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S. Alfonso Maria de Liguori
Selva di materie predicabili

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ISTRUZ. V. Circa l'orazione mentale.

 

Se l'orazione mentale è necessaria, moralmente parlando a tutti i fedeli, come scrisse il dottissimo p. Suarez, maggiormente ella è necessaria a' sacerdoti; poiché essi han bisogno di maggiori aiuti divini, per gli obblighi maggiori che hanno di attendere alla perfezione, così per ragione della santità che richiede il loro stato, come anche per l'officio che tengono di procurare la salute delle anime: onde han necessità di doppio alimento spirituale, a guisa delle madri che abbisognano di maggior alimento corporale, dovendo con quello sostentare se stesse e i loro figli. Pertanto dice s. Ambrogio che il nostro Salvatore, il quale per altro non avea bisogno di ritirarsi in luoghi solitarj per far orazione, mentre l'anima sua benedetta, godendo continuamente la visione intuitiva di Dio, in ogni luogo e in ogni occupazione contemplava Dio ed orava per noi; nulladimeno


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per insegnare a noi la necessità dell'orazione mentale, come narra s. Matteo, si licenziava dalla turba e se n'andava sul monte ad orare: Et dimissa turba, ascendit in montem solus orare1. E ci fa sapere s. Luca che egli impiegava le notti intiere nell'orazione: Erat pernoctans in oratione2. Su di che dice s. Ambrogio così: Se Gesù Cristo per la tua salute ha spese le notti orando, quanto più dêi tu orare per salvare te stesso? Quid enim te pro salute tua facere oportet, quando pro te Christus in oratione pernoctat3? Quindi poi scrisse il santo in altro luogo: Sacerdotes semper orationi vacare debent4. Diceva il p.m. Avila che vanno insieme gli officj che ha il sacerdote di offerir sacrificj e di offerire incenso a Dio: Incensum... Domini et panes Dei sui offerunt5. Già si sa che l'incenso dinota l'orazione: Dirigatur oratio mea sicut incensum in conspectu tuo6. Che perciò s. Giovanni vide gli angeli che habebant phialas plenas odoramentorum, quae sunt orationes sanctorum7. Oh che odore danno a Dio le orazioni de buoni sacerdoti! Quindi s. Carlo Borromeo, considerando la necessità che hanno gli ecclesiastici di far l'orazione mentale, fece ordinare nel concilio di Milano8 che specialmente s'interrogasse l'ordinando se sapea far l'orazione e s'egli la faceva e quali meditazioni praticava. Per tanto il p.m. Avila sconsigliava dal prendere il sacerdozio chi non era usato a far molta orazione.

 

Io non voglio stendermi qui a dimostrar le ragioni per cui si rende moralmente necessario l'esercizio dell'orazione mentale ad ogni sacerdote: basta dire che senza orazione il sacerdote ha poca luce; poiché senza orazione poco considererà il gran negozio della salute e poco avvertirà gl'impedimenti che vi mette e gli obblighi che dee adempire per salvarsi. Perciò il Salvatore disse a' discepoli: Sint lumbi vestri praecincti et lucernae ardentes in manibus vestris9. Queste lucerne, dice s. Bonaventura, sono le sante meditazioni, nelle quali il Signore c'illumina: Accedite ad eum et illuminamini10. Chi non fa orazione ha poca luce e poca forza. Nel riposo dell'orazione, dice s. Bernardo, si acquistano le forze per resistere a' nemici e per esercitare le virtù: Ex hoc otio vires proveniunt. Chi non dorme la notte non ha poi forza la mattina neppur di reggersi in piedi, ma va cadendo per via. Vacate et videte quoniam ego sum Deus11. Chi non si allontana, almeno di quando in quando, dai pensieri del mondo e si ritira a trattar con Dio, poco lo conosce e poca luce ha delle cose eterne. Vedendo Gesù Cristo una volta che i suoi discepoli si eran molto occupati in aiuto dei prossimi, disse loro: Venite seorsum in desertum locum et requiescite pusillum12. Ritiratevi ora in qualche luogo solitario e riposatevi un poco. Non parlava già il Signore del riposo del corpo, ma di quello dell'anima; la quale se di quando in quando non si ritira all'orazione a trattare da solo a solo con Dio, non ha forza poi di seguire a bene operare e facilmente vien meno e cade poi nelle occasioni che le si presentano. Oltreché tutta la nostra forza sta nel divino aiuto: Omnia possum in eo qui me confortat13. Ma quest'aiuto


