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S. Alfonso Maria de Liguori
Selva di materie predicabili

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ISTRUZ. III. Circa la castità del sacerdote.

 

Omnis autem ponderatio non est digna continentis animae6. Tutte le ricchezze della terra, tutte le signorie e dignità sono vili a rispetto d'un'anima casta. Da s. Efrem è chiamata la castità vita spiritus, da s. Pier Damiani regina virtutum, e da s. Cipriano acquisitio triumphorum. Chi vince il vizio opposto alla castità, facilmente vince tutti gli altri vizj. All'incontro chi si lascia dominare dal vizio impuro facilmente cade in molti altri vizj, di odio, d'ingiustizia, di sacrilegio ec. La castità, dicea s. Efrem, fa che l'uomo diventi angelo: Efficit angelum de homine. E s. Ambrogio: Qui castitatem servaverit angelus est; qui perdidit diabolus7. Con ragione i casti sono assomigliati agli angeli, che vivono lontani da ogni piacere carnale: Et erunt sicut angeli Dei8. Gli angeli son puri per natura, ma i casti son puri per virtù: Huius virtutis merito homines angelis aequantur9. E s. Bernardo dice che l'uomo casto differisce dall'angelo solo nella felicità, non già nella virtù: Differunt quidem inter se homo pudicus et angelus,


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sed felicitate, non virtute; sed etsi illius castitas sit felicior, huius tamen fortior concluditur1. Aggiunge s. Basilio che la castità rende l'uomo simile anche a Dio, il quale è spirito puro: Pudicitia hominem Deo simillimum facit2.

 

La castità poi quanto è pregiabile tanto è necessaria a tutti per conseguir la salute. Ma maggiormente è necessaria a' sacerdoti. Il Signore ordinò per li sacerdoti dell'antica legge tante vesti ed ornamenti bianchi e tante lavande esterne, tutti simboli della purità del corpo; perché doveano essi solamente toccare i vasi sacri e perché eran figura de' sacerdoti della nuova legge, i quali dovean poi toccare e sacrificare le sacrosante carni del Verbo umanato. Onde scrisse s. Ambrogio: Si in figura tanta observantia, quanta in veritate3? All'incontro ordinò Iddio che fossero discacciati dall'altare i sacerdoti che si trovassero abitualmente infetti di scabbia, simbolo del vizio impuro: Nec accedet ad ministerium... si albuginem habens in oculo, si iugem scabiem etc.4. Spiega s. Girolamo: Iugem habet scabiem qui carnis petulantia dominatur5.

 

Anche i gentili, come scrive Plutarco, esigevano la purità da' sacerdoti de' lor falsi dei, dicendo che ogni cosa che riguarda l'onor divino dee esser monda: Diis omnia munda. E de' sacerdoti ateniesi riferisce Platone che, per meglio conservar la pudizia, abitavano in luoghi separati dagli altri: Ne contagione aliqua eorum castitas labefactetur6. Onde s. Agostino esclama: O grandis christianorum miseria! ecce pagani doctores fidelium facti sunt. Parlando poi de' sacerdoti del vero Dio, dice Clemente alessandrino che solamente quei che menano vita casta sono e debbon dirsi veri sacerdoti: Soli qui puram agunt vitam sunt Dei sacerdotes7. E s. Tomaso da Villanova disse: Sit humilis sacerdos, sit devotus, si non est castus nihil est. A tutti è necessaria la castità, ma principalmente a' sacerdoti: Omnibus castitas pernecessaria est, sed maxime ministris altaris8. I sacerdoti debbon trattar sull'altare coll'agnello immacolato di Dio, che chiamasi giglio, lilium convallium9, e che non si pasce se non tra' gigli, qui pascitur inter lilia10. Che perciò Gesù Cristo non volle altra madre che una vergine, non altro nutritore (qual fu s. Giuseppe) né altro precursore, se non vergine. E dice s. Girolamo: Prae caeteris discipulis diligebat Iesus Ioannem, propter praerogativam castitatis. E per questo pregio di purità Gesù consegnò a s. Gio. la sua madre, siccome al sacerdote consegna la chiesa e se stesso. Onde disse Origene: Ante omnia sacerdos, qui divinis assistit altaribus, castitate debet accingi. E s. Gio. Grisostomo scrisse che il sacerdote dee esser così puro che meriti di stare in mezzo agli angeli: Necesse est sacerdotem sic esse purum ut, si in ipsis coelis esset collocatus, inter coelestes illas virtutes medius staret11. Dunque chi non è vergine non può esser sacerdote? Risponde s. Bernardo: Longa castitas pro virginitate reputatur12.

