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S. Alfonso Maria de Liguori
Sentimenti di Monsignore

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Introduzione

La pubblicazione di questi appunti manoscritti (1961), raccolti dal Tannoia e conservati nell’Archivio Generale dei Redentoristi, si inserisce nella controversia circa la pratica delle virtù del mese, come segno particolare dei redentoristi. L’elenco dei mesi e delle virtù era il seguente: Gennaio-fede; febbraio-speranza; marzo-carità verso Dio; aprile-carità verso il prossimo; maggio-povertà; giugno- purità di corpo e di mente; luglio-ubbidienza; agosto-mansuetudine ed umiltà; settembre-mortificazione; ottobre-silenzio e raccoglimento; novembre-orazione; dicembre-abnegazione e amore alla croce.

Il p. Oreste Gregorio in Spicilegium Historicum 9 (1961), pp. 439-475 così inquadra la tradizione redentorista su questo tema e offre spunti per la soluzione della controversia.

<<Attribuisco non senza motivo un valore singolare al n. 25 (del plico XXVII = Sentimenti di Monsignore), in cui si rispecchia la prassi della virtù del mese. Né sfugga che materia affine si trova sparsa altrove nel medesimo volume. E’ una esplicitazione di quanto Tannoia afferma nella sua biografia di S. Alfonso: " Se fuori di casa voleva Alfonso i suoi Missionarj altrettanti Apostoli, in casa li voleva tanti romiti. "Fuori, diceva egli, dovete uscire per santificare gli altri: in casa dovete trattenervi per santificare voi medesimi". Prefisse per tutti, come fine essenziale, l'imitazione di Gesù-Cristo capo di Missonarj, e volle che ognuno sforzato si fosse per imitarne gli esempj. Ogni mese propose per tutti una delle virtù, che più fu a cuore al Salvatore, per mettersi in pratica; e che due volte il giorno ognuno esaminar dovea se stesso sopra l'esercizio di quella virtù, cioè la mattina prima di pranzo, e la sera prima di andarsi a letto" (p. 334)

Com’era sancito nelle Regole, nel pomeriggio di ciascun sabato il superiore teneva il capitolo delle colpe, rivolgendo alla comunità un’allocuzione relativa all’essenza, ai vantaggi e all’esercizio della virtù prescritta.

Per sé il capitolo toccava di diritto al superiore del collegio; a Pagani, benché fosse presente un superiore locale, il Rettore Maggiore, forse non abitualmente, lo presiedeva lui. La curia, con la comunità formava una sola famiglia: i consultori generali, non avendo particolari privilegi ed esenzioni, vi prendevano parte come gli altri membri.

Ai capitoli, oltre i padri, partecipavano i fratelli coadiutori e, se vi risiedevano, anche i chierici studenti, come si deduce da evidenti allusioni.

Il santo fondatore istruendo adoperava uno stile familiare, modesto; bramava di esser capito particolarmente dai fratelli e sin dai postulanti, in genere analfabeti. Si sforzava di abbassare il proprio dire alle intelligenze meno dotate, perché ne ricavassero profitto. Scansava le impennature ascetiche, le questioni sottili e i termini tecnici per non mettere in imbarazzo chi non aveva aperto neppure il sillabario. Senza fare dell’infantilismo che urta i saputi, esemplificava bonariamente, moralizzando allo specchio del codice delle Costituzioni, esigendone l’osservanza. Qua e là spunta qualche frase che suona rigida al nostro udito: si spiega nel clima di eroismo che in quegli inizi divampava nella cerchia di S. Alfonso.

Conseguentemente deve considerarsi erronea l’opinione di chi sostiene l’abbandono del commentario delle dodici virtù dopo il 1749 nella provincia madre.

Come è stato assodato, e come può assodarsi con ulteriori documenti, la spiegazione capitolare mensile, e lo stesso deve dirsi per l’esposizione periodica del caso ascetico, non è stata mai interrotta, da S. Alfonso (1749) ai nostri giorni. Non ci è stata alcuna ripresa dopo il 1855 per una specie di scambio tra nord e sud. All’esame di prove storiche ineccepibili si tratta di semplice continuazione in armonia della lettera delle Costituzioni religiose e dello spirito del fondatore.

Né l’esercizio santificante (delle dodici virtù), per quanto analitico, ha perduto dopo un paio di secoli il suo mordente ascetico; come ieri, la sua attualità cristologica prosegue a rivelarsi feconda di applicazioni soprannaturali nel cresciuto lavoro odierno, formando sotto tutti i cieli il vero missionario redentorista, avido di conquistare le anime più abbandonate.

Quanti accusano tale metodo siccome antiquato, anzi artificioso, lasciano supporre che non ne hanno compreso l’essenza ed intima connessione, né assaporato i vantaggi saluberrimi, consacrati da una interpretazione bicentenaria. E probabilmente si dichiarano immaturi in psicologia se pretendono di scovarvi una regola coercitiva!

S. Alfonso, come consta da note autografe, ritornò più volte sul prologo della Regola per una formulazione esauriente e limpida; non badò allo slancio della ispirazione mistica che in quei prodromi affiorò in alcuni membri dell’Istituto, ma alle generazioni future, per tracciare un fine specifico non semplicemente intenzionale, ma pratico e consono agli operai della redenzione, senza distinzione di luogo e di tempo.

I Sentimenti di S. Alfonso provano quanto egli abbia contribuito alla imitazione di Cristo nell’animo dei giovani redentoristi, quando, vecchio, incitava con le conferenze sabatine ad esercitare le dodici virtù.>>

(Cf Oreste Gregorio in Spicilegium Historicum 9 (1961), pp. 444-475)

 




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