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Iddio non lo concede se non a coloro che pregano. Egli ha tutto il desiderio di dispensarci le sue grazie, ma vuol essere da noi pregato e quasi costretto, come dice s. Gregorio, dalle nostre preghiere a donarcele: Vult Deus rogari, vult cogi, vult quadam importunitate vinci1. Ma chi non fa orazione mentale poco conosce i suoi difetti, poco i pericoli di perder la divina grazia, i mezzi per superar le tentazioni, e poco conoscerà ancora la stessa necessità che ha di pregare, e così lascerà di pregare, e lasciando di pregare certamente si perderà. Quindi dicea la gran maestra dell'orazione s. Teresa di Gesù che chi lascia l'orazione mentale non ha bisogno di demonj che lo portino all'inferno, ma egli ci si mette da se stesso.

 

Alcuni fanno molte orazioni vocali: ma queste da chi non fa orazion mentale difficilmente si fanno con attenzione; si diranno distrattamente; e perciò il Signore poco le esaudirà. Multi clamant, dice s. Agostino, non voce sua sed corporis. Cogitatio tua, clamor est ad Dominum. Clama intus, ubi Deus audit2. Non basta dunque pregar colla sola voce, ma bisogna ancora pregare collo spirito se vogliamo da Dio le grazie, secondo dice l'apostolo: Orantes omni tempore in spiritu3. E ciò si vede coll'esperienza che molti i quali recitano diverse orazioni vocali, dicono l'officio, il rosario, tuttavia cadono in peccati e sieguono a vivere in peccato. Ma chi fa orazione mentale difficilmente cade in peccato: e se mai per disgrazia vi cade, difficilmente seguiterà a vivere in tal miserabile stato; o lascierà l'orazione o lascierà il peccato. Orazione e peccato non possono stare insieme. Siasi un'anima rilassata quanto si voglia, dicea s. Teresa; s'ella persevera nell'orazione, Iddio ben la ridurrà in porto di salute. Tutti i santi si son fatti santi coll'orazione mentale. Ex oratione, scrive s. Lorenzo Giustiniani, fugatur tentatio, abscedit tristitia (dicea s. Ignazio di Loiola che per ogni disastro un quarto d'ora d'orazione sarebbe bastato a quietarlo) excitatur fervor, et divini amoris flamma succrescit4. S. Bernardo scrisse: Consideratio regit affectus, dirigit actus, corrigit excessus5. Il Grisostomo per morta quell'anima che non fa orazione mentale: Quisquis non orat Deum nec divino eius colloquio cupit assidue frui, is mortuus est etc. Animae mors est non provolvi coram Deo6. Ruffino scrisse che tutto il profitto d'un'anima dipende dalla meditazione: Omnis profectus spiritualis ex meditatione procedit7. E il Gersone giunse a dire che chi non medita, senza miracolo non può vivere da cristiano: Absque meditationis exercitio nullus, secluso miraculo Dei, ad christianae religionis normam attingit8. S. Luigi Gonzaga, parlando della perfezione a cui specialmente è obbligato ogni sacerdote, ben diceva che senza un grande studio di orazione non mai un'anima giungerà ad una gran virtù.

(Chi desidera più materia circa la necessità morale dell'orazione mentale, legga l'istruzione dell'orazione per monache, Nella vera sposa di Gesù Cristo.)

 

Tralascio qui dunque di dire molte altre cose che possono addursi circa la necessità dell'orazione mentale, perché voglio solamente stendermi a rispondere a tre scuse che portano i sacerdoti i quali non la fanno. Altri


