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S. Alfonso Maria de Liguori
Sermoni compendiati

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SERMONE XIII. - PER LA DOMENICA DI SESSAGESIMA

 

Vita infelice del peccatore e vita felice di chi ama Dio.

Quod autem in spinas cecidit, hi sunt qui audierunt, et a sollicitudinibus et divitiis et voluptatibus vitae, euntes suffocantur, et non referunt fructum (Luc. 8.).

 

Nella parabola dell'odierno vangelo si dice che essendo uscito il colono a seminare il campo, parte della semenza cadde fra le spine. Quindi dichiarò il Salvatore che la semenza significava la divina parola, e le spine significavano gli attacchi che hanno gli uomini alle ricchezze e ai piaceri terreni, che sono le spine che fanno perdere il frutto della parola di Dio, non solo nella vita futura, ma anche nella vita presente. Oh miseria de' poveri peccatori? Essi colle loro colpe non solo si condannano a penare eternamente nell'altra vita, ma anche in questo mondo fanno una vita infelice. E ciò voglio dimostrarvi in questo discorso:

 

Punto I. La vita infelice che fanno i peccatori;

 

Punto II. La vita felice che fanno quei che amano Dio. Parliamo del primo.

 

PUNTO I. Vita infelice che fanno i peccatori.

 

Inganna il demonio gli uomini con far loro apprendere che soddisfacendo i loro appetiti sensuali faranno una vita contenta, e troveranno pace; ma no che non vi è pace per coloro che offendono Dio: Non est pax impiis, dicit Dominus1. Dice Dio che tutti i suoi nemici han fatta una vita infelice, e non han neppure conosciuta la via della pace: Contritio et infelicitas in viis eorum, et viam pacis non cognoverunt2.

 

Le bestie che sono create per questa terra, queste trovano pace ne' gusti sensuali. Date ad un cane un osso di carne, eccolo appieno contento: date ad un giumento un fascio d'erba, quello ha trovata la sua pace e niente più desidera. Ma l'uomo che è creato per Dio, per amare e stare unito con Dio, solo da Dio può esser contentato, non già dal mondo, ancorché il mondo lo facesse ricco di tutti i suoi beni. A che si riducono tutt'i beni mondani? A diletti di senso, a ricchezze e ad onori, come scrive s. Giovanni: Omne quod est in mundo, concupiscentia carnis est, cioè diletti sensuali, et concupiscentia oculorum, ricchezze, et superbia vitae, cioè onori terreni3. Dice s. Bernardo che l'uomo può esser ripieno di tutti questi beni, ma non mai con essi può restar sazio e contento: Inflari potest, satiari non potest. E come mai può saziare un uomo la terra, il vento e lo sterco! Scrivendo poi il santo su quelle parole di s. Pietro: Ecce nos reliquimus omnia, dice di aver veduti nel mondo diversi pazzi, i quali patendo tutti una gran fame, altri si riempivano di terra, figura degli avari: altri di vento, figura degli ambiziosi di onori e lodi: altri d'intorno ad una fornace imboccavano le faville che da quella uscivano, figura degl'iracondi e vendicativi: altri finalmente beveano le acque fracide di un lago puzzolente, figura degl'impudici. Quindi il santo dice loro: oh sciocchi! E non vi accorgete che queste cose di cui vi riempite, non vi tolgono la fame, ma più ve l'accrescono?


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Haec potius famem provocant, quam extinguunt. Buono esempio di ciò fu Alessandro Magno, che dopo di avere acquistato mezzo mondo colle sue vittorie, piangeva, perché non si vedeva ancora padrone di tutta la terra.

 

