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S. Alfonso Maria de Liguori Selva di materie predicabili IntraText CT - Lettura del testo |
Introduzione di U. Mannucci da "Grandezze e doveri del Sacerdote"
Questo libro si ristampa oggi; nel secondo centenario dalla prima Messa del santo Dottore, con lo scopo di contribuire, nell'occasione che ci ripresenta con sì mirabile esempio di vita sacerdotale, appunto e direttamente, alla santificazione del clero. Io credo che - diversamente da quel che potrebbe sembrare dal titolo - non mai fu interpretata meglio la mente e il proposito del Santo autore nello scriverlo.
Sebbene, infatti, Egli lo abbia presentato come Selva di materie predicabili e istruttive per dare gli esercizi ai preti, non dovette certamente destinarlo soltanto in aiuto di quel minor numero di sacerdoti che si sarebbero dedicati a predicare tali esercizi; ma dovette anche, e principalmente, intendere quei frutti salutari che i sacerdoti medesimi direttamente avrebbero tratto dalla sua lettura : in una parola, più che gli "esercitanti", ebbe il caro Santo, nello scriver questo libro precisamente in mira gli "esercitandi".
Ciò corrisponde, del resto, mirabilmente alle circostanze del tempo in cui lo diede alla luce, nel febbraio del 1760 ; poco dopo che coi suoi trattati "Apparecchio alla morte" (1758), e "Del gran mezzo della preghiera" (1759) coi quali - come ben s'esprime il Tannoia (Vita, lib. II c. 46) "si può dire ch'ei fece una generale Missione nel Regno e altrove ".
E del pari con questa " Selva " intese dare degli "esercizi generali" "al clero del suo tempo" come con le seguenti opere ascetiche egli mirò davvero alla "missione ai religiosi e alle religiose". L'averli dissimulati sotto la figura di "Selva" è, per quanto penso, dovuto sia all'umiltà del Santo, che dinanzi ai suoi confratelli di sacerdozio, vuol figurare da semplice raccoglitore di cose altrui, senza neppure il merito di ordinarle, sia al fine accorgimento di questo mirabile conoscitore del cuore umano, che si era bene avveduto come "ordinariamente ai sacerdoti le prediche (dirette) riescono quasi del tutto inutili", e quindi credeva più efficace questo mezzo, quasi indiretto, di predicar loro, con l'aiutarli a predicare.
Non occorre qui rilevare i meriti del libro, che parla abbastanza da sé. Solo a eliminare quella impressione poco gradevole che potrebbe produrre la forma di "Selva" in cui ci sono presentati, basta osservare che non è affatto vero che S. Alfonso si faccia qui soltanto raccoglitore, alla rinfusa, com'ei dice. Al contrario l'ordine e l'armonia delle parti del libro, in primo luogo, risalta mirabilmente anche dall'indice, specie per chi contrapponga le singole meditazioni alle correlative istruzioni, e noti in queste ultime il bel progresso dalle azioni della vita esteriore allo spirito di umiltà, mortificazione e raccoglimento che deve informare la vita interiore; preso nei singoli capitoli è chiarissima una trama sapientemente logica, che ne ordina la concatenazione e sarebbe facile il premettere a ciascuno opportuni sommari a dimostrarla.
Quanto poi all'originalità dell'opera di S. Alfonso, si appalesa a tutta prima, dalla quantità e bellezza delle riflessioni con cui fa le viste di ricucire i tratti citati, e dai suggerimenti pratici che vi intercala, mentre in realtà sono proprio essi che contribuiscono il pregio dell'opera, e l'intento dell'Autore; "i passi latini - uditi che siano non si dimenticano; ma qualche cosa di pratica solamente, è quella che resta". - Chi, per fermarci al primo esempio, non comprende, nel primo capitolo, che la forza e bellezza di quella riflessione "Non era necessario che morisse il Redentore per salvare il mondo, bastava una sua preghiera:… ma per fare un sacerdote è stata necessaria la morte di Gesù Cristo, altrimenti dove sarebbesi trovata la vittima che ora offeriscono a Dio i Sacerdoti della N. Legge?" riflessione tutta propria di S. Alfonso, vale almeno altrettanto quanto gli altri passi addotti?