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dice: Io non fo orazione, perché vi sto desolato, distratto e tentato; tengo una mente vagabonda che non sa fissarsi a meditare, e perciò l'ho lasciata. Ma a costui fa sapere s. Francesco di Sales, che se la persona non facesse altro nell'orazione che scacciare e tornare a scacciare distrazioni e tentazioni, pure l'orazione è ben fatta, purché la distrazione non sia volontaria. Il Signore si compiacerà della buona intenzione e di quel durare con pena, sino che finisce il tempo destinato all'orazione, e le farà molte grazie. All'orazione non dee andarsi per averci gusto, ma per dar gusto a Dio. Anche le anime sante per lo più patiscono aridità nell'orazione, ma perché perseverano, Dio le arricchisce di beni. Dicea s. Francesco di Sales: Pesa più avanti a Dio un'oncia di orazione fatta in mezzo alle desolazioni che cento libbre in mezzo alle consolazioni. Anche le statue fanno onore a' principi, stando nelle loro gallerie. Quando dunque il Signore vuol tenerci da statue alla sua presenza, contentiamoci di onorarlo da statue; basterà allora dirgli: Signore, io sto qui per darvi gusto. Dice s. Isidoro che il demonio in niun altro tempo si affatica a darci più tentazioni e distrazioni che quando faciamo l'orazione: Tunc magis diabolus cogitationes ingerit, quando orantem aspexerit1. E perché? perché vede il gran frutto che si ricava dall'orazione, e pretende che noi la lasciamo. Chi lascia dunque l'orazione per lo tedio che vi sente da gran gusto al demonio. In tempo d'aridità l'anima non dee far altro che umiliarsi e pregare. Umiliarsi: non v'è tempo migliore da conoscer la nostra miseria ed insufficienza che quando stiamo desolati nell'orazione: allora vediamo che non siamo abili a fare niente da per noi; onde allora altro non dobbiamo fare che, unendoci con Gesù desolato sulla croce, umiliarci e dimandar pietà con dire e replicare: Signore, aiutatemi: Signore, abbiate pietà di me: Gesù mio, misericordia. E questa riuscirà l'orazione più fruttuosa di tutte le altre; poiché Dio cogli umili apre la mano alle grazie: Deus superbis resistit, humilibus autem dat gratiam2. Allora più che mai attendiamo a domandar pietà per noi e per i poveri peccatori. Dio richiede specialmente da' sacerdoti che preghino per i peccatori: Plorabunt sacerdotes... et dicent: Parce, Domine, parce populo tuo3. Ma a ciò, dice taluno, basta ch'io dica l'officio divino. Ma scrive s. Agostino che sono più grati a Dio i latrati de' cani che non sono le orazioni de' mali ecclesiastici, quali facilmente sono coloro che non fanno orazione mentale: Plus placet Deo latratus canum quam oratio talium clericorum. Poiché senza orazione mentale difficilmente avranno spirito ecclesiastico.

 

Dice altri: Ma se io non fo orazione mentale, non perdo tempo, perché l'impiego a studiare. Ma l'apostolo scrisse a s. Timoteo: Attende tibi et doctrinae4. Prima tibi, cioè all'orazione, dove il sacerdote attende a se stesso; e poi doctrinae, cioè a studiare per procurare la salute del prossimo. Se noi non siamo santi, come possiam far santi gli altri? Beatus qui te novit, etsi alia nescit, dice s. Agostino. Se sapremo tutte le scienze, e non sapremo amare Gesù Cristo, niente ci servirà per la salute eterna; ma se sapremo amar Gesù Cristo sapremo


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tutto e saremo sempre felici. Beati dunque coloro a cui è data la scienza de santi, ch'è la scienza di amare Dio! Et dedit illi scientiam sanctorum1. Farà più bene anche per gli altri una parola d'un sacerdote che veramente ama Dio che mille prediche di altri dotti che poco l'amano. Ma questa scienza de' santi non si apprende nello studio de' libri, ma nell'orazione, dove il maestro che insegna e il libro che si legge è il crocifisso. Un giorno s. Bonaventura interrogato da s. Tomaso in qual libro avesse imparato tanto, gli mostrò il crocifisso e disse che vi aveva appreso tutto ciò che sapeva. Si apprenderà talvolta più in un momento nell'orazione che in dieci anni di studio negli altri libri: In anima, scrisse lo stesso s. Bonaventura, incomparabiliter per amoris unitivi desideria perfectio amplioris cognitionis relinquitur quam studendo conquiratur2. Nelle scienze umane vi bisogna buona mente; nella scienza de' santi basta aver buona volontà. Chi più ama Dio più lo conosce: Amor notitia est, diceva s. Gregorio. E s. Agostino: Amare videre est. Esortava pertanto Davide: Gustate et videte quam suavis est Dominus3. Chi più gusta di Dio con amarlo, più lo vede e più conosce quanto è grande la sua bontà. Chi assaggia il mele ne intende più che tutti i filosofi che ne meditano e ne spiegano la natura. Scrisse s. Agostino: Si sapientia Deus est, verus philosophus est amator Dei4. Iddio è la stessa sapienza; dunque il vero filosofo (filosofo significa chi ama la sapienza) è chi veramente ama Dio.

