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S. Alfonso Maria de Liguori
Selva di materie predicabili

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CAP. VI. Del peccato d'incontinenza.

 

L'incontinenza è chiamata da s. Basilio peste viva, da s. Bernardino da Siena vizio il più nocivo di tutti: Vermis quo nullus nocentior; perché, secondo dice s. Bonaventura, l'impudicizia distrugge i germogli di tutte le virtù: Luxuria omnium virtutum eradicat germina. Perciò ella è da s. Ambrogio chiamata il seminario e la madre di tutti i vizj: Luxuria seminarium est, et origo omnium vitiorum; mentre questo vizio tira seco anche gli altri, odj, furti, sacrilegj e simili. E quindi giustamente disse s. Remigio che, exceptis parvulis, maior pars hominum ob hoc vitium damnatur. E il p. Segneri disse che siccome l'inferno per la superbia è pieno d'angeli, così per la disonestà è pieno d'uomini. Negli altri vizj il demonio pesca coll'amo, in questo pesca colla rete; sicché fa più guadagno per l'inferno con questo vizio che con tutti gli altri. E Dio all'incontro per l'incontinenza ha mandati i maggiori castighi nel mondo, punendola dal cielo con diluvj d'acque e di fuoco.

 

È una bella gemma la castità, ma è una gemma che sulla terra da pochi è ritrovata, come dice s. Atanasio: Gemma pretiosissima a paucis inventa. Ma questa gemma se conviene a' secolari, a' sacerdoti ella è assolutamente necessaria. Tra tutte le virtù che l'apostolo prescrisse a Timoteo specialmente gli raccomandò la castità: Teipsum castum custodi2. Dice Origene che la castità è la prima virtù con cui deve ornarsi un sacerdote che va all'altare: Ante omnia sacerdos qui divinis assistit altaribus, castitate debet accingi. E Clemente alessandrino scrisse che solo quei che vivono casti sono e possono dirsi sacerdoti: Soli qui puram habent vitam sunt Dei sacerdotes3. Siccome dunque la pudicizia fa i sacerdoti, così per lo contrario l'impudicizia quasi li priva della lor dignità: Si pudicitia sacerdotes creat, libido sacerdotibus dignitatem abrogat4. Perciò la s. chiesa ha cercato sempre con tanti concilj, leggi ed ammonizioni di custodire gelosamente la pudicizia de' sacerdoti. Innocenzo III.5 ordinò: Nemo ad sacrum ordinem permittatur accedere, nisi aut virgo aut probatae castitatis existat. E di più prescrisse che gli ecclesiastici incontinenti fossero esclusi ab omnium graduum dignitate. S. Gregorio6, ordinò: Qui post acceptum sacrum ordinem


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lapsus in peccatum carnis fuerit, sacro ordine ita careat ut ad altaris ministerium non accedat. Inoltre s. Silvestro1 comandò che se un sacerdote commettesse un peccato turpe, dovesse fare dieci anni di penitenza; tra quali ne' primi tre mesi dovesse dormire sulla terra, stando in solitudine senza praticar con alcuno e privo della comunione; indi per un anno e mezzo dovesse cibarsi di solo pane ed acqua in ogni giorno; ma per gli anni seguenti poi per tre soli giorni della settimana dovesse continuare il digiuno in pane ed acqua. In somma la chiesa non riguarda se non come mostri quei sacerdoti che non vivono casti.

 