 

Perciò la s. chiesa niuna cosa custodisce con tanta gelosia quanto la


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purità de' sacerdoti. Quanti concilj, quanti canoni parlano di ciò! Innocenzo III.1 dice: Nemo ad sacrum ordinem permittatur accedere, nisi aut virgo aut probatae castitatis existat. E di più ivi stesso prescrive, eos qui in sacris ordinibus sunt positi, si caste non vixerint, excludendos ab omni graduum dignitate. Inoltre s. Gregorio2 disse: Nullus debet ad ministerium altaris accedere, nisi cuius castitas ante susceptum ministerium fuerit approbata. La ragione del celibato prescritto a' ministri dell'altare la adduce s. Paolo dicendo: Qui sine uxore est, sollicitus est quae Domini sunt, quomodo placeat Deo. Qui autem cum uxore est, sollicitus est quae sunt mundi, quomodo placeat uxori, et divisus est3. Chi è sciolto da' legami coniugali è tutto di Dio, poiché non ha da pensare ad altro che a piacere a Dio: ma chi è legato col matrimonio ha da pensare a piacere alla moglie, a' figli ed al mondo; e con ciò il suo cuore ha da restar diviso e non può esser tutto di Dio. Ebbe ragione dunque s. Atanagio di chiamar la castità casa dello Spirito santo, vita d'angeli e corona de' santi: O pudicitia, domicilium Spiritus sancti, angelorum vita, sanctorum corona4! E s. Girolamo di chiamarla l'onore della chiesa e la gloria de' sacerdoti: Ornamentum ecclesiae Dei, corona illustrior sacerdotum. Sì, perché il sacerdote, come scrisse s. Ignazio martire, dee conservarsi puro, come casa di Dio, tempio di Gesù Cristo ed organo dello Spirito santo; giacché per suo mezzo si santificano le anime: Teipsum castum custodi, ut domum Dei, templum Christi, organum Spiritus sancti5.

 

Gran pregio dunque è la castità; ma troppo terribile è la guerra che fa la carne all'uomo per fargliela perdere. E questa è l'arme più forte che ha il demonio per renderlo suo schiavo: Fortitudo eius in lumbis eius6. Ond'è che rari son coloro che n'escono vincitori. S. Agostino: Inter omnia certamina sola sunt dura castitatis praelia, ubi quotidiana pugna, ubi rara victoria7. Quanti miseri, pianse s. Lorenzo Giustiniani, dopo molti anni di solitudine in un deserto, d'orazioni, digiuni e penitenze, per la licenza del senso hanno lasciati i deserti ed han perduta la castità e Dio! Post frequentes orationes, diutissimam eremi habitationem, cibi potusque parcitatem, ducti spiritu fornicationis, deserta reliquerunt8! Pertanto i sacerdoti che sono obbligati ad una perpetua castità bisogna che usino grande attenzione per conservarla. Non sarai mai casto, disse s. Carlo Borromeo ad un ecclesiastico, se non attendi con tutta la diligenza a custodirti; poiché la castità facilmente si perde da' negligenti: Mirum est quam facile ab iis deperdatur qui ad eius conservationem non invigilant. Tutta questa attenzione consiste nel prendere i mezzi a conservarla. Ed i mezzi consistono altri in fuggire alcuni incentivi dell'impudicizia, altri in adoperare alcuni rimedj contro le tentazioni.

 

Il primo mezzo è fuggire l'occasione. Scrisse s. Girolamo: Primum huius vitii remedium est longe fieri ab eis quorum praesentia alliciat ad malum. Dicea s. Filippo Neri che in


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questa guerra vincono i poltroni, cioè quei che fuggono l'occasione: Nunquam luxuria facilius vincitur quam fugiendo1. È un gran tesoro la grazia di Dio, ma questo tesoro l'abbiamo in noi che siamo vasi così fragili e facili a perderlo: Habemus thesaurum istum in vasis fictilibus2. La virtù della castità non può ottenersi dall'uomo, se non gli è data da Dio: Scivi quoniam aliter non possem esse continens, nisi Deus det, disse Salomone3. Noi non abbiamo forza di osservare niuna virtù, ma specialmente questa; mentre abbiamo una forte inclinazione naturale al vizio opposto. L'aiuto divino può fare che l'uomo si conservi casto; ma questo aiuto Dio non lo concede a chi volontariamente si mette o si trattiene nell'occasione di peccare: Qui amat periculum peribit in illo4.