 

Per apprendere le scienze del mondo vi bisogna gran tempo e gran fatica; ma per apprendere la scienza de' santi basta volerla e domandarla. Dice il Savio5: Sapientia facile videtur ab his qui diligunt eam, et invenitur ab his qui quaerunt illam... praeoccupat qui se concupiscunt, ut illis se prius ostendat. La divina sapienza facilmente fa trovarsi da chi la cerca e da chi la desidera; ella si fa trovare prima di esser cercata Qui de luce vigilaverit ad illam, non laborabit; assidentem enim illam in foribus inveniet. Chi è diligente in ricercarla non faticherà per ritrovarla, poiché la troverà a seder sulla porta aspettando. In fine conclude Salomone: Venerunt autem mihi omnia bona pariter cum illa. Viene a dire che chi trova la sapienza, cioè l'amore verso Dio, trova ogni bene. Oh quanto imparò più s. Filippo Neri nelle grotte di s. Sebastiano, dove si trattenea le notti intiere a far orazione, che ne' libri che avea letti! Quanto imparò più s. Girolamo nella spelonca di Betlemme che in tutti gli altri studj che aveva fatti! Diceva il p. Suarez che sarebbesi contentato prima di perdere tutta la sua scienza che perdere un'ora d'orazione. Sibi habeant, scrisse s. Paolino, sapientiam suam philosophi, sibi divitias suas divites, sibi regna sua reges; nobis gloria et possessio et regnum Christus est6. Si godano pure i dotti del mondo la loro sapienza, i ricchi le loro ricchezze, i re i loro regni: a noi Gesù Cristo sia la nostra sapienza, la nostra ricchezza, il nostro regno, dicendo con s. Francesco: Deus meus et omnia. Questa vera sapienza dunque principalmente dobbiamo chiedere a Dio, e Dio ben la darà a chi lo prega: Si quis... indiget


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sapientia, postulet a Deo, qui dat omnibus affluenter et non improperat1. Non si nega esser utile, anzi necessario lo studio ai sacerdoti; ma il più necessario è lo studio del crocifisso. Lo stesso s. Paolino, scrivendo ad un certo Giovio, il quale attendeva molto a studiar libri de' filosofi e poco attendeva alla vita spirituale, scusandosi di non aver tempo, il santo disse così: Vacat tibi ut philosophus sis, non vacat ut christianus sis2? Alcuni sacerdoti impiegano tanto tempo a studiar matematica, geometria, astronomia, istorie profane (almeno studiassero ciò che più conviene al loro stato!), e poi si scusano che non han tempo di fare orazione. A costoro bisognerebbe dire: Vacat tibi ut eruditus sis, non vacat ut sacerdos sis? Dicea Seneca che noi abbiamo poco tempo, perché molto ne perdiamo: Nos exiguum tempus habemus, sed multum perdimus3. Ed in altro luogo dice: Necessaria ignoramus, quia superflua addiscimus.

 

Dice altri: Io vorrei fare orazione, ma il confessionario, le prediche mi tengono così occupato che non mi lasciano un momento di tempo. Rispondo: ti lodo, sacerdote mio, che stai applicato alla salute delle anime; ma non posso lodarti che, per aiutare gli altri, abbi da scordarti di te stesso. Bisogna prima attendere a noi con fare orazione, e poi all'aiuto del prossimo. I santi apostoli sono stati certamente i maggiori operai del mondo, ma vedendosi un tempo impediti a fare orazione per causa delle opere in aiuto de' prossimi che troppo li occupavano, allora costituirono i diaconi, che li aiutassero in quelle opere esterne, e così avessero tempo di attendere all'orazione ed alle prediche. Fratres, dissero, viros... constituamus super hoc opus. Nos vero orationi et ministerio verbi instantes erimus4. Ma notisi: prima all'orazione e poi alla predicazione; perché senza l'orazione poco servono le prediche. Questo appunto è quel che scrisse s. Teresa al vescovo di Osma, il quale molto attendeva al bene delle sue pecorelle, ma poco all'orazione; e perciò la santa gli scrisse così: «Nostro Signore mi dimostrò che mancava in V.S. quel che principalmente è necessario (e mancandole il fondamento, si distrugge l'opera); mancale l'orazione e la perseveranza in quella, dal cui mancamento nasce poi l'aridità che l'anima patisce5». Ciò anche è quel che s. Bernardo avvertì ad Eugenio papa, di non lasciar mai l'orazione per causa degli affari esterni, dicendo che chi lasciava l'orazione potea cadere in una tal durezza di cuore che perdesse il rimorso de' suoi difetti, sì che neppure gli abborrisse dopo averli commessi: Timeo tibi, Eugeni, ne multitudo negotiorum, intermissa oratione et consideratione, te ad cor durum perducat, quod seipsum non exhorret, quia non sentit6.