Esaminiamo in primo luogo la malizia del peccato d'un sacerdote che offende la castità. Il sacerdote è tempio di Dio così pel voto di castità, come per la sacra unzione colla quale vien consacrato a Dio: Unxit nos Deus, qui et signavit nos2; così scrisse s. Paolo parlando di sé e degli altri sacerdoti suoi socj. Onde disse poi Ugon cardinale: Sacerdos ne polluat sanctuarium Domini; quia oleum sanctae unctionis super eum est. Il corpo dunque del sacerdote è questo santuario del Signore: Teipsum castum custodi, ut domum Dei, templum Christi, scrisse s. Ignazio martire3. Pertanto dice s. Pier Damiani che i sacerdoti macchiando il loro corpo colle disonestà offendono il tempio di Dio: Nonne templum Dei violant4? E poi soggiunge: Nolite vasa Deo sacrata in vasa contumeliae vertere5. Che si direbbe se taluno si servisse del calice consacrato per bere a mensa? Parlando de' sacerdoti Innocenzo II.6 disse: Cum ipsi templum et sacrarium Spiritus sancti esse debeant, indignum est eos immunditiis deservire. Che orrore, vedere un sacerdote che dovrebbe risplendere e odorare tutto di purità, divenuto sordido e puzzolente, imbrattato di peccati carnali! Sus lota in volutabro luti7. Quindi scrisse Clemente alessandrino che i sacerdoti disonesti, per quanto è dal canto loro, imbrattano lo stesso Dio che abita in essi: Deum in ipsis habitantem corrumpunt, quantum in se est, et vitiorum suorum coniunctione polluunt8. E di ciò si lamenta il Signore: Sacerdotes eius contempserunt legem meam et polluerunt sanctuaria mea…, et coinquinabar in medio eorum9. Oimè! dice Dio, dalle incontinenze de' miei sacerdoti resto imbrattato ancor io; poiché offendendo essi la castità, sporcano i miei santuarj, che sono i loro corpi, da me consacrati e dove spesso io vengo ad abitare. E ciò volle dire s. Girolamo quando scrisse: Polluimus corpus Christi quando indigne accedimus ad altare10.

 

Inoltre il sacerdote sull'altare sacrifica a Dio l'Agnello immacolato, cioè lo stesso Figlio di Dio; che perciò, dice s. Girolamo, dee essere il sacerdote così pudico che non solo si guardi da ogni azione turpe, ma anche da un guardo che sia men che onesto: Pudicitia sacerdotalis non solum ab opere immundo, sed etiam a iactu oculi sit libera11. Scrisse parimente s. Gio. Grisostomo che il sacerdote dev'esser così puro che meriti di stare in mezzo agli angeli nel cielo: Necesse est sacerdotem sic esse purum, ut si in ipsis coelis esset collocatus, inter coelestes illas virtutes


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medius staret1. E in altro luogo disse che la mano del sacerdote che deve toccar le carni di Gesù Cristo dovrebbe risplendere di purità più che i raggi del sole: Quo solares radios non deberet excedere manus illa quae hanc carnem tractat2? All'incontro, dice s. Agostino, dove si troverà un uomoempio che ardisca di toccare il ss. Sacramento dell'altare colle mani lorde di fango: Quis adeo impius erit qui lutosis manibus sacratissimum sacramentum tractare praesumat3? Ma peggio fa, dice s. Bernardo, quel sacerdote che ha l'ardire di andare all'altare a maneggiare il corpo di Gesù Cristo, dopo essersi imbrattato co' peccati osceni: Audent Agni immaculati sacras contingere carnes, et intingere in sanguinem Salvatoris manus, quibus paullo ante carnes attrectaverunt4. Ah sacerdote, esclama parimente s. Agostino, guardati ne manus quae intinguntur sanguine Christi polluantur sanguine peccati5! Deh non fare che quelle mani che bagnansi nel sangue del Redentore sparso un giorno per amor tuo abbiano poi a sporcarsi col sangue sacrilego del peccato!

 