 

Quindi esortava s. Agostino: Contra libidinis impetum apprehende fugam, si vis obtinere victoriam5. Oh quanti infelici, avvertì s. Girolamo a' suoi discepoli mentre stava moribondo (come scrive Eusebio nella sua epistola a Damaso papa), son caduti in questo putrido fango per la presunzione di tenersi sicuri di non cadere! Plurimi sanctissimi ceciderunt hoc vitio propter suam securitatem. Nullus in hoc confidat. Niuno dunque, seguiva ad inculcare il santo, dee tenersi sicuro di non cadere in questo vizio. Ancorché tu fossi santo, dicea, stai nulladimeno sempre soggetto a cadere: Si sanctus es, nec tamen securus es. Non è possibile, disse il Savio, camminar sulle brace e non bruciarsi: Nunquid potest homo ambulare super prunas, ut non comburantur plantae eius6? A tal proposito dice s. Gio. Grisostomo: Num tu saxum es, num ferrum? Homo es, communi naturae imbecillitati obnoxius. Ignem capis, nec ureris? Qui fieri id potest? Lucernam in foeno pone, ac tu aude negare quod foenum uratur. Quod foenum est, hoc natura nostra est. E così non è possibile esporsi ultroneamente all'occasione e non precipitare. Il peccato dee fuggirsi come la faccia del serpente: Quasi a facie colubri fuge peccata7. De' serpi non solo si fugge il morso, ma ancora il tatto ed anche la vicinanza. Dove vi son persone che possono esserci occasione di cadere bisogna che fuggiamo anche la loro presenza ed i loro discorsi. Riflette s. Ambrogio che il casto Giuseppe non volle neppure udire quel che gli avea cominciato a dire la moglie di Putifarre e subito si fuggì, stimando gran pericolo anche il fermarsi ad ascoltarla: Ne ipsa quidem verba diu passus est; contagium enim iudicavit si diutius moraretur8. Ma dirà taluno: io so quel che mi sta bene. Ma senta costui quel che dicea s. Francesco d'Assisi: «Io so ciò che dovrei fare, ma non so, stando nell'occasione, quel che farei».

 

E prima di tutto bisogna fuggire il guardare oggetti pericolosi in questa materia: Ascendit mors per fenestras9. Per fenestras, cioè per gli occhi, come spiegano s. Girolamo, s. Gregorio ed altri; perché siccome per difendere una piazza non basta serrar le porte, se si lascia a' nemici l'entrata per le finestre, così non ci gioveranno tutti gli altri mezzi a conservar la castità, se non istiamo cautelati


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a chiudere gli occhi. Narra Tertulliano che un certo filosofo gentile volontariamente si tolse gli occhi per mantenersi casto. Ciò non è lecito a noi cristiani, ma è necessario, se vogliamo osservar la castità, l'astenerci dal guardare le donne e specialmente dal riguardarle. Non tanto nuoce, avvertiva s. Francesco di Sales, il guardare, quanto il riguardare quegli oggetti che possono tentarci. E non solo, aggiunge s. Gian Grisostomo, bisogna voltare gli occhi dalle donne immodeste, ma anche dalle modeste: Animus feritur et commovetur non impudicae tantum intuitu, sed etiam pudicae1. Perciò il s. Giobbe fe' patto cogli occhi di non guardare alcuna femmina, ancorché onesta vergine, sapendo che dagli sguardi nascono poi i mali pensieri: Pepigi foedus cum oculis meis ut ne cogitarem quidem de virgine2. E lo stesso avvertì l'ecclesiastico: Virginem ne conspicias, ne forte scandalizeris in decore illius3. Dice s. Agostino: Visum sequitur cogitatio, cogitationem delectatio, delectationem consensus. Dal guardare sorge il mal pensiero; dal pensiero sorge una certa dilettazione nella carne, benché involontaria; a questa dilettazione indeliberata spesso succede poi il consenso della volontà: ed ecco che l'anima è perduta. Riflette Ugon cardinale che perciò l'apostolo impose che le donne stessero velate in chiesa, propter angelos4, idest, commenta Ugone, propter sacerdotes, ne, in earum faciem inspicientes, moverentur ad libidinem. S. Girolamo, anche mentre stava nella grotta di Betlemme orando continuamente e macerandosi colle penitenze, era molto tormentato dalla memoria delle dame tanto tempo prima vedute in Roma; onde il santo scrisse poi al suo Nepoziano che non solo si astenesse dal mirar le donne, ma ancora di far parola delle loro fattezze: Officii tui est non solum oculos castos custodire, sed et linguam, nunquam de formis mulierum disputes5. Davide per un'occhiata curiosa in guardar Betsabea cadde miseramente in tanti peccati di adulterio, di omicidio e di scandalo. Nostris tantum initiis (diabolus) opus habet, dicea lo stesso s. Girolamo. Il demonio ha bisogno solamente che noi cominciamo ad aprirgli la porta, perché esso poi finirà d'aprirsela. Uno sguardo avvertito e fissato in volto ad una giovane sarà una scintilla d'inferno che manderà in rovina l'anima E parlando specialmente s. Girolamo de' sacerdoti, dicea che non solo essi debbon fuggire ogni atto impuro, ma anche ogni girata d'occhi: Pudicitia sacerdotalis non solum ab opere immundo se abstineat, sed etiam a iactu oculi6.