 

Dice s. Lorenzo Giustiniani che le opere di Marta senza il gusto di Maria non possono mai riuscir perfette: Marthae studium, absque Mariae gustu, non potest esse perfectum7. S'inganna, soggiunge il santo, chi pretende senza l'aiuto dell'orazione di ben condurre a fine il negozio della salute delle anime; negozio quanto eccellente, altrettanto pericoloso: costui senza la refezion dell'orazione,


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al meglio mancherà nella via: Fallitur quisquis opus hoc periculosum, absque orationis praesidio, consummare putat; in via deficit, si ab interna maneat refectione ieiunus1. Ordinò il Signore a' discepoli che predicassero ciò che da lui udivano nell'orazione: Quod in aure auditis praedicate super tecta2. Per l'orecchio s'intende qui l'orecchio del cuore, a cui promette Iddio di parlare nella solitudine dell'orazione: Ducam eam in solitudinem et loquar ad cor eius3. Nell'orazione, scrisse s. Paolino, si concepisce lo spirito che poi si ha da comunicare agli altri: In oratione fit conceptio spiritualis4. Perciò si lamentava s. Bernardo che nella chiesa vi eran molti canali (parlando de' sacerdoti) e poche conche; quandoché il sacerdote dee esser prima conca, cioè pieno di santi lumi e di affetti raccolti nell'orazione, e poi canale per diffonderli ai prossimi: Sacerdos, concham te exhibebis, non canalem. Canales hodie in ecclesia multos habemus, conchas vero perpaucas5. Prima dunque di mettersi il sacerdote ad aiutare gli altri, dice s. Lorenzo Giustiniani, dee andare all'orazione: Priusquam proximorum lucris incumbat, orationi intendat. Quindi scrisse s. Bernardo su quel passo de' cantici6: Trahe me post te; curremus in odorem unguentorum tuorum, che il sacerdote il quale ha zelo di salvare anime dee così dire a Dio: Non curram ego solum, current adolescentulae mecum; curremus simul, ego odore unguentorum tuorum, illae meo excitatae exemplo7. Mio Dio, tiratemi a voi; perché da voi tirato, a voi correrò, e correranno meco anche gli altri: io tirato dall'odore de' vostri unguenti, cioè dalle vostre ispirazioni e grazie che riceverò nell'orazione; gli altri indotti dal mio esempio.

 

Acciocché dunque il sacerdote possa tirare molte anime a Dio, bisogna ch'egli prima si faccia da Dio tirare. Così han fatto i santi operaj, un s. Domenico, un s. Filippo Neri, un s. Francesco Saverio, un s. Gio. Francesco Regis: questi impiegavano tutto il giorno in aiuto de' popoli, ma la notte poi la spendevano in orazione, ed in quella duravano sin tanto che il sonno li opprimeva. Porterà più anime a Dio un sacerdote di mediocre dottrina, ma di grande zelo, che molti dotti, ma tepidi. Scrisse s. Girolamo: Sufficit unus homo zelo succensus totum corrigere populum. Farà più profitto una parola d'un operaio infiammato di santa carità che cento prediche fabbricate da un teologo che poco ama Dio. Dicea s. Tommaso da Villanova che per ferire i cuori ed infiammarli ad amare Iddio vi bisognano parole infuocate, che sieno come saette di fuoco d'amor divino; ma come, soggiunge poi il santo, vogliono uscire queste saette di fuoco da un cuore di neve? L'orazione è quella che infiamma i cuori dei santi operaj e da neve li rende fuoco. Specialmente parlando l'apostolo dell'amore che ci ha portato Gesù Cristo, dice: Caritas enim Christi urget nos8. E vuol dire non esser possibile che alcuno mediti i dolori e le ignominie che ha patite per noi il notro Redentore, e non s'infiammi e non cerchi d'infiammar tutti ad amarlo: Haurietis aquas in gaudio, predisse il profeta Isaia, de fontibus Salvatoris, et dicetis in illa die: confitemini


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Domino et invocate nomen eius1. I fonti del Salvatore sono appunto gli esempj della

vita di Gesù Cristo, dalla considerazione dei quali oh che bell'acqua ricavano le anime di lumi e di s. affetti, da cui accese cercano poi d'accendere anche gli altri, esortandoli a confessare insieme ed a lodare ed amare la bontà del nostro Dio.

bene qui soggiungere qualche cosa circa la recitazione dell'officio divino.)