Di più dice Cassiano che i sacerdoti non solo debbono toccare ma cibarsi ancora delle sacre carni dell'Agnello; perciò debbono osservare la castità con una purità più che angelica: Qua puritate oportebit custodire castitatem, quos necesse est quotidie sacrosanctis Agni carnibus vesci6! All'incontro scrive Pietro Blessense che un sacerdote il quale imbrattato dal vizio disonesto proferisce le parole della consecrazione è come sputasse in faccia a Gesù Cristo; e quando poi mette il di lui sacrosanto corpo e sangue nella sua sordida bocca è come lo gittasse nel fango: Qui sacra illa verba sacramenti ore immundo profert in faciem Salvatoris spuit; et cum in os immundum sanctissimam carnem ponit, eam quasi in lutum proiicit7. Più, dice s. Vincenzo Ferreri: costui fa una maggior scelleraggine che se buttasse l'ostia consacrata in una cloaca: Maius peccatum est quam si proiiciat corpus Christi in cloacam. Qui esclama s. Pier Damiani e dice: O sacerdote, che devi sacrificare a Dio l'Agnello immacolato, deh non voler prima sacrificar te stesso al demonio colle tue impudicizie! O sacerdos, qui debes offerre, noli prius temetipsum maligno spiritui victimam immolare8! Che perciò il santo chiama poi i sacerdoti impudici vittime del demonio, delle quali quegli spiriti nemici fanno pasto più saporito nell'inferno: Vos estis daemonum victimae, ad aeternae mortis succidium destinati; et vobis diabolus, tanquam delicatis dapibus, pascitur et saginatur9. Inoltre il sacerdote disonesto non solo perde se stesso, ma ne fa perdere tanti altri. Dice s. Bernardo che l'incontinenza degli ecclesiastici è la maggior persecuzione che oggidì patisce la chiesa. Su quelle parole di Ezechia: Ecce in pace amaritudo mea amarissima10, piange il santo e scrive così: Amara prius in nece martyrum, amarior in conflictu haereticorum, amarissima in luxuria ecclesiasticorum. Pax est, et non est pax: pax a paganis, pax ab haereticis, et non pax a filiis; filii propriam matrem eviscerant. La chiesa, dice, patì già grande amarezza dai tiranni che


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uccisero tanti martiri; maggiore amarezza patì poi dagli eretici che infettarono tanti suoi sudditi; ma la più grande amarezza e persecuzione è quella che ora patisce dagli stessi suoi figli, che sono gli ecclesiastici disonesti, i quali co' loro scandali cavan le viscere ad essa lor propria madre. Che vergogna, esclama s. Pier Damiani, vedere un che predica la castità, fatto schiavo della lussuria! Qui praedicator es castitatis, non te pudet servus esse libidinis?

 

Passiamo ora ad esaminare i danni che apporta all'anima, specialmente d'un sacerdote, il peccato disonesto. Per prima questo peccato acceca e fa perdere la vista di Dio e delle verità eterne. Dice s. Agostino che la castità fa che gli uomini vedano Dio: Castitas, mundans mentes hominum, praestat videre Deum1. All'incontro il primo effetto del vizio impuro è la cecità della mente, giusta s. Tommaso, che ne descrisse gli effetti: Caecitas mentis, odium Dei, affectus praesentis saeculi, horror futuri2. Disse s. Agostino che la disonestà ci toglie il pensare all'eternità: Luxuria futura non sinit cogitare. Il corvo quando ritrova un cadavere, la prima cosa che fa è levargli gli occhi: l'incontinenza il primo danno che fa è toglier la luce delle cose divine. Ben ciò lo sperimentò un Calvino, prima parroco, pastore d'anime, e poi per questo vizio diventato eresiarca: un Enrico VIII., prima difensore della chiesa e poi persecutore: lo sperimentò anche un Salomone, prima santo e poi idolatra. Lo stesso avviene tutto giorno ai sacerdoti disonesti: Ambulabunt ut caeci, quia Domino peccaverunt3.

Miseri! in mezzo alla luce delle messe che celebrano, degli offici che leggono, de' funerali a cui assistono, restano ciechi come non credessero né alla morte che li aspetta, né al giudizio futuro, né all'inferno che si acquistano! Palpant in meridie, sicut palpare solet caecus in tenebris4. Restano in somma da quel loto puzzolente, in cui si sono immersi, così accecati che, dopo aver lasciato Dio che tanto li ha innalzati sopra gli altri, neppure pensano di tornare ai piedi suoi per ottenerne il perdono. Non dabunt cogitationes suas, ut revertantur ad Deum suum; quia spiritus fornicationum in medio eorum5. In modo che, siccome dice s. Giovanni Grisostomo, non basteranno ad illuminarli né le ammonizioni de' superiori né i consigli de' buoni amici, né il timore de' castighi, né il pericolo di restare svergognati: Nec admonitiones nec consilia nec aliquid aliud salvare potest animam libidine periclitantem6.