 

Se poi per conservar la castità è necessario l'astenersi dal guardare le donne, molto più è necessario il fuggir la loro conversazione: In medio mulierum noli commorari, dice lo Spirito santo7. E ne soggiunge la ragione, dicendo che siccome dal panno nasce la tignuola, così dalla conversazione colle donne ha origine la malvagità degli uomini: De vestimentis enim procedit tinea, et a muliere iniquitas viri8. E siccome, commenta Cornelio a Lapide, la tignuola nasce contro voglia del padrone dalla veste, così dal trattar colle femmine sorge senza volerlo il cattivo desiderio: Sicut


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tibi nihil tale volenti nascitur tinea, ita tibi nihil tale volenti nascitur a foemina desiderium. E soggiunge che siccome insensibilmente la tignuola si genera nella veste e la rode, così insensibilmente, conversando gli uomini colle donne, si muove in essi la concupiscenza, ancorché sieno spirituali: Insensibiliter tinea in veste nascitur et eam rodit, sic insensibiliter ex conversatione cum muliere oritur libido, etiam inter religiosos. S. Agostino per certo il presto precipizio in questa materia di taluno che non vuole astenersi dalle familiarità con oggetti pericolosi: Sine ulla dubitatione, qui familiaritatem non vult vitare suspectam cito labitur in ruinam1. Narra s. Gregorio2, di Orsino prete, che essendosi separato dalla moglie e fatto sacerdote col di lei consenso, dopo quarant'anni di separazione, stando per morire, la moglie accostò l'orecchio alla di lui bocca per iscorgere se ancor respirava: ma allora Orsino gridò: Recede, mulier: adhuc igniculus vivit; tolle paleam. Scostati, donna, disse, e togli la paglia; perché ancor vive in me un picciol fuoco di vita, che può ambedue consumarci.

 

Basti a far tremare ognuno l'infelice esempio di Salomone, che, essendo stato prima così caro e familiare a Dio, fatto per dir così penna dello Spirito santo, dopo, per la conversazione colle donne gentili, fatto vecchio, giunse sino ad adorare gl`idoli: Cumque... esset senex, depravatum est cor eius per mulieres ut sequeretur Deos alienos3. Ma che maraviglia, dice s. Cipriano, se è impossibile star in mezzo alle fiamme e non bruciare? Impossibile est flammis circumdari et non ardere. E s. Bernardo scrisse che vi bisogna minor virtù a risuscitare un morto, che frequentando la familiarità con una donna, a mantenersi casto: Cum foemina frequenter esse et foeminam non tangere nonne plus est quam mortuum suscitare4? Dunque, se vuoi star sicuro, dice lo Spirito santo, longe fac ab ea viam tuum5. Procura presso la casa di colei verso cui il demonio ti tenta, neppur di passarvi; passa da lontano; e quando fosse veramente necessario a taluno il parlare con qualche donna, dice s. Agostino, dee parlarle con poche parole ed austere: Cum foeminis sermo brevis et rigidus6. Lo stesso scrive s. Cipriano, dicendo che il trattar colle donne bisogna che sia di passaggio, senza fermarvisi e come fuggendo: Transeunter foeminis exhibenda est accessio quodammodo fugitiva. Ma quella è brutta, dice taluno: Dio me ne guardi. Ma ti risponde s. Cipriano che il demonio è pittore, e, quando è mossa la concupiscenza, un viso deforme lo fa comparire bello: Diabolus, pingens, speciosum efficit quidquid horridum fuerit. Ma quella m'è parente. A ciò ti risponde s. Girolamo: Prohibe tecum commorari etiam quae de tuo genere sunt. La parentela alle volte serve per togliere la soggezione e per moltiplicare i peccati, aggiungendo all'impudicizia ed al sacrilegio anche l'incesto. Scrisse s. Cipriano: Magis illicito delinquitur ubi sine suspicione securum potest esse delictum. S. Carlo Borromeo fe' decreto che i suoi preti non potessero senza sua licenza coabitare


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con donne, neppure loro strette consanguinee.