Molti sperano di trovar pace nell'accumular ricchezze, ma come mai la terra può saziare? Maior pecunia, dice s. Agostino, avaritiae fauces non claudit, sed extendit. La quantità de' danari non chiude le fauci dell'avarizia, ma le dilata, viene a dire che l'ingordigia non sazia la fame, ma l'incita: Humiliata es usque ad inferos; in multitudine viae tuae laborasti, nec dixisti, quiescam1. Poveri mondani! Faticano, stentano per acquistare più danari, più robe, ma non trovano mai riposo, quanto più ne accumulano, più restano inquieti ed afflitti: Divites eguerunt et esurierunt; inquirentes autem Dominum non minuentur omni bono2. I ricchi di questa terra sono i più miserabili di tutti, poiché quanto più hanno più desiderano; e perché non arrivano ad aver quanto desiderano, essi sono assai più poveri degli uomini dabbene che cercano solo Dio: questi sono i veri ricchi, perché vivono contenti del loro stato, e trovano in Dio ogni bene: Inquirentes Dominum non minuentur omni bono. A' santi, perché hanno Dio, niente loro manca; ai ricchi del mondo, che son privi di Dio, manca tutto, perché manca la pace. Giustamente dunque fu chiamato pazzo quel ricco nel vangelo di s. Luca3, il quale avendo una buona raccolta de' suoi campi, diceva: Anima, habes multa bona posita in annos plurimos, requiesce, comede, bibe, epulare. Ma costui fu chiamato pazzo, stulte etc., e perché? Perché credea con quelle robe, mangiando e bevendo, di star contento e trovar pace. Dicea: Requiesce, comede, bibe; quindi lo riprende s. Basilio di Seleucia: Numquid animam porcinam habes? E che forse hai l'anima di qualche porco, che pretendi col mangiare e col bere di contentarla?

 

Quelli poi che ambiscono onori terreni, se gli ottengono, restano forse contenti? Ma se tutti gli onori del mondo non sono che fumo e vento Ephraim pascit ventum4; come mai il fumo e il vento possono saziare? Dice Davide: Superbia eorum ascendit semper5. Gli ambiziosi con ottenere quegli onori non restano appagati, ma cresce in essi l'ambizione e la superbia; e così crescono ancora le inquietudini, le invidie ed i timori.

 

Coloro poi che vivono infangati nel vizio disonesto, di che altro si pascono se non di sterco? come parla Geremia: Qui vescebantur voluptuose, amplexati sunt stercora6. Come lo sterco può saziare e dar pace all'anima? Ahi che pace, che pace possono godere i peccatori, stando lontani da Dio! Avranno i miseri quei beni, quegli onori e quei diletti, ma non avranno mai pace. No che non può mancare la parola di Dio, il quale dice che non vi è pace per i nemici suoi: Non est pax impiis7. Poveri peccatori! dice il Grisostomo, essi portano sempre seco il carnefice, cioè la mala coscienza che li tormenta: Peccator conscientiam quasi carnificem circumgestat8. E s. Isidoro scrisse non esservi pena più crudele della mala coscienza; onde poi soggiunse


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che non mai è mesto chi vive bene: Nulla poena gravior poena conscientiae: vis nunquam esse tristis? bene vive1.

 

Lo Spirito santo descrive lo stato deplorabile di questi infelici, e dice che essi sono come un mare in tempesta che non ha requie: Impii quasi mare fervens, quod quiescere non potest2. Un'onda va ed un'onda viene, ma tutte sono onde di amarezze e di rancori; poiché ogni cosa contraria li disturba e li mette in tempesta. Se taluno si trovasse in un festino di balli e di musica, ma stesse ivi rivolto colla testa in giù e coi piedi sospesi da una fune, potrebbe questi star contento in quel festino? Tal è chi sta in disgrazia di Dio: egli sta coll'anima sotto sopra, rivolta al rovescio; in vece di stare unito con Dio e staccato dalle creature, sta unito colle creature e staccato da Dio. Ma le creature, dice s. Vincenzo Ferreri, vanno di fuori, e non entrano a contentare il nostro cuore, che solo da Dio può esser contentato: Non intrant illuc ubi est sitis. Avviene al peccatore, come ad un uno che arde di sete e sta in mezzo ad una fontana: ma perché le acque lo bagnano dintorno, non entrano dentro a soddisfare la sua sete, resta in mezzo a quelle acque più sitibondo di prima.