 

Coll'officio divino si onora Dio, si resiste al furore de' nemici e s'impetrano ai peccatori le divine misericordie. Ma per ottener questi fini, bisogna dir l'officio come si dee e come insegnò il concilio lateranense V. nel celebre canone Dolentes, cioè studiose et devote. Studiose, con ben proferir le parole: devote, con attenzione, secondo scrisse Cassiano: Hoc versetur in corde quod profertur in ore2. Dice s. Cipriano: come vuole esaudirti Dio, se tu non senti te stesso: Quomodo te audiri postulas, cum te ipsum non audias3? L'orazione fatta con attenzione è quel fumo odoroso che è molto grato a Dio, e ne riporta tesori di grazie; ma l'orazione fatta con distrazione volontaria è un fumo puzzolente che Dio sdegna, e ne riporta castighi.

 

Perciò il demonio, nel tempo in cui recitiamo l'officio, molto si sforza per farcelo dire con distrazioni e difetti. Ma perciò dobbiam noi mettere tutta la diligenza per dirlo come si dee. Per 1. bisogna ravvivare la fede, che allora noi ci uniamo cogli angeli a lodare Dio. Officium futurae civitatis adipiscimur, dice Tertulliano: allora in questa terra facciam l'officio de' cittadini celesti, che sempre lodano e loderanno Dio in eterno: In saecula saeculorum laudabunt te4. Quindi, come avverte s. Gio. Grisostomo, prima di entrar nella chiesa, o di prendere in mano il breviario bisogna lasciare avanti la porta e licenziare tutti i pensieri di mondo: Ne quis ingrediatur templum curis onustus mundanis; haec ante ostium deponamus5. Per 2. bisogna che nel recitare l'officio accompagniamo cogli affetti i sentimenti che leggiamo. Bisogna, dice s. Agostino, si psalmus orat, orare; si gemit, gemere; si sperat, sperare. Per 3. giova il ravvivare l'attenzione di quando in quando, v. gr. nel principio d'ogni salmo. Per 4. bisogna che stiamo attenti a non dare occasione alla mente di distrarsi. Chi si mettesse a dir l'officio in mezzo ad una via di passaggio o in una conversazione dove si burla e si grida, che officio attento e divoto può dire? Oh quanto guadagnano quei che dicono ogni giorno l'officio con divozione! Dice s. Gio. Grisostomo, ch'eglino implentur Spiritu sancto. All'incontro quei che lo dicono con negligenza, molto ci perdono di meriti e molto conto poi ne hanno da rendere a Dio.

 




1 14. 23.



2 6. 12.



3 L. 5. in Luc.



4 In 1. ad Tim. 3.



5 Lev. 21. 6.



6 Ps. 140. 2.



7 Apoc. 5. 8.



8 Part. 3. de exam. ordinand.



9 Lucae 12. 35.



10 Ps. 33. 6.



11 45. 11.



12 Marci. 6. 31.



13 Phil. 4. 13.



1 In ps. poen. 6.



2 In ps. 30.



3 Ephes. 6. 18.



4 De casto connub. c. 22. n. 3.



5 De consid. l. 1. c. 7.



6 L. 1. de orando Deo.



7 In ps. 36.



8 De medit. consid. 7.



1 L. 3. sent c. 3.



2 Iac. 4. 6.



3 Ioel 2. 17.



4 1. Timot. 4. 16.



1 Sap. 10. 10.



2 De Themyst. c. 3. p. 2.



3 Ps. 23. 9.



4 L. 8. de civit. c. 1.



5 Sap. c. 6.



6 Epist. 27.



1 Iac. 1. 5.



2 Epist. 36.



3 De brevit. vitae. c. 1



4 Actor. 6. 3. et 4.



5 Lettera 8.



6 L. 1. de consid. ad Eugen.



7 De instit. praelat. cap. 11. n. ult.



1 Loc. cit.



2 Matth. 10. 27.



3 Os. 2. 14.



4 Ep. 4. ad Sever.



5 Serm. 18. in Cant.



6 1. 3.



7 Serm. 2. in Cant.



8 2. Cor. 5. 14



1 Isa. 12. 3. et 4.



2 Coll. 23. c. 7.



3 Serm. de or. domin.



4 Ps. 83. 5.



5 Hom. 2. in c. 5. Isaiae.






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