 

Ma quella è mia penitente ed è santa: non ci è paura. Non c'è paura? Ma no, dice s. Agostino; quanto più la tua penitente è santa, tanto più dei temerne e fuggirne la familiarità; perché le donne quando sono più divote e spirituali, allora maggiormente allettano: Sermo brevis et rigidus cum his mulieribus habendus est: nec tamen quia sanctiores sunt, ideo minus cavendae: quo enim sanctiores fuerint, eo magis alliciunt1. Diceva il ven. p. Sertorio Caputo, come si legge nella sua vita, che il demonio prima fa prendere affetto alla virtù e così procura di assicurare che non ci sia pericolo; indi fa entrar l'affetto alla persona e poi tenta; e così fa ruine. E prima lo disse s. Tomaso: Licet carnalis affectio sit omnibus periculosa, ipsis tamen magis perniciosa quando conversantur cum persona quae spiritualis videtur: nam quamvis principium videatur purum, tamen frequens familiaritas domesticum est periculum; quae quidem familiaritas quanto plus crescit, infirmatur principale motivum et puritas maculatur. E soggiunge che il demonio sa ben nascondere un tal pericolo; poiché al principio non manda saette che si conoscano avvelenate, ma solamente di quelle che fan picciole ferite ed accendono l'affetto: ma in breve poi avviene che tali persone non trattino più fra loro come angeli, siccome han principiato, ma come vestite di carne: gli sguardi non sono immodesti, ma sono spessi a vicenda: le parole sembrano essere spirituali, ma son troppo affettive. Quindi l'uno comincia a desiderare spesso la presenza dell'altro: Sicque, conclude il santo spiritualis devotio convertitur in carnalem. S. Bonaventura cinque segni per conoscere quando l'amore da spirituale si è fatto carnale. 1. Quando vi sono discorsi lunghi ed inutili; e quando sono lunghi, sempre sono inutili. 2. Quando vi sono sguardi e lodi a vicenda. 3. Quando l'uno scusa i difetti dell'altro. 4. Quando si affacciano certe piccole gelosie. 5. Quando si sente nella lontananza una certa inquietezza.

 

Tremiamo: siamo di carne. Il b. Giordano riprese fortemente una volta un suo religioso per aver data la mano ad una donna, benché senza malizia. Rispose il religioso che quella era santa. Ma il beato, «Senti, gli disse: la pioggia è buona e la terra anche è buona; ma mischiate insieme pioggia e terra fanno loto». Quegli è santo e quella ancora è santa, ma perché si mettono nell'occasione, si perdono tutti e due: Fortis impegit in fortem, et ambo pariter conciderunt2. È celebre quel caso funesto che si legge nella storia ecclesiastica di quella donna santa che usava la carità di prendere i corpi dei santi martiri e seppellirli. Costui un giorno ne trovò uno creduto già morto, ma che non era ancora spirato, lo condusse in sua casa, lo fe' curare; e quegli ricuperò la santità. Ma che avvenne? questi due santi, col conversare insieme, perderono la castità e la grazia di Dio. E questo caso non è avvenuto una o poche volte: quanti sacerdoti prima santi, per simili attacchi principiati collo spirito, han perduto in fine lo spirito e Dio? Attesta s. Agostino aver conosciuti alcuni gran prelati della chiesa, stimati da lui non meno che un s. Girolamo e un s. Ambrogio, esser


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poi precipitati per tali occasioni: Magnos praelatos ecclesiae sub hac specie corruisse reperi, de quorum casu non magis praesumebam quam Hieronymi et Ambrosii1. Pertanto scrisse s. Girolamo a Nepoziano: Ne in praeterita castitate confidas, solus cum sola absque teste non sedeas. Non sedeas viene a dire non fermarsi. E s. Isidoro pelusiota scrisse: Si cum ipsis conversari necessitas te obstringat, oculos humi eiectos habe: cumque pauca locutus fueris, statim avola2. Diceva il p. Pietro Consolini dell'Oratorio che colle donne anche sante si dee praticar la carità come colle anime del purgatorio, da lontano e senza guardarle. Diceva ancora questo buon padre che giova a' sacerdoti, quando sono tentati contro la castità, il considerare la loro dignità: e narrava a questo proposito che un certo cardinale, allorché era molestato da' pensieri, si volgeva a guardar la sua berretta, considerando la sua dignità cardinalizia, dicendo: «Berretta mia, mi ti raccomando;» e così resisteva alla tentazione.

