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S. Alfonso Maria de Liguori Apparecchio alla Morte IntraText CT - Lettura del testo |
PUNTO III
«Tempus breve est... qui utuntur hoc mundo, tanquam non utantur, praeterit enim figura huius mundi» (1. Cor. 7. 31).1 Che altro è la nostra vita su questo mondo, se non una scena che passa e presto finisce? «Praeterit figura huius mundi»; figura cioè scena, commedia. «Mundus est instar scenae (dice Cornelio a Lapide),2 generatio praeterit, generatio advenit. Qui regem agit, non auferet secum purpuram. Dic mihi, o villa, o domus, quot dominos habuisti?» Quando finisce la commedia, chi ha fatta la parte del re, non è più re; il padrone, non è più padrone. Ora possiedi quella villa, quel palagio; ma verrà la morte, e ne saran padroni gli altri.
«Malitia horae oblivionem facit luxuriae magnae» (Eccli. 11. 29). L'ora funesta della morte fa scordare e finire tutte le grandezze, le nobiltà ed i fasti del mondo. Casimiro re di Polonia3 un giorno, mentre
stava a mensa co' grandi del suo regno, accostando la bocca ad una tazza per bere, morì, e finì per lui la scena. Celso imperadore,4 in capo a sette giorni ch'era stato eletto, fu ucciso, e finì la scena per Celso. Ladislao re di Boemia,5 giovine di 18 anni, mentre aspettava la sposa, figlia del re di Francia, e si apparecchiavano gran feste, ecco in una mattina preso da un dolore se ne muore; onde si spediscono subito i corrieri ad avvisare la sposa, che se ne torni in Francia, poiché per Ladislao era finita la scena. Questo pensiero6 della vanità del mondo fe' santo S. Francesco Borgia,7 il quale come di sopra si considerò a vista dell'imperadrice Isabella, morta in mezzo alle grandezze e nel fiore di sua gioventù, risolse di darsi tutto a Dio, dicendo: «Così dunque finiscono le grandezze e le corone di questo mondo? Voglio dunque da ogg'innanzi servire ad un padrone, che non mi possa morire».
Procuriamo di vivere in modo, che non ci sia detto in morte, come fu detto a quel pazzo del Vangelo: «Stulte, hac nocte animam tuam repetent a te, et quae parasti cuius erunt?» (Luc. 12. 20).8 Onde conclude S. Luca: «Sic est qui sibi thesaurizat, et non est in Deum dives». E poi dice: Procurate di farvi ricchi, non già nel mondo di robe, ma in Dio9 di virtù e di meriti, che son beni che saranno eterni con voi in cielo: «Thesaurizate vobis thesauros in coelo, ubi neque aerugo neque tinea demolitur».10 E perciò attendiamo ad acquistarci il gran tesoro del divino amore. «Quid habet dives, si caritatem non habet? Pauper si caritatem habet, quid non habet?» dice S. Agostino.11 Se uno
ha tutte le ricchezze e non ha Dio, egli è il più povero del mondo. Ma il povero che ha Dio, ha tutto. E chi ha Dio? chi l'ama: «Qui manet in caritate, in Deo manet, et Deus in eo» (1. Io. 4. 16).
Ah mio Dio, non voglio che più il demonio abbia ad aver dominio nell'anima12 mia; Voi solo voglio che ne siate il padrone, e la dominiate. Io voglio lasciar tutto per acquistare la grazia vostra. Stimo più questa, che mille corone e mille regni. E chi ho d'amare, se non voi amabile infinito, bene infinito, bellezza, bontà, amore infinito? Per lo passato io vi ho lasciato per le creature; questo mi è, e mi sarà sempre un dolore che mi trafiggerà il cuore d'avere offeso Voi, che mi avete tanto amato. Ma dopo che mi avete ligato13 mio Dio, con tante grazie, no che non mi fido14 più di vedermi privo del vostro amore. Prendetevi, amor mio, tutta la mia volontà e tutte le mie cose; fatene15 di me quello che vi piace. Se per lo passato mi sono disturbato nelle cose contrarie, ve ne domando perdono. Non voglio lamentarmi più, Signor mio, delle vostre disposizioni; so che tutte son sante, e tutte per mio bene. Fate, mio Dio, quel che volete, vi prometto di chiamarmene sempre contento, e sempre ringraziarvene. Fate ch'io v'ami, e niente più vi domando. Che beni! che onori! che mondo? Dio, Dio, voglio solo Dio.
Beata voi, o Maria, che nel mondo non amaste altro che Dio! Impetratemi ch'io v'accompagni almeno in questa vita che mi resta: in Voi confido.