abbastanza lodare e ringraziare l'amore e la bontà che questo buon Redentore ha avuta per noi, poveri peccatori, in voler morire per liberarci dalla morte eterna? Vix enim, dice l'Apostolo, pro iusto quis moritur: nam pro bono forsitan quis audeat mori (Rom. V, 7)? Appena si trova chi voglia morire per un uomo giusto; ma Gesù Cristo, siegue a dire S. Paolo, ha voluto dar la vita per noi nello stesso tempo ch'eravamo iniqui: Cum adhuc peccatores essemus, secundum tempus, Christus pro nobis mortuus est (Vers. 8 et 9).
25. Quindi c'insinua l'Apostolo che se noi siam risoluti di volere amar Gesù Cristo ad ogni costo, dobbiamo sperarne ogni aiuto e favore; ed argomenta così: Si enim cum inimici essemus, reconciliati sumus Deo per mortem Filii eius, multo magis reconciliati, salvi erimus in vita ipsius (Rom. V,10 ). Avvertano dunque coloro i quali amano Gesù Cristo ch'essi fanno ingiuria all'amore che ci porta questo buon nostro Salvatore
se temono ch'egli abbia loro a negare tutte le grazie necessarie per salvarli e farli santi. Ed affinché i nostri peccati non ci faccian mancare di confidenza, siegue S. Paolo a dire: Sed non sicut delictum, ita et donum; si enim unius delicto multi mortui sunt, multo magis gratia Dei et donum, in gratia unius hominis Iesu Christi, in plures abundavit (Ibid. vers. 15). Con ciò vuol farci intendere che il dono della grazia acquistataci dal Redentore colla sua Passione ci reca maggior bene di quel che ci ha recato di danno il peccato di Adamo; poiché han più valore i meriti di Cristo a farci amare da Dio, che non valse il peccato di Adamo a farci odiare da Dio. Ampliora, scrive S. Leone, adepti per ineffabilem Christi gratiam, quam per diaboli amiseramus invidiam (S. Leo, Serm. 1 de Ascens.).44 In somma per la grazia di Gesù Cristo abbiamo acquistati più beni di quelli che avevamo perduti per malizia del demonio.
26. Terminiamo.- Anime divote, amiamo Gesù Cristo, amiamo questo Redentore, che troppo merita di esser amato e troppo ci ha amati e par che non gli resti che fare per guadagnarsi il nostro amore; basta sapere ch'egli per nostro amore ha voluto morir consumato da' dolori su d'una croce; e, di ciò non contento, ci ha lasciato se medesimo nel sagramento dell'Eucaristia, dove ci dona in cibo lo stesso suo corpo che per noi sagrificò; e ci dà a bere lo stesso suo sangue, che per noi sparse nella sua Passione. Troppo ingrati gli siamo, non solo se l'offendiamo, ma anche se l'amiamo poco e non gli consagriamo tutto il nostro amore.
27. Oh potessi, Gesù mio, consumarmi tutto per voi, come voi vi siete consumato tutto per me. Ma giacché tanto mi avete amato ed obbligato ad amarvi, aiutatemi ora a non esservi ingrato; e troppo ingrato vi sarei se amassi altra cosa fuori di voi. Voi senza riserba mi avete amato, senza riserba voglio amarvi ancor io. Io lascio tutto, rinunzio a tutto, per
darmi tutto a voi e per non aver nel mio cuore altro amore che 'l vostro. Accettatemi, amor mio, per pietà, senza aver conto di tanti disgusti che vi ho dati per lo passato. Guardate ch'io sono una di quelle pecorelle per cui avete sparso il sangue: Te ergo quaesumus, tuis famulis subveni quos pretioso sanguine redemisti.45 Scordatevi, caro mio Salvatore, di quante offese vi ho fatte. Castigatemi come volete, liberatemi solo dal gastigo di non potervi amare, e poi fate di me quel che vi piace. Privatemi di tutto, Gesù mio, ma non mi private di voi unico mio bene. Fatemi intendere quel che da me volete, ch'io, colla grazia vostra, voglio tutto adempirlo. Fatemi dimenticare di ogni cosa, acciocch'io mi ricordi solo di voi e delle tante pene che avete patite per me. Fate ch'io non pensi ad altro che a darvi gusto ed amarvi. Deh guardatemi con quell'affetto con cui mi guardaste nel Calvario agonizzando per me sulla croce, ed esauditemi. Io ripongo in voi tutte le mie speranze. Iesus meus, Deus meus et omnia.46
O Vergine santa, o madre e speranza mia Maria, raccomandatemi al vostro Figlio ed ottenetemi la fedeltà in amarlo sino alla morte.
percutitur, sed misericordia condonatur; beata, inquam, violentia, quae vim patienti bonitatem elicit, et utilitatem tribuit inferenti; mala res admittitur, et de iniuria nemo causatur; vis admittitur, et religio propagatur. Quisquis enim violentior Christo fuerit, religiosior habebitur a Christo. Aggredimur ergo in itinere Dominum, si quidem ipse est via (Io. XIV, 6), et more latronum bonis eum suis exspoliare nitimur, cupimus illi auferre regnum, thesauros, et vitam: sed ille tam dives et largus est, ut non abnuat, non resistat; et cum omnia dederit, nihilominus omnia ipse possideat. Aggredimur, inquam, illum non ferro, non fuste, non saxo; sed mansuetudine, ac bonis operibus, et castitate. - Haec sunt arma fidei nostrae, quibus in congressione certamus. Ut autem his armis uti in vi inferenda possimus, ante corporibus nostris vim quodammodo faciamus: expugnemus membrorum vitia, ut virtutum praemia consequamur; prius enim ipsi regnare debemus in nobis, ut regnum possimus diripere Salvatoris.» Inter Opera S. Ambrosii, Sermones hactenus S. Ambrosio adscripti, Sermo 2, De Natali Domini veniente, n. 3. ML 17-906, 907. - S. MAXIMUS Taurinensis episcopus (+ 465?), Sermones de tempore, Sermo 1, Ante Natale Domini, ML 57-532. - A San Massimo deve attribuirsi questo Sermone, non già a S. Ambrogio.
remedium se tuendi contra nequitias daemonum, etiam tempore Antichristi.» S. THOMAS, Sum. Theol., qu. 49, art 2, ad 2 et 3.
Crucifixo ingratus non est. Nigredo est, sed forma et similitudo Domini.» S. BERNARDUS, In Cantica, sermo 25, n. 8. ML 183-902.
BLESENSIS, Sermones, Sermo 17, in Quadragesima, De obedientia, cruce et Passione Christi. ML 207-610.
eo quod non iniquus, iungeret te Deo; ex eo quod infirmus, propinquaret tibi, atque ita, ut inter hominem et Deum mediator exsisteret, Verbum caro factum est, id est, Verbum homo factum est.» S. AUGUSTINUS, In Ps. 29, Enarratio 2, n. 1. ML 36-216, 217.