 

Inoltre bisogna fuggire i mali compagni. Dice s. Girolamo che tale diventa l'uomo, quali sono i compagni con cui conversa: Talis efficitur homo, quali conversatione utitur. Noi camminiamo per una via oscura e sdrucciola; tal è la vita presente, lubricum in tenebris: se v'è un mal compagno che ci spinga al precipizio, siam perduti. Narra s. Bernardino da Siena3, aver conosciuta egli una persona che per trentotto anni avea conservata la sua verginità e poi, per aver intesa nominare da un'altra persona una certa impudicizia, precipitò in una vita così laida che se il demonio, diceva il santo, avesse avuta carne, non avrebbe potuto commettere simili sordidezze.

 

Inoltre, per mantenerci casti, bisogna che fuggiamo l'ozio. Dice lo Spirito santo che l'ozio insegna a commettere molti peccati: Multam... malitiam docuit otiositas4. Ed Ezechiele dice che l'ozio fu la causa delle scelleraggini de' cittadini di Sodoma e finalmente della loro totale ruina: Haec fuit iniquitas Sodomae... otium ipsius5. E questa medesima fu la causa, come riflette s. Bernardo, della caduta di Salomone. Il fomite della carne colla fatica si reprime: Cedet libido operibus6. Quindi s. Girolamo esortava Rustico a farsi trovar sempre occupato per quando veniva il demonio a tentarlo: Facito ut te semper diabolus inveniat occupatum7. Scrisse s. Bonaventura che colui il quale sta applicato sarà tentato da un solo demonio, ma l'ozioso sarà spesso assalito da molti: Occupatus ab uno daemone, otiosus ab innumeris vastatur.

 

Abbiamo vedute dunque le cose che si han da fuggire per conservar la castità, cioè l'occasione e l'ozio. Vediamo ora le cose che si han da praticare. Per. 1. si ha da esercitar la mortificazione de' sensi. S'inganna, dice s. Girolamo, chi vuol vivere tra' piaceri e vuole star libero dai vizj de' piaceri: Si quis existimat posse se versare in deliciis, et deliciarum vitiis non teneri, seipsum decipit8. L'apostolo, quando era molestato dagli stimoli della carne, così si aiutava, colle mortificazioni del corpo: Castigo corpus meum et in servitutem redigo9. Quando la carne non è mortificata,


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difficilmente ubbidisce allo spirito. Sicut lilium inter spinas, sic amica mea inter sponsas1. Siccome il giglio si conserva tra le spine, così la castità si custodisce tra le mortificazioni. E principalmente chi vuol mantenersi casto bisogna che si astenga dalle intemperanze della gola, così nel bere, come nel mangiare. Noli regibus dare vinum2. Chi prende vino più di quel che bisogna sarà certamente molestato da molti moti di senso, in modo che difficilmente potrà poi reggere la sua carne e far ch'ella conservi la castità: Venter enim mero aestuans despumat in libidinem, scrisse s. Girolamo; poiché il vino, come disse il profeta, fa perdere all'uomo la ragione e lo fa divenir bruto: Ebrietas et vinum auferunt cor3. Del Battista fu predetto: Vinum et siceram non bibet, et Spiritu sancto replebitur4. Taluno adduce la necessità del vino a cagion della debolezza del suo stomaco. Bene; ma per rimedio dello stomaco poco vino è bastante, secondo scrisse l'apostolo a Timoteo: Modico vino utere propter stomachum tuum et frequentes tuas infirmitates5. Così anche bisogna astenersi dalla superfluità del cibo. Dicea s. Girolamo che la sazietà del ventre è causa dell'impudicizia. E s. Bonaventura: Luxuria nutritur a ventris ingluvie6. All'incontro, come ne insegna la s. chiesa, il digiuno reprime i vizj e produce le virtù: Deus, qui corporali ieiunio vitia comprimis, mentem elevas, virtutes largiris et praemia. Scrisse s. Tomaso che quando il demonio tenta una persona di gola e resta vinta, lascia di tentarla d'impurità: Diabolus victus de gula non tentat de libidine.