 

Il re Davide spiegando la vita infelice che faceva quando stava in peccato, scrisse: Fuerunt mihi lacrymae meae panes die ac nocte: dum dicitur mihi quotidie: Ubi est Deus tuus3? Andava egli per sollevarsi alle ville, ai giardini, alle musiche ed altre delizie regali; ma quelle creature gli diceano: Davide, tu da noi vuoi esser sollevato? La sbagli: Ubi est Deus tuus? Va e trova il tuo Dio che hai perduto, mentr'egli solo può restituirti la pace. E perciò confessava Davide che in mezzo alle ricchezze di re non trovava riposo, e piangeva notte e giorno. Udiamo ora il suo figlio Salomone, che confessa di non aver negato a' suoi sensi, quanto quelli aveano desiderato: Et omnia quae desideraverunt oculi mei, non negavi eis4. Ma con tutto ciò esclamava: Vanitas vanitatum... et ecce universa vanitas et afflictio spiritus5. Notate, non solo dice che tutte le cose di questa terra sono vanità, ma sono di più afflizione dello spirito. E ciò ben si prova coll'esperienza, mentre il peccato porta con sé il timore della divina vendetta. Se taluno tiene un nemico potente, costui non mai dorme quieto; e chi ha per nemico Dio, può stare in pace? Pavor his qui operantur malum6. Chi commette un peccato mortale, subito si sente assalito da un grande spavento, ogni fronda che si muove l'atterrisce: Sonitus terroris semper in aure eius7. Par che cerchi sempre di fuggire, benché niuno lo perseguiti: Fugit impius, nemine persequente8. Non lo perseguiteranno gli uomini, ma lo perseguita il medesimo suo peccato. Così avvenne a Caino, il quale dopo aver ucciso il suo fratello Abele, diceva intimorito: Omnis igitur qui invenerit me, occidet me9. E quantunque il Signore l'assicurasse che niuno l'avrebbe offeso, Dixitque ei Dominus: Nequaquam ita fiet10: con tutto ciò Caino perseguitato dal suo peccato, come attesta la scrittura, andò sempre fuggiasco sopra la terra da un luogo ad


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un altro: Habitavit profugus in terra1.

 

Inoltre il peccato porta seco il rimorso della coscienza, che è quel verme crudele che sempre rode e non muore: Vermis eorum non moritur2. Va il peccatore al festino, alla commedia, al banchetto; ma in quello stesso tempo la coscienza lo rimprovera e gli dice: povero te, hai perduto Dio; se ora muori dove vai? Il rimorso della coscienza anche nella vita presente è un tormento così grande, che alcuni per liberarsene si han data la morte; come fece Giuda, che per disperazione si appiccò ad un albero. Parimente un certo uomo uccise un fanciullo; dopo ciò ne sentiva tal rimorso che non potea riposare: per liberarsene andò a chiudersi in un monastero, ma neppure ivi trovando pace, andò egli stesso a trovare il giudice, confessò il suo delitto e si fece condannare a morte.

 

Di questa ingiustizia si lamenta Dio che gli fanno i peccatori, lasciando esso, che è il fonte di tutte le consolazioni, per gettarsi in certe cisterne puzzolenti e rotte, che non possono somministrare alcuna stilla di pace: Duo enim mala fecit populus meus, me derelinquerunt fontem aquae vivae, et foderunt sibi cisternas, cisternas dissipatas quae continere non valent aquas3. Dice Dio: non hai voluto servire in pace a me, che sono il tuo Dio? Misero servirai al tuo nemico, patendo fame, sete, nudità e penuria di ogni cosa: Eo quod non servieris Deo tuo in gaudio, servies inimico tuo in fame et siti et nuditate et omni penuria4. E ciò lo sperimentano già i peccatori: quel vendicativo che non patisce, dopo che si è vendicato colla morte del nemico? Va ramingo fuggendo da' parenti dell'ucciso, da' ministri della giustizia, povero, afflitto e abbandonato da tutti. Che non patisce quel disonesto per giungere al suo pravo desiderio? Che non patisce quell'avaro per acquistare le robe d'altri? Ah che se patissero per Dio ciò che patiscono per il peccato, si farebbero grandi meriti per il paradiso, e menerebbero una vita contenta; ma stando in peccato, fanno una vita infelice in questo mondo per fare poi una vita più infelice eternamente nell'altro. E questo è il pianto de' dannati all'inferno: dicono in quella carcere di tormenti: Lassati sumus in via iniquitatis et perditionis, et ambulavimus vias difficiles5. Miseri noi, esclamano, ambulavimus vias difficiles, abbiamo camminata, vivendo in terra, una vita seminata di spine: Lassati sumus in via iniquitatis, abbiamo stentato, abbiamo sudato sangue, facendo una vita infelice piena di fiele e di veleno, e perché? Per venire poi a fare eternamente una vita più infelice in questa fossa di fuoco!