Ma più di ogni parola, a rilevare i pregi e l'efficacia della "Selva"valgono la storia e l'esperienza. Il P. Berthe ha già messo in chiaro quanto l'ascetica di S. Alfonso, abbia cooperato a risollevare il clero d'Italia, specie dell'Italia meridionale, dal triste stato in cui si trovava, e che egli sì energicamente riassume (S. Alph., t. I 165) in conformità del resto a quanto traluce anche dalle meste constatazioni che emergono nella Selva, ove p. es. si parla della vocazione, dello zelo, dello scandalo - a risollevarlo - diciamo - a virtù sacerdotali per le quali rifulse nel secolo seguente.
Noi non affermeremo certo che la medesima necessità di riforma spirituale del clero emerga ai nostri giorni; ma, purtroppo, quando constatiamo p. es. la difficoltà che incontra nella sua diffusione, e più nella sua fedele pratica, un'opera come l'Unione apostolica, sì strettamente concepita nello spirito di S. Alfonso (basta confrontare il Regolamento di vita da lui tracciato pel sacerdote), quando, visitando l'esposizione delle Quarantore possiamo vedere coi nostri occhi "che troppo mala fortuna incontra Gesù Cristo coi sacerdoti". non possiamo esimerci dal pensiero che un sì potente richiamo alla vita interiore, qual'è la Selva, sia ancora opportuno, se non necessario, e sia destinato ad arrecare altri e copiosi frutti di bene.
Né poteva cogliersi migliore occasione per ripresentarlo al clero: il centenario della prima Messa di S. Alfonso. Poiché sebbene già decine d'anni fossero trascorse da quel giorno per Lui sì fortunato, alla data in cui pubblicò la "Selva", non può esservi dubbio, che il germe, e anzi la conclusione pratica di tutta quest'opera è dato precisamente da quella mirabile pagina in cui, proprio in quel giorno beato, si tracciò a modo di decalogo, il programma al cui svolgimento pratico dedicò fedelmente tutta la sua vita, per se, e quest'opera pei suoi confratelli.
1° Son sacerdote; la mia dignità supera quella degli angeli; dunque debbo avere una somma purità, e per quanto posso, debbo essere un uomo angelico.
2° Iddio ubbidisce alla mia voce, ed io debbo ubbidire alle voci di Dio, della sua grazia e dei superiori ecclesiastici.
3° La Santa Chiesa mi onora, ed io debbo onorare la Chiesa colla santità della vita, collo zelo, colla fatica e col decoro.
4° Offro Gesù Cristo all'Eterno Padre, e debbo essere rivestito delle virtù di Gesù Cristo, e prepararmi a trattare col Santo del Santi.
5° Il popolo cristiano mi considera come un ministro di riconciliazione con Dio, e debbo essere io sempre caro a Dio e godere di sua amicizia.
6° Il giusto vuole col mio virtuoso esempio confermarsi nella buona e santa vita, ed io debbo dare buoni esempi sempre ed a tutti.
7° I poveri peccatori aspettano da me di essere liberati dalla morte del peccato, ed io debbo farlo colle preghiere, coll'esempio, colla voce e coll'opera.
8° Ho bisogno di fortezza e coraggio per vincere il mondo, l'inferno e la corruzione carnale, e, colla divina grazia, debbo combattere e vincere.
9° Mi debbo preparare colla sapienza per difendere la santa religione ed abbattere gli errori e l'empietà.
10° I rispetti umani e le amicizie del mondo debbo odiare e abborrire come cose d'inferno: queste cose discreditano il sacerdozio.
11° Debbo maledire l'ambizione e l'interesse come la peste dello stato sacerdotale: tanti sacerdoti per l'ambizione hanno perduta la fede.
12° Mi necessita la serietà e la carità, e debbo essere cauto, accorto, specialmente colle donne; ma non superbo, aspro e disprezzante.
13° Il raccoglimento, il fervore, la soda virtù, l'esercizio dell'orazione devono essere la mia continua occupazione, se voglio piacere a Dio.
14° Debbo cercare solo la gloria di Dio. la santificazione dell'anima mia, e la salvezza del mio prossimo, a costo anche della vita.
15° Sono sacerdote; devo ispirare virtù, e glorificare il sommo ed eterno sacerdote Gesù Cristo.
U. MANNUCCI
in S. ALFONSO M. DE LIGUORI
Grandezze e doveri del Sacerdote
Marietti, Torino-Roma 1927, pp. 5-8
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(1) Questo libro è stato estratto dalla I. e II. parte della "Selva Predicabile" di S. Alfonso M. De Liguori.