 

Per 2. bisogna esercitar l'umiltà. Dice Cassiano che chi non è umile non può esser casto: Castitatem apprehendi non posse, nisi humilitatis fundamenta in corde fuerint collocata. Non rare volte accade che Dio castiga i superbi col permettere che cadano in qualche laidezza. Questa fu la cagione della caduta di Davide, siccome egli stesso confessò: Priusquam humiliarer, ego deliqui7. L'umiltà è quella che ci ottiene la castità. Ut castitas detur, humilitas meretur, scrisse s. Bernardo8. E s. Agostino: Custos virginitatis caritas, locus custodis humilitas9. L'amor divino è il custode della purità, ma l'umiltà è quella casa poi nella quale abita un tal custode. Dicea s. Giovanni Climaco che chi nel combattere colla carne vuol vincere colla sola continenza è come chi sta in mare e vuol salvarsi nuotando con una sola mano: perciò bisogna che alla continenza unisca ancor l'umiltà: Qui sola continentia bellum hoc superare nititur similis est ei qui una manu natans pelago liberari contendit: sit ergo humilitas continentiae coniuncta10.

 

Ma sovra tutto per ottener la virtù della castità è necessaria l'orazione; bisogna pregare e continuamente pregare. Già di sopra si è detto che la castità non può ottenersiconservarsi, se Iddio non concede il suo aiuto per conservarla: ma questo aiuto il Signore non lo concede se non a chi glielo domanda. Dicono i ss. padri che l'orazione di petizione, cioè la preghiera, agli adulti è necessaria di necessità di mezzo, secondo parlano le scritture: Oportet semper orare et non deficere11. Petite et dabitur vobis12.


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Onde poi scrisse l'angelico: Post baptismum necessaria est homini iugis oratio1. E se per esercitare qualunque virtù vi bisogna l'aiuto divino, per conservar la castità vi bisogna un aiuto maggiore, per ragion della gran tendenza che ha l'uomo al vizio opposto. È impossibile all'uomo, scrisse Cassiano, colle sue forze mantenersi casto, senza la divina assistenza: e perciò in questo combattimento bisogna domandarla al Signore con tutti gli affetti del cuore: Impossibile est hominem suis pennis ad huiusmodi virtutis praemium evolare, nisi eum gratia evexerit: idcirco adeundus est Dominus et ex totis praecordiis deprecandus. Onde scrisse s. Cipriano che il primo mezzo per ottenere la castità è il domandare a Dio il di lui aiuto: Inter haec media ad obtinendam castitatem, imo et ante haec omnia de divinis castris auxilium petendum est2. E prima lo disse Salomone: Et ut scivi quoniam aliter non possem esse continens, nisi Deus det, et hoc ipsum erat sapientiae scire cuius esset hoc donum; adii Dominum et deprecatus sum illum et dixi ex totis praecordiis meis3.

 

Subito dunque, ci avverte s. Cipriano, ai primi solletichi sensuali con cui ci assalta il demonio dobbiamo resistere e non permettere che la serpe, cioè la tentazione, da picciola si faccia grande: Primis diabolis titillationibus obviandum est, nec coluber foveri debet donec in serpentem formetur4. Lo stesso avverte s. Girolamo: Nolo sinas cogitationes crescere; dum parvus est hostis interfice5. È facile uccidere il leone quando è picciolo; ma è difficile quando è grande. Guardiamoci pertanto in questa materia dal metterci a discorrere colla tentazione: subito senza discorrere procuriamo di scacciarla. E come dicono i maestri di spirito, il miglior modo per discacciar tali tentazioni di senso non è già di combattere direttamente da faccia a faccia col mal pensiero, facendo atti contrarj di volontà, ma di sviarlo indirettamente con fare atti d'amore a Dio o di contrizione, od almeno con divertire la mente a pensare ad altre cose. Ma il mezzo in cui più allora dobbiam fidarci è il pregare e raccomandarci a Dio: subito allora, ai primi moti d'impurità, giova rinnovare il proposito di voler prima soffrir la morte che peccare; e immediatamente dopo bisogna ricorrere alle piaghe di Gesù Cristo per aiuto. Così han fatto i santi, che ancora eran di carne ed eran tentati, e così han vinto. Cum me pulsat, dicea s. Agostino, aliqua turpis cogitatio, recurro ad vulnera Christi: tuta requies in vulneribus Salvatoris6. Così anche s. Tomaso d'Aquino superò l'assalto di quella donna impudica, dicendo: Ne sinas, Domine Iesu, et sanctissima Virgo Maria.