 

E qual maraviglia, se non vedono più? Supercecidit ignis, et non viderunt solem7. Chiosa l'Angelico; Supercecidit ignis libidinis. Onde poi dice: Vitia carnalia extinguunt iudicium rationis, quia luxuria totam animam trahit ad delectationem8. Questo vizio colla sua dilettazione brutale fa perdere all'uomo anche la ragione; talmenteché, come dice Eusebio, fa che l'uomo diventi peggiore d'una bestia: Luxuria hominem peiorem bestia facit. Quindi avverrà che il sacerdote disonesto accecato dalle sue impudicizie non farà più conto né delle ingiurie ch'egli fa a Dio co' suoi sacrilegj né dello scandalo che agli


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altri: giungerà ancora ad avere l'ardire di dir messa col peccato nell'anima. Che maraviglia? Chi ha perduta la luce facilmente si abbandona a commettere ogni male.

 

Accedite ad eum, et illuminamini.1 Chi vuol la luce bisogna che si accosti a Dio; ma perché l'impudicizia allontana molto l'uomo da Dio, secondo dice s. Tommaso, per luxuriam homo maxime recedit a Deo2, perciò il disonesto diventa quasi un bruto che non apprende più le cose spirituali: Animalis homo non percipit ea quae sunt spiritus Dei3. Non gli fanno più specie né l'inferno né l'eternità né la dignità di sacerdote, non percipit; e forse comincia ancora a dubitar della fede, come parla s. Ambrogio: Ubi coeperit quis luxuriari, incipit deviare a vera fide4. Oh quanti miseri sacerdoti per questo vizio finalmente han perduta anche la fede! Ossa eius implebuntur vitiis adolescentiae eius (i vizj della gioventù sono le disonestà) et cum eo in pulvere dormient5. Siccome in un vaso ch'è pieno di terra non può entrar più la luce del sole; così in un'anima abituata ne' peccati carnali non risplende più la luce divina e resteranno con lei a dormire i suoi vizj sino alla morte.

 

Ma siccome quell'anima infelice per le sue sozzure si scorderà di Dio, così Dio si scorderà di lei e permetterà che resti abbandonata nelle sue tenebre: Quia oblita es mei et proiecisti me post corpus tuum, tu quoque porta scelus tuum et fornicationes tuas6. S. Pier Damiani: Illi Deum post corpus suum proiiciunt qui suarum obtemperant illecebris voluptatum7. Narra il p. Cattaneo che un peccatore, tenendo una mala pratica ed essendo avvertito da un amico a lasciarla, se non volea dannarsi, rispose: Amico, per la tale ben si può andare all'inferno. E certamente vi andò, perché in tale stato fu ucciso. Un altro (e questo fu sacerdote) essendo stato ritrovato in casa d'una certa dama ch'egli era andato a tentare, fu dal marito di colei costretto a bere il veleno: andato poi a casa sua si pose a letto e palesò ad un amico la disgrazia accadutagli. L'amico, vedendo che il misero sacerdote già si accostava alla morte, l'esortò a confessarsi presto; rispose l'infelice: No, io non posso confessarmi: solo di questo ti prego: di' alla signora N., dille ch'io muoio per amor suo. Può giungere a più la cecità?

 

In secondo luogo il peccato impuro porta seco l'ostinazione della volontà. Hac rete diaboli, dice s. Gerolamo, si quis capitur, non cito solvitur. E s. Tommaso scrisse che il demonio di niun peccato si compiace tanto, quanto dell'impudicizia; perché a questo vizio è molto inclinata la carne, e chi vi cade difficilmente ne può sorgere: Diabolus debet maxime gaudere de peccato luxuriae; quia est maximae adhaerentiae, et difficile ab eo homo potest eripi8. Perciò da s. Clemente Alessandrino il vizio disonesto fu chiamato morbus immedicabilis; e da Tertulliano vitium immutabile. Onde s. Cipriano chiamava la disonestà madre dell'impenitenza: Impudicitia mater est impoenitentiae. È impossibile, dicea Pietro Blessense, che vinca le tentazioni


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carnali chi si è lasciato dominar dalla carne: Est fere impossibile triumphare de carne, si ipsa de nobis triumphavit. Narra il p. Bidermani d'un giovine recidivo in questo peccato che, stando in morte, si confessò con molte lagrime e morì lasciando molta speranza della sua salvazione. Ma nel seguente il confessore dicendo per lui la messa, si sentì tirare per la pianeta; si voltò e vide una nuvola nera che scintillava fuoco, e poi si senti dire che era l'anima del giovine morto, che sebbene avesse ricevuta l'assoluzione de' suoi peccati nulladimeno all'ultimo, tentato di nuovo, era caduto col pensiero e s'era dannato.

