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S. Alfonso Maria de Liguori Sermoni compendiati IntraText CT - Lettura del testo |
SERMONE XXXIV. - PER LA DOMENICA V. DOPO PENTECOSTE
Omnis qui irascitur fratri suo, reus erit iudicio. (Matth. 5. 22.)
L'ira è simile al fuoco, onde siccome il fuoco è veemente nell'operare, e quando ha preso piede impedisce anche la vista col fumo che manda; così l'iracondia fa prorompere l'uomo in mille eccessi, e non gli lascia vedere quello che fa; e con ciò lo rende reo del giudizio della morte eterna: Omnis qui irascitur fratri suo reus erit iudicio. È così perniciosa all'uomo l'iracondia, che lo difforma anche nell'aspetto esterno; siasi una persona di fattezze belle e graziose quanto si voglia, quando sta adirata sembra un mostro, una fiera che spaventa: Iracundus, dice s. Basilio, humanam quasi figuram amittit, ferae speciem indutus1. Or se l'ira ci difforma davanti gli uomini, quanto più ci renderà deformi agli occhi di Dio? Pertanto nel presente discorso voglio dimostrarvi
Nel punto I. La ruina che apporta all'anima l'ira non raffrenata;
Nel punto II. Come dobbiamo raffrenare l'ira nelle occasioni che occorrono.
PUNTO I. La ruina che apporta all'anima l'ira non raffrenata.
Dice s. Girolamo che l'ira è la porta per cui entrano nell'anima tutti i vizj: Omnium vitiorum ianua est iracundia2. L'ira fa precipitare l'uomo nelle vendette, nelle bestemmie, nelle ingiustizie, nelle mormorazioni, negli scandali ed altre iniquità, poiché la passione dell'ira oscura la ragione, e fa operare l'uomo da bestia e da pazzo: Caligavit ab indignatione oculus meus3. L'occhio mio, dicea Giobbe, colla collera ha perduta la vista. Lo stesso disse Davide: Conturbatus est in ira oculus meus4. Onde scrisse poi s. Bonaventura che l'uomo adirato opera alla cieca, e non vede più quello che è giusto e quel che è ingiusto: Iratus non potest videre quod iustum est vel iniustum. In somma, dice s. Girolamo che l'iracondia fa perdere all'uomo la prudenza, la ragione ed il senno: Ab omni consilio deturpat, ut donec irascitur insanire credatur. Quindi scrisse s. Giacomo: Ira enim viri iustitiam Dei non operatur5. Le opere di un uomo che è preso dall'ira non possono conformarsi colla divina giustizia, e per conseguenza essere esenti da colpa.
L'uomo quando è preso dall'ira e non cerca di raffrenarla facilmente cade nell'odio contro chi è stato causa di farlo adirare. L'odio, dice s. Agostino, non è altro che un'ira la quale persevera: Odium est ira diuturno tempore perseverans. Onde scrisse poi s. Tommaso: Ira subita est, odium vero diuturnum6. In colui dunque nel quale persevera l'ira è segno che vi regna anche l'odio. Ma dirai: io son capo di casa, bisogna che corregga i figli, i servi, ed alzi la voce, quando bisogna, contro i disordini che vedo. Rispondo: altro è adirarsi contro il fratello, altro contro
il peccato del fratello. L'adirarsi contro il peccato, questa propriamente non è ira, ma zelo; onde non solamente è lecito, ma alle volte anche è necessario, purché si faccia colla dovuta prudenza, in modo che facciamo vedere che ci adiriamo contro il peccato, ma non contro il peccatore; perché se la persona da noi corretta apprende che noi parliamo per passione e per odio che abbiamo verso di lei, allora la correzione non farà alcun frutto, anzi farà più danno. Allora dunque è adirarsi contro il peccato del fratello; e ciò è ben lecito, secondo parla s. Agostino: Non fratri irascitur qui peccato fratris irascitur. Ciò propriamente è l'adirarsi senza colpa, come disse Davide: Irascimini et nolite peccare1. Altro è poi l'adirarsi contro il fratello per il peccato da lui commesso; ciò non è mai lecito; perché non possiamo noi, dice lo stesso s. Agostino, odiare gli altri per i loro vizj: Nec propter vitia (licet) homines odisse2.