 

Giova molto anche allora il segnarsi col segno della croce sul petto. Giova ricorrere all'angelo custode ed al santo avvocato. Ma sopra tutto giova ricorrere a Gesù Cristo e alla divina Madre, invocando subito allora e più volte i loro santissimi nomi, finché non si senta abbattuta la tentazione. Oh che forza hanno i nomi di Gesù e di Maria contro gl'insulti disonesti! Tra le altre divozioni per conservar la castità è utilissima la divozione verso la s. Vergine, la quale


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vien chiamata mater pulcrae dilectionis et custos virginitatis. Singolarmente è giovevolissima la divozione di recitare nel levarsi la mattina e nell'andare a letto la sera tre Ave alla purità di Maria. Narra il p. Segneri che un giorno andò a confessarsi dal p. Nicola Zucchi della compagnia di Gesù un peccatore tutto infangato d'impurità: questo padre gli diè per rimedio che in ogni mattina e sera non avesse lasciato mai di raccomandarsi alla purità di Maria colle suddette tre Ave. In capo a più anni quel peccatore, dopo aver girato il mondo, ritornò a piedi del nominato padre e, confessandosi di nuovo, dimostrò d'essersi in tutto emendato. Gli dimandò il padre come avea fatta sì bella mutazione: rispose d'avere ottenuta la grazia per mezzo di quella piccola divozione delle tre Ave. Il p. Zucchi, colla licenza del penitente, disse un giorno dal pulpito questo fatto. L'intese un certo soldato che tenea attualmente una mala pratica: cominciò a dire ogni giorno le tre Ave Maria; ed ecco che presto coll'aiuto della divina Madre lasciò la pratica. Ma un giorno, spinto da falso zelo, volle andare a trovar quella donna col pensiero di convertirla; ma quando fu per entrare alla di lei casa si sentì dare una grande spinta e si ritrovò trasportato in altro luogo, molto da quella casa lontano. Allora egli conobbe, e ne ringraziò la sua benefattrice, che l'essere stato impedito di andare a parlar colla donna era stata una special grazia impetratagli da Maria, perché, se si fosse posto di nuovo all'occasione, facilmente sarebbe ricaduto.

 




6 Eccli. 26. 20.



7 Lib. 1. de virgin.



8 Matth. 22. 30.



9 Cassian. lib. 6. Instit.



1 Ep. 22.



2 Lib. de virgin.



3 L. 1. de offic. c. 5.



4 Lev. 18. 20.



5 Pastor. part. 1. c. ult.



6 Appr. mons Sperell. part. 1. rag. 17.



7 L. 3. Stromat.



8 S. Aug. serm. 249. de temp.



9 Cant. 2. 1.



10 Cant. 2. 16.



11 De sacerd. lib. 3. cap. 4.



12 De modo bene vivendi. cap. 22.



1 In. c. A multis, de aetate et qual. ord.



2 L. 1. ep. 42.



3 1. Cor. 7. 32. et. 33.



4 L. de virginit.



5 Epist. 10. ad Herod.



6 Iob. 40. 11.



7 Tract. de honor. mulier.



8 De spirit. an.



1 Petr. Blessens. in ps. 40. v. 1.



2 2. Cor. 4. 7.



3 Sap. 8. 21



4 Eccli. 3. 27.



5 Serm. 350. de temp.



6 Prov. 6. 27. et 28.



7 Eccli. 21. 2.



8 De s. Ios.



9 Ier. 9. 21.



1 L. 6. de sacerd. c. 5.



2 Iob. 31. 1.



3 Eccli. 9. 5.



4 1. Cor. 11. 10.



5 Epist. ad Nepot.



6 In. c. 1. epist. ad Tit.



7 Eccl. 42. 12.



8 Ib. v. 13.



1 Serm. 2. in dom. 29.



2 Dial. l. 4. c. 2.



3 3. Reg. 11. 4.



4 Serm. 26. in Cant.



5 Prov. 5. 8.



6 In ps. 50.



1 Tom 8. in ps. 50.



2 Ier. 46. 12.



1 Apud s. Thom. opusc. de modo confit. a. 2.



2 L. 1. ep. 320.



3 c. 4. serm. 10.



4 Eccl. 23. 29.



5 16. 49.



6 S. Isidor. de contemptu mundi.



7 Epist. 4. ad Rust.



8 L. contra Iovin.



9 1. Cor 9. 27.



1 Cant. 2. 2.



2 Prov. 31. 4.



3 Oseae 4. 11.



4 Luc. 1. 15.



5 1. Tim. 5. 23.



6 De prof. relig, l. 2. c. 52.



7 Ps. 118. 67.



8 Epist. 42. c. 15.



9 De s. virgin. c. 51.



10 De castit. gradu 15.



11 Luc. 18. 1.



12 Matth. 7. 7.



1 3. p. q. 39. art. 5.



2 De bono pudic.



3 Sap. 8. 21.



4 De ieiun.



5 Epist. 22.



6 Medit. c. 22.






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