 

Propheta… et sacerdos polluti sunt… Idcirco via eorum erit quasi lubricum in tenebris, impellentur enim et corruent in ea1. Ecco la ruina de' sacerdoti disonesti: si ritrovano i miseri in una via che sdrucciola, in mezzo alle tenebre e spinti a precipizio da' demoni, dal mal abito; ond'è loro quasi impossibile lo scamparne. Dice s. Agostino che coloro che si danno a questo vizio presto contraggono l'abito; e l'abito presto diventa una quasi necessità di peccare: Deum servitur libidini, facta est consuetudo, et dum consuetudini non resistitur, facta est necessitas2. Lo sparviere per non lasciare il carname, di cui si è posto a cibarsi si contenta più presto di lasciarvi la vita con farsi uccidere dal cacciatore. Ciò avviene al disonesto abituato. Ed oh quanto più de' secolari i sacerdoti che si son lasciati dominare da questo vizio rimangono ostinati! E ciò avviene sì per ragione della maggior luce ch'essi hanno avuta a conoscere la malizia del peccato mortale, sì perché l'impudicizia in essi è maggior peccato; mentre non solo offendono la castità, ma anche la religione per lo voto fatto, e per lo più offendono ancora la carità del prossimo, perché quasi sempre la disonestà del sacerdote reca scandalo grandissimo agli altri. Narra Dionisio Cartusiano3 che un servo di Dio una volta condotto in ispirito dall'angelo al purgatorio vide ivi molti secolari che pativano per le loro impudicizie, ma pochissimi sacerdoti: dimandando il perché, gli fu risposto che de' sacerdoti disonesti difficilmente ne giunge alcuno a pentirsi veramente di questo peccato, e che perciò tali sacerdoti quasi tutti si dannavano: Vix aliquis talium habet veram contritionem; idcirco pene omnes damnantur.

 

Finalmente questo vizio maledetto conduce l'uomo, e specialmente il sacerdote che n'è infetto alla dannazione eterna. Dice s. Pier Damiani che gli altari di Dio non ricevono altro fuoco che d'amor divino; ond'è poi che chi ardisce di salirvi acceso di fuoco impuro resta consumato dal fuoco della divina vendetta: Altaria Domini non alienum, sed dumtaxat ignem divini amoris accipiunt. Quisquis igitur carnalis concupiscentiae flamma aestuat, et assistere altaribus non formidat, ille divinae ultionis igne consumitur4. E scrive in altro luogo che tutte le oscenità del peccator disonesto un giorno si convertiranno in pece colla quale si nutrirà eternamente nelle sue viscere il fuoco dell'inferno: Veniet, veniet profecto dies, imo nox, quando libido ista tua vertetur in picem, qua se perpetuus


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ignis in tuis visceribus inextinguibiliter nutriat1.

 

Oh come castiga Dio i sacerdoti disonesti! E quanti sacerdoti stanno all'inferno per questo peccato! Dice s. Pier Damiani: se quell'uomo del vangelo per esser venuto alle nozze senza la veste decorosa fu condannato alle tenebre, quid illi sperandum qui coelestibus tricliniis intromissus, non modo non est spiritualis indumenti decore conspicuus, sed ultro etiam foetet sordentis luxuriae squallore perfusus2? Narra il Baronio nell'anno 110, che un sacerdote, avendo tenuta una mala pratica, venne a morte; e mentre stava in agonia, vide molti demonj che venivano per pigliarlo. Allora egli si voltò ad un religioso che lo assisteva e gli disse che pregasse per lui; ma indi a poco disse che già stava al tribunale di Dio, e poi gridò: Lascia, lascia di pregare per me, perché son già condannato, e non mi servono più le tue preghiere: Cessa pro me orare, pro quo nullatenus exaudieris. Narra s. Pier Damiani3 che nella città di Parma peccando un sacerdote con una donna, nello stesso punto morirono di subito tutti due. Si riferisce di più nelle rivelazioni di s. Brigida4, che un sacerdote disonesto stando in campagna fu ucciso da un fulmine, e si trovò che il fulmine gli aveva incenerite solamente le parti pudende, senza toccare il resto del corpo, in segno che Dio principalmente per l'incontinenza l'avea così castigato. Un altro sacerdote a' tempi nostri, commettendo un simile peccato, anche morì di subito, e per suo maggior vitupero fu esposto nudo nell'atrio d'una chiesa nello stesso modo come era stato ritrovato morto nella casa della donna. I sacerdoti disonesti co' loro scandali disonorano la chiesa, e perciò il Signore giustamente li castiga con farli essere i più svergonati fra tutti gli uomini. Così appunto egli dice per Malachia, parlando co' sacerdoti: Vos autem recessistis de via et scandalizastis plurimos in legePropter quod et ego dedi vos contemptibiles et humiles omnibus populis5.