L'odio poi facilmente tira seco il desiderio della vendetta, per il che scrisse s. Tommaso che l'iracondia, s'intende quando è pienamente volontaria, va congiunta col desiderio della vendetta: Ira est appetitus vindictae. Dice colui: ma se mi vendico col tale, Dio mi compatisce, perché ne ho troppa ragione. Rispondo: chi lo dice che ne hai troppa ragione? Lo dici tu che stai offuscato dall'ira. Ma già ti dissi di sopra che l'ira oscura la mente e fa perdere la ragione ed il senno. Mentre stai nella collera quell'azione del tuo prossimo ti parrà un'ingiuria troppo grande ed insopportabile; ma quando poi ti passerà la collera, vedrai che quella non era sì grave, come l'avevi appresa. Ma siasi l'ingiuria grave, gravissima, perché vuoi dire che Dio ti compatisce, se ti vendichi? No, dice Dio, la vendetta de' peccati non tocca a te, ma tocca a me; e quando verrà il tempo, ben saprò io castigare i delitti come meritano: Mea est ultio, et ego retribuam in tempore3. Vuoi vendicarti dell'ingiuria che ti ha fatta il prossimo? E Dio giustamente vorrà anche vendicarsi di tante ingiurie che hai fatte a lui, e specialmente di questa, mentre il Signore ti comanda che tu perdoni: Qui vindicari vult, a Domino inveniet vindictam4. Gran cosa, dice l'Ecclesiastico: Homo homini reservat iram, et a Deo quaerit medelam... Ipse, cum caro sit reservat iram, et propitiationem petit a Deo? Quis exorabit pro delictis illius5? Un uomo, un verme di carne conserva l'ira per vendicarsi contro d'un suo fratello; e poi ha l'ardire di chiedere misericordia da Dio? E chi mai, soggiunse il sacro scrittore, potrà pregare per i peccati di questo temerario? Qua fronte, scrive s. Agostino, indulgentiam peccatorum obtinere poterit qui praecipienti dare veniam non acquiescit? Con qual faccia potrà mai pretendere di ottenere da Dio il perdono de' suoi peccati, chi non vuole ubbidirlo in perdonare il suo prossimo?
Preghiamo il Signore che ci liberi dall'esser presi da qualche forte passione, e specialmente dall'ira: Animo irreverenti et infrunito ne tradas me6. Perché allora sarà difficile il non cadere in qualche colpa grave o contro del prossimo o contro Dio. Quanti per non frenare la collera prorompono
in bestemmie orrende contro di Dio o contro de' santi suoi? Ma Dio nello stesso tempo che noi ci accendiamo di sdegno arma la sua mano di flagelli. Geremia scrive che un giorno il Signore gli dimandò: Quid tu vides, Ieremia: Et dixi: Virgam vigilantem ego video1. Signore, io veggo una verga che vigila per castigare. Indi ritornò Iddio ad interrogarlo: Quid tu vides? Et dixi: Ollam succensam ego video2. Veggo, rispose, una pignatta che bolle; ecco figurata per questa pignatta una persona accesa d'ira, a cui sovrasta la verga, cioè la vendetta di Dio. Ecco dunque la ruina che apporta seco ad un uomo l'iracondia non raffrenata; prima gli farà perder la grazia di Dio, e poi anche la vita temporale, come dice l'Ecclesiastico: Zelus et iracundia minuunt dies3. E Giobbe disse: Vere stultum interficit iracundia4. E ne' giorni che vivono questi iracondi fanno una vita infelice, stando sempre in tempesta. Ma passiamo al secondo punto, ove mi restano da dire molte cose utili per dar riparo a questo vizio.