 

PUNTO II. Vita felice che fanno quei che amano Dio.

 

Iustitia et pax osculatae sunt6. In ogni anima, in cui risiede la giustizia, risiede la pace ancora; onde poi dice Davide: Delectare in Domino, et dabit tibi petitiones cordis tui7. Per ben intendere questo testo bisogna riflettere che l'uomo mondano pretende di soddisfare gli appetiti del suo cuore co' beni del mondo; ma perché questi beni non possono contentarlo, perciò il suo cuore fa sempre nuove dimande, e per quanto ottenga


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di tali beni, non resta mai contento. Quindi l'esorta il profeta: Delectare in Domino, et dabit tibi petitiones cordis tui. Lascia le creature, cerca il tuo diletto in Dio, e Dio contenterà appieno tutte le dimande del tuo cuore.

 

Ciò appunto avvenne a s. Agostino, che mentre si dilettava nelle creature, non trovava mai pace; ma quando poi si staccò da quelle, e pose tutto il suo amore in Dio, allora disse: Dura sunt omnia, et tu solus requies. Volendo dire: ah Signore, ora conosco la mia pazzia: io volea trovar la mia felicità ne' piaceri terreni, ma ora conosco che essi non sono che vanità e pene, e che voi solo siete la pace e il gaudio de' nostri cuori.

 

Dice l'apostolo che la pace che fa godere il Signore a coloro che l'amano supera tutti i diletti sensuali che possono aversi in questa terra: Pax Dei quae exsuperat omnem sensum1. Dimandatelo ad un s. Francesco d'Assisi, che dicendo, Deus meus et omnia, provava qui in terra un paradiso anticipato. Dimandatelo ad un s. Francesco Saverio, che stando nelle Indie a faticare per Gesù Cristo, era dal Signore così ripieno di divine dolcezze, che giungeva a dire: Sat est, Domine, sat. Basta, Signore, basta. Dove mai, dimando, si è trovato alcuno tra' mondani, che essendo ricco de' beni del mondo abbia detto: basta, o mondo, basta, non più ricchezze, non più onori, non più applausi, non più piaceri? Ma no, costoro van sempre cercando più onori più ricchezze, più diletti, ma quanto più ne hanno, tanto più ne restano famelici ed inquieti.

 

Bisogna in somma ricredersi di questa verità che solo Dio contenta. I mondani non vogliono persuadersene per timore, se si danno a Dio, di fare una vita troppo amara e scontenta: ma io dico loro col profeta: Gustate ed videte, quoniam suavis est Dominus2. Miseri, perché volete disprezzare e chiamare infelice quella vita che ancora non avete provata? Gustate, et videte, cominciate a provarla, sentite la messa ogni giorno, fate la meditazione, la visita al ss. Sacramento, fate la comunione almeno ogni settimana, fuggite le male conversazioni, fatevela sempre con Dio, e vedrete che Dio con tal vita vi farà godere quelle dolcezze e quella pace che sinora non ha saputo darvi il mondo con tutti i diletti che vi ha dati.

 




1 Isa. 48. 22.

2 Psal. 13. 3.

3 1. Ioan. 2. 16.

1 Isa. 57. 9. et 10

2 Psal. 33. 1.

3 12. 19.

4 Os. 12. 2.

5 Psal. 75. 23.

6 Thren. 4. 3.

7 Isa. 48. 22.

8 Serm. 10. de  ..

1 L. 2. Solit.

2 Isa. 57. 20.

3 Psal. 41. 4.

4 Eccles. 2. 10.

5 Eccles. 1. 2. et 14.

6 Prov. 10. 29.

7 Iob. 25. 21.

8 Prov. 18. 1.

9 Gen. 4. 14.

10 Ibid. vers. 15.

1 Vers. 16.

2 Isa. 66. 24.

3 Ier. 2. 13.

4 Deuter. 28. 48.

5 Sap. 5. 7.

6 Psal. 31. 27.

7 Psal. 36. 4.

1 Philip. 4. 7.

2 Psalm. 33. 9.




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