 

Molti rimedj poi assegnano i maestri di spirito contro questo vizio disonesto: ma sono i principali ed i più necessarj la fuga dell'occasione e l'orazione. In quanto al primo mezzo, dicea s. Filippo Neri che in questa battaglia vincono i poltroni, viene a dire coloro che fuggono l'occasione. Usi l'uomo tutti gli altri mezzi possibili; se non fugge, è perduto. Qui amat periculum, in illo peribit6. In quanto al secondo mezzo dell'orazione, bisogna intendere che noi non abbiamo forza di resistere alle tentazioni della carne; questa forza ce l'ha da concedere Iddio: ma Dio non la concede se non a chi prega e la domanda. L'unica difesa contro questa tentazione, dice s. Gregorio nisseno, è la preghiera: Oratio pudicitiae praesidium est. E prima lo disse il Savio: Et ut scivi quoniam aliter non possum esse continens, nisi Deus det,… adii Dominum et deprecatus sum illum7.

(Chi poi desidera più cose circa i mezzi contro il vizio carnale, e specialmente circa i due mezzi accennati della fuga dell'occasione e dell'orazione, può leggere l'istruzione circa la castità, che si metterà appresso tra le istruzioni nella seconda parte.)




2 1. Tim. 5. 22.



3 Lib. 3. Stromat.



4 S. Isid. l. 3. epist. 75.



5 Cap. a multis de aetate et qual. ord.



6 In c. Pervenit. dist. 50.



1 C. Presbyter, dist. 82.



2 2. Cor. 1. 21.



3 Epist. 10. ad Honor. diacon.



4 Opusc. 18. d. 2. c. 3.



5 Ibid.



6 Nel can. Decernimus dist. 28.



7 2. Petr. 2. 22.



8 Pedag. l. 2. c. 10.



9 Ezech. 22. 26.



10 In c. 1. Malach.



11 In c. 1. epist. ad Tit.



1 De sacerd. l. 3. c. 4.



2 Hom. 3. in Matth.



3 Serm. 244. de temp.



4 In declam.



5 Serm. 37. tract. ad Herem.



6 L 6. c. 8.



7 Serm. 38.



8 De cael. sacrif. c. 3.



9 L. 4. epist. 3.



10 Apud Isa. 38. 17.



1 Serm. 249. de temp.



2 2. 2. q. 153 a. 4.



3 Soph. 1. 17.



4 Deut. 28 29.



5 Osee 5. 4.



6 Hom. contra luxur.



7 Ps. 57. 9.



8 2. 2. q. 53. a. 6. ad 3.



1 Ps. 33 6.



2 1. 2. q. 37. a. 5.



3 1. Cor. 2 14.



4 Epist. 1. ad Sabin.



5 Lab. 20. 11.



6 Ezech. 23. 35.



7 Op. 18. diss. 2. c. 3.



8 1. 2. q. 73. A. 5. ad 2.



1 Ierem. 23. 11. et 12.



2 Conf. l. C. c. 5.



3 Nel suo libro de' Novissimi all'articolo 47.



4 Opusc. 27. de comm. vit. can. c. 3.



1 Idem op. 17. de cael. sac.



2 Opusc. 18. diss. 1. c. 4.



3 L. 5. epist. 16.



4 Lib. 2 c. 2.



5 Malach. 2. 8. et 9.



6 Eccl. 3. 27.



7 Sap. 8. 21.






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