PUNTO II. Come dobbiam frenare l'ira nelle occasioni che occorrono.
Prima di tutto bisogna intendere non esser possibile alla debolezza umana, che in tante vicende di cose non si abbia mai nell'animo qualche moto d'ira: dall'iracondia niuno può essere, come dice Seneca, affatto esente: Iracundia nullum genus hominum excipit5. Tutta la nostra cautela sta a moderare l'ira allorché ha avuta qualche entrata in noi; e come si modera l'ira? Colla mansuetudine. La virtù della mansuetudine si chiama la virtù dell'agnello, cioè la virtù diletta di Gesù Cristo, poiché egli come un agnello, senz'adirarsi e senza neppure lagnarsi, soffrì la sua passione, e fu sacrificato sulla croce: Sicut ovis ad occisionem ducetur, et quasi agnus coram tondente se obmutescet, et non aperuit os suum6. Ond'egli questo ci lasciò raccomandato ad imparar da esso, l'essere mansueti ed umili di cuore: Discite a me quia mitis sum et humilis corde7.
Oh quanto piace a Dio un uomo mansueto che soffre con pace gli eventi avversi, le disgrazie, le persecuzioni e le ingiurie! Ai mansueti sta promesso il paradiso: Beati mites quoniam ipsi possidebunt terram8. Essi sono chiamati i figli di Dio: Beati pacifici, quoniam filii Dei vocabuntur9. Alcuni si vantano di essere mansueti, ma falsamente, perché sono mansueti con chi li benefica o li loda; ma poi con chi li ingiuria o loro fa qualche danno sono tutti furore e vendetta; ma no, la virtù consiste nell'essere mansueto e pacifico con chi ci maltratta e ci odia: Cum his, qui oderunt pacem, eram pacificus10.
Bisogna vestire, come dice s. Paolo, viscere di misericordia verso ogni prossimo, sopportandoci scambievolmente l'uno coll'altro: Induite vos... viscera misericordiae etc. supportantes invicem, et donantes vobismetipsis, si quis adversus aliquem habet querelam11. Voi volete che gli altri vi sopportino per quel difetto che avete; e se gli altri hanno qualche ragione di lagnarsi di voi, volete che ve la rimettano; così dovete fare ancora voi cogli altri. Quando dunque ricevete qualche incontro da
alcuno che sta adirato con voi: Responsio mollis frangit iram1. Un certo monaco passando per un seminato, gli uscì ad incontro il colono caricandolo di molte ingiurie; il monaco umilmente rispose: fratello, hai ragione, ho fatto male, perdonami. E con tal risposta il colono tanto si raddolcì, che non solo gli passò tutta la collera, ma volle di più seguirlo e farsi monaco insieme con esso. I superbi le umiliazioni che ricevono le convertono in accrescere la loro superbia; ma gli umili e mansueti i disprezzi lor fatti li convertono in accrescere la loro umiltà; così dice s. Bernardo: Est humilis qui humiliationem convertit in humilitatem2.
Scrive il Grisostomo: Mansuetus utilis sibi et aliis. Il mansueto è utile a se stesso, poiché diceva il p. Alvarez, che il tempo in cui si ricevono disprezzi è il tempo dei meriti; e perciò Gesù chiamò beati i suoi discepoli, per quel tempo che fossero stati maledetti e perseguitati: Beati estis, cum maledixerint vobis et persecuti vos fuerint3. Quindi il desiderio dei santi è stato sempre di essere disprezzati, come è stato disprezzato Gesù Cristo. Il mansueto è utile anche agli altri, poiché dice lo stesso Grisostomo, che non vi è cosa che tiri tanto gli altri a darsi a Dio, quanto il vedere un cristiano mansueto e giocondo nel ricevere le ingiurie: Nihil ita conciliat Domino familiares, ut quod illum vident mansuetudine iucundum. La ragione si è perché la virtù colla prova si conosce, e siccome l'oro si prova col fuoco, così la mansuetudine degli uomini si prova colle umiliazioni: In igne probatur aurum et argentum, homines vero receptibiles in camino humiliationis4. Dicesi nei sacri cantici: Nardus mea dedit odorem suum5. Il nardo è un'erba odorifera, ma ella non isparge il suo odore, se non quando è strofinata e pestata; il che significa non potersi asserire di un uomo che sia mansueto, se non quando colla sperienza si vede che ricevendo egli ingiurie e maltrattamenti fa sentire l'odore della sua mansuetudine, soffrendoli con pace senza adirarsi. Vuole Dio che noi siamo mansueti anche con noi stessi. Quando alcuno commette qualche colpa, vuole bensì il Signore che si umilii, se ne dolga e proponga di più non commetterla; ma non vuole che si adiri con se stesso e resti disturbato; perché l'uomo turbato non è abile in quel tempo ad operare il bene: Cor meum conturbatum est, dereliquit me virtus mea6.
Sicché, ricevendo affronti, bisogna che ci facciamo forza a raffrenare l'ira, o rispondiamo allora con dolcezza, come si è detto di sopra, o almeno serriamo la bocca e non parliamo; e così vinceremo, siccome scrisse s. Isidoro: Quamvis quisque irritet, tu dissimula, quia tacendo vinces. Altrimenti col rispondere adirato sarai di danno a te ed agli altri. E peggio sarebbe poi se rispondessi con ira a chi ti corregge. Dice s. Bernardo: Medicanti irascitur, qui non irascitur sagittanti7. Taluni non si adirano, e dovrebbero giustamente adirarsi con chi li ferisce nello spirito con adularli; e poi si adirano con chi li riprende per medicare i loro disordini. Contro coloro che abborriscono
le correzioni sta fatta la sentenza della loro perdizione, come dice il Savio: Eo quod detraxerint universae correptioni meae, prosperitas stultorum perdet eos1. Dice prosperitas stultorum, gli stolti stimano prosperità il non avere chi li corregga, o il non far conto delle correzioni che loro son fatte; ma tal prosperità è la causa della loro ruina. Quando dunque avviene l'occasione di adirarsi, bisogna primieramente mettersi in guardia per impedire all'ira l'entrata: Non sis velox ad irascendum2. Alcuni in sentire qualche cosa che li punge subito mutano faccia e si mettono in collera; ed entrata che sarà la collera, Dio sa ove quella li condurrà. Perciò è necessario nelle nostre orazioni prevenirci a questi incontri; perché sarà difficile poi, quando non vi ci siamo apparecchiati, il raffrenare l'ira, siccome è difficile il mettere il freno al cavallo, mentre già corre.
Quando poi per disgrazia già fosse entrata in noi l'iracondia, stiamo attenti a non farla riposare in noi. Disse Gesù Cristo che se alcuno si ricorda che un fratello sta con lui disgustato, non offerisca il dono che portava all'altare, se prima non si riconcilia con quel suo fratello: Vade prius reconciliari fratri tuo, et tunc veniens offeres munus tuum3. E chi è stato offeso, non solo dee procurare di svellere dal suo cuore ogni sdegno, ma ogni amarezza verso di chi l'ha offeso, come dice s. Paolo: Omnis amaritudo et ira et indignatio... tollatur a vobis4. E mentre dura ancora l'ira, consiglia Seneca: Cum iratus fueris, nihil agas, nihil dicas, quod ab ira imperetur. Non fare né dire alcuna cosa che vien dettata dall'ira. Allorché uno si vede turbato, taccia, non parli, come faceva Davide: Turbatus sum et non sum locutus5. A quanti succede che dopo aver fatta o detta alcuna cosa, mentre bolliva lo sdegno, smorzato poi il fuoco se ne pentono e dicono: allora io stava in collera. Dunque nella collera bisogna tacere e non far nulla. Non far nulla né risolvere nulla, perché tutto ciò che si opera nel bollore dell'ira sarà ingiusto, secondo la massima di s. Giacomo: Ira enim viri iustitiam Dei non operatur6. E bisogna in quel tempo guardarsi affatto di consigliarsi con alcuno che può fomentare lo sdegno: Beatus, scrisse Davide, qui non abiit in consilio impiorum7. E dice l'Ecclesiastico, avvertendo colui che vien richiesto di consiglio: Si sufflaveris in scintillam, quasi ignis exardebit: et si expueris super illam, extinguetur8. Quando alcuno sta punto da qualche aggravio ricevuto, con un buon consiglio di pazienza puoi smorzare il fuoco; ma con un soffio di vendetta puoi accendere una gran fiamma. E perciò chi sta alquanto acceso dall'ira si guardi da qualche falso amico che con una sola parola imprudente può farlo perdere.
Seguiamo il consiglio dell'apostolo, che dice: Noli vinci a malo, sed vince in bono malum9. Noli vinci a malo, non ti far vincere dal peccato; se ti vendichi o bestemmii per l'ira, tu resti vinto dal peccato. Ma io son di natura focosa. Ma colla grazia di Dio e con farti forza puoi vincere il tuo mal naturale. Noli,
non voler tu adirarti e soggiogherai la tua natura focosa. Ma io non posso soffrire le cose storte. Rispondo: per 1. avverti che l'ira abbaglia la vista, e non fa vedere le cose come sono: Supercecidit ignis et non viderunt solem1. Per 2. se vuoi render male per male al tuo nemico, tu dal nemico resterai vinto e perduto: Si reddidi, dicea Davide, retribuentibus mihi mala, decidam merito ab inimicis meis inanis2. Se rendo male per male, resterò abbattuto dai nemici. Vince in bono malum, rendi loro bene per male, come dice Gesù Cristo: Benefacite his qui oderunt vos3. Questa è quella vendetta dei santi, che è chiamata da s. Paolino Vindicta coelestis; e così tu resterai vincitore. E quando alcuno di coloro di cui parla il profeta, Venenum aspidum sub labiis eorum4, ti dicesse: come t'inghiotti questa ingiuria? Rispondi: Calicem, quem dedit mihi Pater, non vis ut bibam illum5? E poi rivolto a Dio gli dirai: Non aperui os meum, quoniam tu fecisti6. Mentre è certo che ogni travaglio che ci accade viene da Dio: Bona et mala a Deo sunt7. E quando alcuno si prende il tuo, se puoi ricuperarlo, fallo; se no, di' come dicea Giobbe: Dominus dedit, Dominus abstulit8. Un certo filosofo avendo perdute le sue robe in una tempesta di mare, disse: se ho perdute le robe non voglio perdere la pace. E tu di': se ho perdute le robe non voglio perdere l'anima.
In somma, quando ci avvengono avversità, persecuzioni, ingiurie, diamo un'occhiata a Dio, che ci comanda in tali casi la pazienza, e così eviteremo di adirarci: Memorare timorem Dei, et non irasceris proximo9. Diamo un'occhiata alla volontà di Dio, che così dispone per nostro merito, e cesserà lo sdegno. Diamo un'occhiata a Gesù Crocifisso, e non avremo animo di lamentarci. S. Eleazaro re fu dimandato dalla sua sposa come facesse a ricevere tante ingiurie senza adirarsi? Mi rivolgo, rispose, a Gesù crocifisso, e così mi quieto. Diamo finalmente un'occhiata ai nostri peccati, per i quali altri più grandi disprezzi e castighi abbiam meritati, e soffriremo tutto con pace. Dice s. Agostino, che quantunque talvolta siamo innocenti della colpa, per cui veniamo perseguitati, siamo nondimeno rei di altri peccati, che meritano castigo più grande di quello che ci affligge: Esto non habemus peccatum quod obiicitur, habemus tamen quod digne in nobis flagelletur10.